Santuario di Lourdes, riproduzione artistica nell’Educandato del Buon Pastore verso il 1910.
E' tutto sparito!!!
(Archivio Mauro Galeotti)


Viterbo
STORIA AMIAMOLA SE POTETE


Viterbo Civica su un suo articolo, pubblicato qui appresso, punta il dito su un'area restaurata e dimenticata, quella del Monastero delle Convertite, meglio conosciuto come Buon Pastore per il nome delle monache che ebbero a gestirlo.

Sono pienamente in accordo con Viterbo Civica, che si propone sempre con stile ed eleganza nell'esporre i problemi che assillano la nostra Città, stile ed eleganza che dovrebbe essere l'emblema dell'Amministrazione comunale viterbese, ma al sostantivo e all'aggettivo aggiungerei un altro sostantivo il rispetto.

 Sì, proprio il rispetto verso Viterbo, la nostra Città, a cui, non a caso, è dedicata la nostra testata, consegnataci dai nostri avi, conservata nella storia, curata nella bellezza, sostenuta nell'ambiente, rispetto che non c'è se considero l'abbandono del Buon Pastore e l'inopportuno destino della Chiesa di santa Maria Egiziaca, gettata in pasto ai privati, che ne hanno stravolto il destino.

D'altronde il vicino Palazzo Spreca a cui vennero strappati pregiati affreschi, poi ritrovati dalla Procura di Viterbo sui mercati antiquari romani, è la dimostrazione che il mancato controllo dei beni che appartengono alla città è causa di depauperamento dei nostri beni culturali.

Importante è anche conoscere la storia di ciò che parlo, anzi scrivo, proprio per apprezzare quello che dobbiamo, conservare, preservare, perché se non conosciamo la nostra storia, che viviamo a fare!

E' importante, infine, che chi ha in mano la Città ragioni con la propria testa e non faccia il pecorone, ubbidendo sempre al padrone!

Allora ecco la storia della Chiesa di santa Maria Egiziaca e del Monastero delle Convertite o Buon Pastore, tratta dal mio libro "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002.
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Mauro Galeotti


La Chiesa di santa Maria Egiziaca
e il Monastero delle Convertite


Nel 1583 la Confraternita della Misericordia propose di fare un Monastero per le Convertite. Tre anni dopo, per volontà del frate cappuccino Anselmo, predicatore, furono prese provvisioni per fondare il monastero.

Il frate affermava che la fondazione era necessaria «per le anime in manifesto pericolo di dannatione e che non possono togliersi dal peccato per non aver luogo di rifugio».

A seguito di ciò il Comune predispose l’utilizzo di cinquecento scudi per acquistare una casa per tale fine.

Diversi beni vennero lasciati nella seconda metà del ‘500 per raggiungere lo scopo. Ad esempio, nel 1587, Fulvia Bernardini lasciò erede dei suoi averi il Monastero delle Convertite, a patto che la costruzione per le religiose venisse eseguita entro un anno, se ciò non fosse avvenuto avrebbe fatto l’offerta alle Confraternite di santa Maria Maddalena o del santissimo Sacramento.

Il 7 Maggio 1629, a mezzo testamento, il viterbese Federico Paoloni dispose che i suoi possessi, del valore di oltre dodicimila scudi, dovessero essere impiegati per la costruzione del monastero e che l’utilizzo dovesse avvenire entro due anni. A gestirli fu incaricato il cardinale Tiberio Muti, che ricopriva la carica di vescovo di Viterbo.

I Paoloni secondo Mario Signorelli avevano lo stemma: d’argento, a sei losanghe d’azzurro. Ma da una serie di disegni di stemmi settecenteschi, conservati nella Biblioteca degli Ardenti, lo trovo disegnato differentemente: alla colomba con in becco un rametto d’ulivo, tenente sotto le zampe un ramo.

La costruzione del monastero iniziò, acquistando Casa Spreca, grazie anche ad un lascito del vicario Accorsini, disponendo quale esecutore il Comune.

I priori del Comune avevano proposto di usare i beni del Paoloni per il Seminario o per la costruzione di un monastero delle zitelle sperse, ma a ciò si oppose il pontefice che volle fossero rispettate le volontà del defunto benefattore.

Il 2 Settembre 1631 fu consacrata la Chiesa di santa Maria Egiziaca, che vide il compimento col monastero, grazie anche al vescovo Muti, il quale nella sua qualità di esecutore testamentario, acquistò, tra l’altro, un giardino dotato di fontana e alcuni locali.

In seguito papa Urbano VIII, il 5 Maggio 1632, approvò la fondazione del monastero e per dirigerlo vennero, da san Giacomo in Roma, Cesarea Gavardo e Alfonsina Vannuzzi.

Al termine della costruzione il vescovo Muti vi inserì cinque novelle monache più due anziane, provenienti da Roma, e, il 22 Giugno 1632, il monastero fu inaugurato.

Leggo dalla Gazzetta di Viterbo del 28 Settembre 1872:
«Da quel tempo [1632] sino ai giorni del cardinal Bedini furono le così dette Convertite un carcere sussidiario della curia vescovile: in quel luogo si rinchiudevano senza forma di giudizio le giovinette, e le donne, che la curia, sotto forma di costume credeva opportuno rinchiudervi, e ve le lasciava sino al giorno che ad altre conveniva dar posto.

Il cardinal Bedini credette opportuno deviarne anche più l’istituzione, e chiamatavi la congregazione delle suore del Bambin Gesù, non più come a mente del testatore fu un asilo assoluto di carità, ma divenne un monastero dedicato alla istruzione elementare donnesca.

Se l’insegnamento fosse stato gratuito per le figlie del popolo non potrei fare a meno di porgere un elogio a quel porporato; ma fu ed è altrimenti: l’istruzione pubblica fu ed è rimunerata, ed il cardinal Bedini tolse ai poveri l’eredità di Federico Paoloni».

Lo stesso anno venne concesso dal Comune il ricasco dell’acqua della Fontana di san Giovanni, nell’attuale Piazza Dante Alighieri.

Filippo Mancini, nel 1640, concesse alle convertite cento scudi, di ciò aveva già dato disposizione la serva di Federico Paoloni, Marzia. Ancora lasciti furono concessi nella metà del ‘600. Ottavio Closi donò, nel 1652, trentasei giulii all’anno alle Convertite sue vicine.

L’anno seguente Menica di Acquapendente lasciò parte dell’eredità e, nel 1656, Ottavio Closi, scrive lo storico Giuseppe Signorelli, «lascia alle Convertite una stalla sotto l’arco che appoggia alla casa del Monastero delle Convertite».

Il cardinale Raniero Felice Simonetti, morto il 20 Agosto 1749, lasciò disposto che fossero concessi mille scudi in favore delle Convertite.

Stefano Camilli, nel 1840, scrive:
«E’ destinato un locale col titolo di “Ospizio delle Zitelle sperse” alle fanciulle di oneste famiglie mancanti di genitori, e della sorveglianza de’ Congiunti. Ivi ricevono asilo, alimento, ed istruzione corrispondente alla loro condizione».

Su domanda del cardinale Bedini, papa Pio IX il 1° Agosto 1862 ridusse il monastero a casa di correzione per le donne e, il 2 Novembre 1864, fu aperta nel monastero, la scuola esterna delle fanciulle, sotto la direzione delle monache del Buon Pastore, progettata dal vescovo Gaetano Bedini (1861 - 1864) e attuata dall’amministratore apostolico Antonio Maria Pettinari (1864 - 1866).

Il Conservatorio del Buon Pastore, fu detto anche delle povere traviate o delle Convertite.
Nel 1869 la chiesa, a spese dell’arcidiacono Giovanni Cristofori, fu restaurata e per ricordo fu scolpita l’epigrafe posta sulla porta:
Domum hanc solitudinis / altare fornice et corona extructis / aere suo ampliavit / decoravit / rmus Ioannes Christophorus archidiac. Viterbien. / A.R.S. MDCCCLXIX / sorores de Bono Pastore / grato animo posuere.

Nel 1874 il Regio Demanio prese possesso del monastero conservando l’Opera Pia.
Vi era un quadro raffigurante il Transito di santa Maria Egiziaca di Marco Benefial (Roma 1684 - 1764), riferibile al decennio 1720 - 1730, già posto sull’altare maggiore, ed oggi al Museo civico.

La Gazzetta di Viterbo del 29 Novembre 1873 riferisce che nella chiesa era «Un quadro rappresentante la morte della santa, di molto pregio - Si crede sparito. Ma non sarebbe difficile rinvenirlo, tanto più quando fosse una garanzia della pensione delle monache. Vi si penserà».

Giuseppe Ferdinando Egidi nella guida della città del 1889 scrive che ivi era il «Conservatorio delle Fanciulle Povere» che «Accoglie le giovani povere pericolanti; è amministrato dalla Congregazione di Carità, e diretto dalle Suore dette del Buon Pastore».

Andrea Scriattoli scrive (1915 - 1920) che nel monastero vi erano vari affreschi, eseguiti nella metà del secolo XVII, alcuni dei quali raffiguravano: la Fede, la Verginità e la Carità.

Vi era raffigurato, in un interno, lo stemma della famiglia Spreca, la quale, nei pressi, aveva la residenza:
d’azzurro, alla fascia di rosso accompagnata da tre pigne d’oro, due in capo e una in punta. 

Dal mio libro "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo 2002

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