Viterbo IL RACCONTO Sergio era partito da tre settimane quando arrivò a Mariasole una sua lettera
di Agostino G. Pasquali

Premessa: per una buona comprensione di questo racconto è importante aver letto e ricordare la prima e la seconda parte. Per comodità le riassumo.

Riassunto delle due parti precedenti: Mariasole Solari è stata una bambina difficile, complessata e solitaria (soprannominata per questo ‘Mariasola’), ma molto intelligente e brava a scuola.

Dopo aver ottenuto il diploma di maestra elementare, ha trovato lavoro come supplente, è maturata nella vita e si è aperta alla socialità . Ha conosciuto il collega Sergio Lorosso, il quale si è comportato con lei prima in modo gentile e poi le ha fatto la corte.

Mariasole si è illusa circa le intenzioni matrimoniali di Sergio, il quale le ha rivelato alla fine di non potersi impegnare perché ha deciso di cambiare lavoro e dedicarsi alla carriera militare. Lei si è detta disponibile ad aspettare e poi a seguirlo. Sergio si è detto d’accordo ed è partito per la scuola militare all’inizio dell’aprile 1987.

Se vuoi leggi tutta la prima parte: Mariasole o Mariasola, clicca qui
Leggi tutta la seconda parte: Sogni e progetti, clicca qui

Parte terza : Gli uomini di Mariasole

 

     Fine aprile 1987.

     Sergio era partito da tre settimane quando arrivò a Mariasole una sua lettera. Poche righe per raccontarle quanto era dura la vita da allievo ufficiale di complemento:

     “…ho sveglia presto, ore 0630, poi correre, alzabandiera, colazione, correre, aula, correre, educazione fisica, correre, esercitazioni, correre e sempre correre. Camminare mai? Sì, ma per fare marce, lunghe marce, faticose a causa dell’abbigliamento e dello zaino pieno di cose inutili ma necessarie a far peso, camminando con scarponi che fanno venire i calli e le bolle piene di siero… Ma io stringo i denti e progredisco perché sento che questa è la vita che fa per me. Apprezzo la vita da ‘duri’: il dovere, le regole, la severità dei comandanti, inflessibili ma giusti. Quanto mi sembra sciocca la vita dei borghesi! con le mollezze, le finzioni, i sotterfugi, la politica. Qui il sì è ‘sì’, il no è ‘no’, non si usa mai il ‘forse’ che per voi borghesi è riserva mentale o diplomatica vigliaccheria…”

     Concludeva con un ‘cari saluti’ e non dava neppure l’indirizzo. C’era solo l’intestazione della carta : Esercito Italiano - Scuola Allievi Ufficiali di Complemento.

     Mariasole rimase sorpresa leggendo quell’elogio della vita militare. Non avrebbe mai potuto immaginare che un timidone un po’ imbranato si potesse trasformare in un guerriero. Invece non si stupì dello scarso calore, anzi della freddezza nei suoi confronti. Se l’aspettava.

     Infatti, passati i primi giorni dalla partenza e non arrivandole né una telefonata né una lettera, aveva capito che il saluto e il bacio, che lui le aveva dato alla stazione, non erano stati un arrivederci, ma un addio. Nei primi giorni aveva atteso con ansia una chiamata e ogni squillo di telefono la faceva correre a rispondere per prima anticipando i genitori, ma non era mai lui; quando tornava dalla scuola guardava subito nella cassetta delle lettere, ma non trovava nulla di ciò che desiderava. Poi pian piano aveva capito e si era rassegnata all’abbandono.

     La vita per lei era stata sempre difficile e avara di gioie, e le poche soddisfazioni se le era costruite faticosamente col proprio impegno. Perciò non si disperò. Tuttavia, quando quella lettera le presentò la prova che il rapporto con Sergio era finito, sentì l’impulso di piangere, andò in bagno e pianse un pochino, con tristezza ma senza drammaticità. Poi si lavò il viso e si guardò allo specchio. Vide la sua immagine: una giovane donna in fiore, alta e ben fatta, lineamenti regolari incorniciati da una capigliatura fiammeggiante. Si trovò più che soddisfacente pur in assenza di trucco, e si disse: “Ennò, mica ti abbatterai. No, non sarai di nuovo Mariasola. Datti da fare, e subito!”

*     *     *

     Il maestro Sergio Lorosso era dunque partito lasciando il suo posto vacante. Il Provveditore agli studi, che aveva allora competenza sulla gestione degli insegnanti della provincia, era stato sollecitato dalla direttrice e aveva deciso di assegnare alla ‘Giovanni Pascoli’ un maestro che era parcheggiato, in attesa di trasferimento, nella segreteria della scuola di un paese vicino.

     Nel frattempo, per coprire i pochi giorni di vuoto, era venuta come supplente quella Gisella Marelli che aveva fatto lo scherzo del diario. Come se niente fosse avvenuto, costei appena vide Mariasole, le andò incontro e l’abbracciò come una grande amica ritrovata. A tanto arriva l’improntitudine di certa gente!

     Mariasole non era rancorosa e, anche se non aveva dimenticato quello sgarbo che l’aveva fatta tanto soffrire, accettò, sia pure con una certa diffidenza, la cordialità della vecchia compagna di scuola.

     La Marelli non era affatto cambiata, era rimasta settaria impicciona e pettegola, per cui, avendo saputo che la partenza di Sergio aveva lasciato sola l’amica, aveva pensato di farla entrare nel suo giro e di trovarle un compagno. Le propose un suo lontano cugino, descrivendolo come una ‘perla di ragazzo’, gagliardo simpatico aperto e confidenziale, un certo Walter. Il quale in realtà non era esattamente una perla. Infatti era evitato da tutte le signorine un po’ serie perché era un ‘coatto’, volgare e amorale, e sospettato pure di essere drogato. Mariasole non lo sapeva e accettò di uscire insieme in quattro: lei, questo Walter, Gisella e il suo fidanzato di turno. Gisella cambiava fidanzato ogni mese e qualche tempo prima aveva fatto coppia anche con quella perla di cugino.

     Si trovarono il sabato verso sera nel giardino pubblico della città e si misero a chiacchierare del più e del meno in attesa dell’ora giusta per andare in pizzeria; poi Gisella e il suo compagno si allontanarono con la scusa di andare a comprare le sigarette.

     Rimasti loro due soli, Walter disse: “Ce volemo conoscersi come si deve?” e senza aspettare risposta abbracciò Mariasole e tentò di baciarla. Lei provò un’istintiva ripugnanza, strinse le labbra, si liberò dall’abbraccio di lui e, con un energico spintone a due mani, gli fece perdere l’equilibrio e lo mandò seduto a terra, dove rimase meravigliato dolorante e incerto. Mariasole, che la ginnastica e il jogging avevano reso forte e decisa, gli mostrò i pugni chiusi, molto significativamente. Poi approfittò dell’attimo di smarrimento di Walter e se ne andò via senza dire un parola, ma allontanandosi sentì che lui le gridava dietro:

     “Ahò! Ah, principé, che stai a ffa’a difficile?  Che vvòi la corte romatica e li fiori? Tanto a la fine sete tutte puttane…”

*     *     *

     Il lunedì Gisella non c’era più a scuola perché era arrivato il nuovo maestro: Antonio Libero  Dazzei.

     L’aspetto un po’ sofferente, gli occhialetti ovali, una folta capigliatura scura appena striata di grigio, sporgente su tutti i lati della testa eccetto davanti, facevano subito pensare ad Antonio Gramsci (quanto meno nella testa come la conosciamo dalle foto storiche, ma Gramsci era di statura piccola mentre Dazzei si presentava piuttosto alto). Il nome poi confermava proprio quell’impressione. In effetti il maestro Dazzei veniva da una famiglia di estremisti di sinistra. Il nonno Libero era stato addirittura un anarchico, e il padre, che era già stato ‘confinato’ per le sue idee comuniste al tempo del fascismo, gli aveva dato il nome del nonno, Libero, aggiungendoci quello di Gramsci, appunto: Antonio.

     Antonio Libero Dazzei era un spina, anzi una mina vagante, per la sonnacchiosa burocrazia del provveditorato agli studi: non lo voleva nessuna scuola elementare della provincia. Ma era di ruolo e quindi non poteva essere esonerato. Avveniva che, pochi mesi dopo il trasferimento ad una nuova sede (ne aveva girate parecchie), la locale direzione didattica e le associazioni dei genitori tempestavano il provveditore di richieste per mandarlo via. E non perché non fosse un buon insegnante, anzi era preparato, sapeva trattare i bambini e aveva risultati buoni. Ma era di estrema sinistra sia nelle idee sia nell’aspetto; aveva fatto attivamente il ’68 e si mormorava che avesse avuto rapporti con gli anarchici, e questo era un precedente molto sospetto; ed infine, peggio di tutto, si professava ‘non credente’. In un’Italia molto conservatrice, in una provincia legatissima alla Democrazia Cristiana e alla Chiesa Cattolica, un tipo così era inaccettabile.

     Dati questi precedenti venne accolto alla ‘Giovanni Pascoli’ con diffidenza dalla direttrice, che lo considerò una pena da scontare come anticipo del purgatorio, e fu guardato con curiosità dai colleghi, che fecero scommesse sulla durata della sua permanenza.

 

     Mariasole, pure debitamente informata e invitata a non dargli confidenza, provò invece simpatia per ‘Gramsci’. Così era stato subito soprannominato il maestro Dazzei. Due circostanze li accomunavano: essere soli ed emarginati. Veramente lei adesso non era più emarginata, anzi si era ben inserita nel corpo insegnante, ma sapeva quanto sia brutta l’emarginazione, perché l’aveva dovuta subire a lungo e fino a poco tempo prima.

     I due familiarizzarono presto. Non fu un ostacolo la differenza d’età, lei poco più che ventenne, lui quarantenne, né i pregiudizi della gente, perché entrambi sapevano essere autonomi nel giudicare e avevano un tendenziale spirito di contraddizione, forse innato, ma sicuramente stimolato dalle lotte che avevano dovuto fare per non soccombere al conformismo gregario.

 

     ‘Gramsci’, cioè Antonio Libero Dazzei, era stato anche sposato, ma la convivenza con la moglie era diventata presto difficile per contrasti sui principi politici e soprattutto religiosi. Dopo soli otto mesi si erano separati. Lei aveva chiesto e ottenuto l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota ‘per vizio di consenso’, avendo sostenuto che prima del matrimonio era stata all’oscuro delle demoniache caratteristiche del fidanzato.

     Dunque era ‘libero’, di nome e di fatto. Libero lui, libera lei, i due si legarono con quella che di solito viene definita pudicamente ‘un’affettuosa amicizia’.

     I genitori di Mariasole non approvarono quel rapporto, fecero di tutto, moine pianti minacce ricatti, ma lei fu irremovibile. Aveva imparato dalla vita a fare di testa sua, ora si sentiva autonoma e forte, non era più ombrosa e timida. Aveva metaforicamente preso a morsi la sua timidezza e l’aveva eliminata per sempre.

 

     La famiglia Solari possedeva un piccolo podere fuori città, che era praticamente abbandonato e utilizzato saltuariamente da un pastore che vi pascolava le pecore e così lo teneva un po’ in ordine, evitando che divenisse un roveto impraticabile.  Su quel terreno esisteva un casale che nei tempi antichi era servito come abitazione del mezzadro.

     Mariasole chiese al padre di poter utilizzare il casale in comodato e ristrutturarlo come abitazione per sé e per il compagno. Il padre acconsentì ritenendo che, se convivenza ci doveva essere, quella fosse la soluzione meno scandalosa per la famiglia, e contando sulla previsione di una breve durata di quella convivenza. Agli altri tre figli e alla moglie, che non erano d’accordo, disse:

     “Che vada. Che vada. Di lui non mi frega niente. Ma lei? Che provi sulla sua pelle la durezza della vita e le conseguenze dell’incoscienza. Tanti auguri e figli… niente. Almeno spero. Non ci tengo a diventare nonno di nipoti sciagurati già alla nascita.”

 

     Seguì un periodo felice per Mariasole. La convivenza informale, in assenza di matrimonio, era soddisfacente perché consentiva ad ognuno una relativa libertà di idee e comportamenti. Ma erano fedeli e si rispettavano, erano affettuosi quando volevano esserlo e riservati quando lo ritenevano opportuno. Consapevoli della provvisorietà di quella convivenza, non facevano progetti, non intendevano avere figli, godevano appieno delle occasioni che la vita gli offriva, non si preoccupavano dell’attimo fuggente, preoccupazione che spesso rende nervosi e incontentabili.

     Mariasole non era proprio innamorata del suo compagno e di questo era pienamente cosciente. Con Sergio, sì, era stato vero amore con profondo coinvolgimento sentimentale; con Antonio (lo chiamava semplicemente così trascurando il ‘Libero’) c’era una buona comunione di interessi.

     Erano quindi una tranquilla coppia. Avevano saltato la fase dell’innamoramento e si comportarono subito come avviene nelle coppie stagionate, quando all’inevitabile esaurirsi dell’entusiasmo iniziale segue una convivenza serena e piacevole.

     Così vive la generalità delle coppie maturate bene:  in una serenità arricchita ogni tanto da piaceri moderati. Come succede quando ci si mette a tavola e si trova il solito buon minestrone, che è ottimo se si ha appetito, ma se uno l’appetito non ce l’ha, certo non glielo fa venire, però è buono e nutriente lo stesso. Ma ogni tanto c’è pure un piatto speciale a rompere la monotonia. Alla gente comune normalmente gli sta bene così.

     E a chi non gli sta bene?  Allora, se si tratta di persone oneste e ragionevoli, ci si separa. Altrimenti sono corna a volontà, e la convivenza diventa una farsa di Feydeau o una guerriglia di liti e dispetti. Ma non era affatto il caso di Antonio e Mariasole.

 

(Continua fra una settimana con…Male accompagnata?)

Agostino G. Pasquali

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