Viterbo IL RACCONTO Il preside della facoltà di economia aprì puntuale la tavola rotonda con le rituali parole di benvenuto per tutti
di Agostino G. Pasquali

 

     La sala grande dell’università, quella dedicata alle conferenze, era praticamente piena in occasione della tavola rotonda sulla ‘Sharing economy’. C’era solo qualche posto libero al centro.

     I più interessati al dibattito avevano preso posto nella parte anteriore per seguire meglio le relazioni. Davanti c’erano pure molti studenti che scaltramente cercavano di mettersi in mostra, sperando di essere notati dai loro professori e acquisirne così la benevolenza.

Coloro che erano meno interessati e partecipavano solo per curiosità o dovere d’ufficio avevano invece cercato un posto in fondo, così da poter uscire alla chetichella se i discorsi avessero preso un andamento insopportabile e noioso più del solito, e essere quindi liberi di rientrare verso la fine oppure di andarsene semplicemente via.

     Il preside della facoltà di economia aprì puntuale la tavola rotonda con le rituali parole di benvenuto per tutti,  di compiacimento per la partecipazione numerosa di tante persone dal livello culturale elevato, di omaggio alle autorità militari e religiose (chissà perché? però ci sono sempre e se ne stanno in prima fila pavoneggiandosi con le loro divise fregiate e le tonache listate in porpora. Molta scenografia, ma si tratta di solito di persone del tutto indifferenti all’argomento, ammesso che siano in grado di capirne qualche cosa). Vennero presentati i relatori e il dibattito vero e proprio ebbe inizio.

     Non intendo trascrivere qui tutto quello che fu detto, neppure intendo farne un riassunto, ma è necessario che io riferisca almeno i concetti basilari esposti dagli oratori, altrimenti non si potrebbe capire il perché quel dibattito ebbe la conclusione sorprendente che sto per raccontare.

*     *     *

     Il professor Aurelio Savelli Santi, un cervellone italiano emigrato negli USA, docente universitario di economia politica, membro di think-tank, si degnò di chiarire per prima cosa il significato letterale di ‘Sharing Economy’ precisando con un sorrisetto di superiorità:

      “Non dovrei tradurre perché è inconcepibile che oggi vi sia ancora chi non conosce l’inglese, ma dato che non si sa mai… Dunque: ‘sharing’, dal verbo ‘to share’, significa ‘condivisione’.

      Quindi oggi tratteremo di economia condivisa. Sarà la ‘buona novella’ che costituirà uno spartiacque  tra la vecchia economia e la nuova del terzo millennio, come il Vangelo lo è stato per l’etica prima e dopo Cristo.”

     Enunciò quindi la teoria della evoluzione ‘sharing’, facendo discorsi complicati, esponendo argomenti metascientifici, citando dottamente Karl Marx e Jeremy Rifkin e non trascurando Aristotele (che non manca mai) e papa Bergoglio (che è di moda). Precisò che l’evoluzione è già iniziata ed è inarrestabile, nel senso che sta scomparendo la ‘proprietà’ che sarà sostituita dalla ‘condivisione’. Il che già avviene per esempio con il ‘car sharing’ o il ‘bike sharing’, con gli ‘Homerestaurant’, con lo scambio dell’abitazione per scopo di vacanza.

     In una fase transitoria e sperimentale, quale è quella attuale, esistono delle strutture che facilitano queste condivisioni. Esempi: Uber (muoversi in automobile), Airbnb (trovare un’abitazione provvisoria), Gnammo (ristorazione familiare). Queste strutture però conservano ancora il diritto di proprietà, che invece è destinato a scomparire.

     Concluse con una battuta ammiccante affermando: “Anche lo scambio di coppia può essere inteso, secondo me, come una condivisione, una ‘sentimental and sexual sharing’... E non chiedetemi di tradurre!”

     Considerato il ridacchiare di tutti, compresi i militari e i porporati, non c’era evidentemente bisogno di traduzione.

     Il professor Gilberto M. Deprofondi, giovane ricercatore della locale università, affrontò il problema delle conseguenze di una tale rivoluzione:

- prima conseguenza (positiva): un migliore utilizzo dei beni e dei prodotti, determinando la fine del consumismo ‘compra-usa-rompi-getta’, oppure ‘tieni-statussymbol-senzausare’ e comunque ‘getta-anchesenuovo-perchésuperato’;

- seconda conseguenza (positiva): un deciso miglioramento dell’ecologia del pianeta;

- terza conseguenza (negativa): drastica riduzione della produzione e chiusura delle strutture industriali con disoccupazione galoppante e perdita irreversibile di milioni di posti di lavoro.

     Chiarì che alla conseguenza negativa si farà fronte con interventi pubblici diretti a garantire un reddito minimo, ma più che decente, a tutti. Il lavoro materiale residuale non sarà più attività umana perché sarà eseguito da robot. Agli esseri umani resterà il lavoro creativo che sarà ‘shared’, diffuso e facoltativo, gratificante per chi lo vuol fare, e gli altri avranno tempo libero da dedicare allo sport, alle attività sociali, alla cultura.

     Il gentile lettore, che mi ha seguito fin qui con interesse (spero), starà sicuramente pensando che, di fronte ad una previsione così rosea, il Candide di Voltaire appare come un modesto dilettante di ottimismo.

     Comunque il professore Deprofondi percepì nell’aria un certo scetticismo e pose la domanda finale: “Pensate che sia un’utopia?”

     Vedendo che molte teste si inclinavano per dire un silenzioso ‘sì’, concluse: “È ancora presto per poterlo sapere con certezza. Probabilmente avremo una pacifica rivoluzione, la terza rivoluzione industriale, con riduzione e razionalizzazione  della produzione e del consumo, ma soprattutto con una equalizzazione sociale, cioè un avvicinamento alla giustizia sociale che è da sempre la massima aspirazione dell’uomo intelligente. Purtroppo l’equalizzazione sarà al ribasso.”

     Il professor Aristide Fini, filosofo-epistemologo (poteva mancare un rappresentante delle pseudoscienze?),  espose il suo punto di vista con la semplicità e la chiarezza che contraddistinguono tutti i filosofi (avete presente la semplicità e la chiarezza di Hegel e di Massimo Cacciari?); estese dunque il concetto di ‘sharing’ alla condivisione delle idee (libera circolazione nel web) e dei sentimenti (anche i sentimenti saranno resi comuni e liberi e finirà l’esclusività dei rapporti affettivi: la coppia sarà aperta, anzi forse non esisterà più sostituita da simpatie plurali e mutevoli, spesso virtuali, e non ci sarà più distinzione tra amicizia e amore). Chiaro?

      Il professore Massimo Neri Storti, sociologo, espresse un parere molto critico circa gli effetti dell’ economia basata sulla ‘sharing-condivisione’. Avanzò il dubbio che non sia affatto in corso una pacifica ri-voluzione, come sostenuto o desiderato dal professor Deprofondi, ma una in-voluzione con impoverimento progressivo e insoddisfazione generalizzata. Ne deriverà un egoismo diffuso, ognuno contro tutti, altro che condivisione.

     In pratica la sharing economy sarebbe una gattopardesca mutazione del liberismo che dopo aver gonfiato l’economia finanziaria come una bolla gigantesca, avendo creato un meccanismo da catena di sant’Antonio, si accorge ora che quella bolla sta per scoppiare e cerca di evitare il disastro sgonfiandola delicatamente a danno della solita massa di gente illudibile, prima illusa e presto delusa, con conservazione dei privilegi e della ricchezza nelle mani dei soliti pochi.

*     *     *

     S’era detto di tutto. Erano stati esposti i pro, i forse e i contro. Era dunque il momento degli interventi del pubblico, prima di dare il via al giro delle conclusioni.

     Di solito, in questo tipo di dibattiti, il pubblico fa domande stupide (ci sono sempre i ‘pierini’ che hanno capito poco e sono ansiosi di dimostrarlo), oppure fa domande pilotate (un discepolo di qualche conferenziere deve fornire al suo maestro l’assist per una convincente replica), ma talvolta c’è pure qualcuno in grado di esprimere un punto di vista diverso, nuovo, discordante e stimolante. È un rompiscatole, e come tale si cerca di neutralizzarlo con sorrisetti ironici e aria di sufficienza. Il moderatore lo tollera per un po’, il minimo possibile per non sembrare fazioso, e poi gli impone di concludere e lo licenzia proprio mentre sta per sparare il suo argomento più pericoloso.

     Anche in quest’occasione ci fu il rompiscatole. Si presentò al tavolo dei conferenzieri e pretese di usare il microfono ufficiale, rifiutando il ‘conogelato’ che gli era stato offerto da un commesso.

     Si trattava di un tipo piuttosto strano. Capelli baffi e barba grigi, quasi candidi, uniti in una sorta di criniera circolare che lasciava poco visibile il viso, un sosia di Karl Marx, però con gli occhi nascosti da occhiali specchiati. Un giaccone grigio copriva il corpo massiccio dalle ginocchia su fino al collo, e anonimi pantaloni troppo larghi e lunghi si appoggiavano a soffietto su scarpe sportive.

     Si accostò al microfono e guardò in giro, prima al tavolo dei conferenzieri e poi verso il pubblico. Non aveva neppure cominciato a parlare, ma una strana sensazione di disagio, promanata dal suo aspetto e atteggiamento, già aleggiava in sala. Ogni brusio era cessato. Il personaggio aveva conquistato subito l’attenzione. Allora si presentò rivolgendosi al pubblico:

     “Mi chiamo Mario Bianchi, non sono accademico, non ho titoli, ma mi occupo di antropologia e credo di potervi insegnare parecchio, molto di più delle stronzate che hanno detto costoro.”

     Poi, rivolto al tavolo dei ‘costoro’, i conferenzieri:

     “Perché, ve lo dico senza delicatezza, ma proprio chiaro: dai discorsi che avete fatto, risulta evidente che, di come va oggi il mondo, voi non avete capito un cazzo!”

 

(Continua e finisce la prossima settimana)

Agostino G. Pasquali

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