Viterbo NUOVI RACCONTI DI SOVRANA Aveva comprato e restaurato diverse auto, dalle vecchie FIAT 500 C Topolino alle più recenti 600 e 850, e perfino una Lancia Augusta e una Balilla
Un racconto di Agostino G. Pasquali
 

Terzo racconto. Un amore di Fulvia Coupé

     Nell'anno 1983 Vincenzino, all'anagrafe Vincenzo Treccaso, era un giovane che lavorava come dipendente nel distributore di carburanti di Vittorio Neri.
     Era chiamato con il diminutivo 'Vincenzino' perché da bambino era stato piccolo e gracile, ma crescendo era divenuto un giovanottone alto un metro e ottanta e robusto in adeguata proporzione, e tuttavia il diminutivo gli era rimasto.

     Dato che il lavoro al distributore gli lasciava molto tempo libero, perché i sovranesi facevano rifornimento la mattina presto prima di andare al lavoro in campagna oppure la sera al ritorno, e poiché annessa al distributore c'era una piccola officina, Vincenzino proprio nel tempo libero dava sfogo alla sua passione di meccanico restaurando vecchie auto destinate alla rottamazione; le comprava per poche lire e le rivendeva come cimeli. Aveva comprato e restaurato diverse auto, dalle vecchie FIAT 500 C Topolino alle più recenti 600 e 850, e perfino una Lancia Augusta e una Balilla; le aveva rivendute tutte guadagnandoci bene, ma un'auto particolare aveva tenuto  per sé:  una Lancia Fulvia Coupé rossa, restaurata perfettamente nella verniciatura e nei dettagli  interni ed esterni.

     Ne era innamorato, la curava e ne era geloso come può esserlo, per fare un paragone, il fortunato compagno di Miss Universo. La faceva uscire di tanto in tanto per un giretto perché - diceva - le auto sono come esseri viventi, devono muoversi e prendere aria, altrimenti intristiscono e deperiscono. In occasione di queste uscite concedeva l'onore di esservi ospitata solo a una certa Luisella alla quale faceva la corte da tempo.
     Luisella era proprio una bella figliola, una sosia di Gina Lollobrigida giovane, era desiderata da tutti i maschi di Sovrana e dintorni e con tutti civettava moderatamente, cioè accettava un complimento e lo ricambiava con una parola gentile e un dolce sorriso, ma non si concedeva a nessuno, nemmeno a chi le offriva un buon matrimonio; però un giretto nella Fulvia con Vincenzino lo faceva volentieri e forse, in quelle occasioni, almeno qualche carezza la accettava e la ricambiava.

     Per questi favori di Luisella e per il possesso della Fulvia, Vincenzino era invidiato dagli amici, ma, come si sa, l'invidia è un cattivo sentimento, spesso genera maldisposizione d'animo e voglia di rivalsa. Non era proprio cattiveria, ma solo un comprensibile desiderio di pareggiare il conto provocando un avvenimento che smontasse quella cert'aria di superiorità che Vincenzino sfoggiava quando si trovava con gli amici la sera al bar per fare una partita a carte o per organizzare una gita per il weekend.

     Si trattava di un gruppo di giovani amici tra i quali c'era anche Giustino Neri, figlio del Vittorio Neri proprietario del distributore dove lavorava Vincenzino. Tra i due giovani c'era un bel po' di rivalità perché Giustino non riusciva a sopportare l'idea che Luisella concedesse qualche confidenza a Vincenzino, che era in pratica un suo modesto dipendente, e niente a lui che era erede dei beni della famiglia Neri.      

     Giustino aveva visto di recente il film Il Marchese del Grillo e aveva sentito una certa simpatia per quel personaggio stravagante. Provava un po' di ripugnanza per la sua volgarità, ma gli riconosceva un certo senso di giustizia correttiva mascherato da strafottenza, e soprattutto ammirava la sua vitalità e la prontezza nell'organizzare gli scherzi. Giustino era poco più che ventenne, come tutti gli amici del gruppo, e a quell'età si può essere spensierati, burloni e pronti a imitare gli esempi proposti dal cinema, e perciò cominciò a meditare di fare a Vincenzino uno scherzaccio sul tipo di quelli del Marchese del Grillo.

     Pensò di chiedere al padre di licenziare il benzinaio, ovviamente per scherzo, ma scartò subito l'idea perché  ragionò che quello era uno scherzo stupido, se non addirittura una cattiveria. Poi immaginò di convincere Luisella a non accettare più gli inviti di Vincenzino per le passeggiate in Fulvia Coupé e di preferire quelli di un altro del gruppo, preferibilemente lui stesso, ma si rese conto che Luisella non avrebbe accettato di collaborare. Infine diresse l'attenzione sulla preziosa automobile di Vincenzino. Quella poteva essere l'oggetto di un scherzo efficace per mortificare la prosopopea dell'amico. Radunò quindi gli altri amici al bar e tutti insieme, assente ovviamente la vittima, elaborarono un buon piano, una vera e propria congiura: Giustino fu l'ideatore e Sandro, che era il 'Pierino' del gruppo cioè il più burlone, fu incaricato dell'esecuzione.

*     *     *
     Una sera tutti gli amici stavano insieme al Bar Centrale in una saletta laterale per una partita a poker. Intendiamoci: giocavano poche lire, senza impegno, solo per passare il tempo, niente a che vedere con il poker drammatico che si vede nei film americani. Per quei giovani il poker era più che altro un modo per atteggiarsi a moderni uomini adulti, ma qualche volta poteva anche degenerare in una faccenda più seria, diciamo con un piatto da ventimila lire, equivalenti a circa cento euro di oggi. Quella sera c'era anche Vincenzino che aveva appena riportato a casa Luisella e aveva parcheggiato la Fulvia Coupé nella piazza appena un po' di lato rispetto al bar.
     In queste occasioni, mentre stava in compagnia degli amici al bar, Vincenzino non trascurava mai la sua preziosa auto e di tanto in tanto si assentava un attimo per controllare che tutto fosse a posto, che i cani non pisciassero sulle ruote, che i bambini non vi si appoggiassero, che nessuno parcheggiasse troppo accostato con il rischio di darle una sportellata.

     Per effettuare lo scherzo Sandro aveva bisogno di un po' di tempo perché non poteva correre il rischio di essere sorpreso mentre armeggiava presso la Fulvia Coupé, perciò i congiurati si erano accordati per dare le carte in modo che Vincenzino vincesse così da trascurare momentaneamente le visite di controllo.
     Giocavano già da mezz'ora quando Sandro si alzò con la scusa di andare al bagno, saltò un paio di mani e ritornò facendo ai congiurati il segno convenuto di 'tutto fatto'. Vincenzino, eccitato dall'aver vinto quelle due mani, non si era accorto di nulla.
     A quel punto la partita divenne seria, ma non proprio onesta, cioè i congiurati giocarono per far perdere Vincenzino e recuperare il denaro che gli avevano lasciato vincere per distrarlo. Quando al poker tutti sono contro uno, questo è detto 'il pollo' e allora non ha scampo: viene spennato.
     Vincenzino perse tutto quello che aveva guadagnato e con la perdita gli passò la voglia di giocare, ma gli tornò la preoccupazione di controllare la sua preziosa auto. Disse che avrebbe sospeso un attimo e uscì.

     Pochi secondi e dall'interno del bar si udì un urlo e una parolaccia, anzi una serie di parolacce. L'urlo non è trascrivibile per impossibilità semantica e le parolacce non sono riferibili, tanto furono volgari ed espresse con rabbia.
     Gli amici, o meglio i congiurati, che aspettavano proprio quella reazione, si precipitarono fuori e trovarono l'amico che guardava con orrore la fiancata sinistra dell'auto e la indicava con una mano e l'indice puntato: la fiancata era percorsa per tutta la sua lunghezza, dal faro anteriore al gruppo ottico posteriore, da una rigatura grossolana e irregolare che mostrava il grigio della lamiera; era l'evidente risultato di un oggetto, forse un chiodo, che era stato strisciato con forza da qualcuno.
     Dopo l'urlo e le parolacce Vincenzino era ammutolito, impallidito e non riusciva più a parlare. Era sul punto di svenire. Gli amici lo portarono all'interno del bar, lo adagiarono in una poltrona e gli fecero bere prima dell'acqua e poi una abbondante dose di brandy. Sandro uscì di nuovo senza farsi accorgere e ritornò dopo di un paio di minuti.
     “Ma che diavolo è successo?” chiese allora Giustino a Vincenzino, mostrandogli una faccia spudoratamente ingenua.

     Il poverino che intanto si era un po' ripreso, ma tremava ancora, rispose:
     “La Fulvia! La Fulvia! Rovinata pe' sempre… avete visto che disastro?”
     Gli amici, cioè i congiurati, si guardarono l'uno con l'altro e parlarono tutti insieme accavallando le risposte:
     “ Ma cosa? Che c'è da vede?”  “Io non ho visto gnente de strano!” “Rovinata? Come rovinata…”  “Tu hai visto qualche danno?”  “Io no. Boh… ma che dice?”  “ Me sa che è 'mpazzito!”
     “ Ma come? - replicò Vincenzino - La fiancata è rigata, tutta rigata…”
     “Mò vado a controllà… voglio proprio vedere…” disse serafico Giustino. E uscì fuori.
     Ritornò subito e, con la faccia ingenua di un cherubino di gesso, recitò:
     “Tutto a posto. Non c'è nemmeno un graffietto. Forse è un po' sporca. Dovresti tenerla più pulita la tua bellissima macchina!”

     Vincenzino non sapeva che cosa pensare. Fu sollevato per le braccia dagli amici, ora non più congiurati, fu accompagnato fuori e costatò che la fiancata non aveva alcun difetto. Accarezzò amorevolmente l'auto dove gli era sembrato, anzi era certo, di aver visto il graffio, e la fiancata era liscia e perfetta sia alla vista sia al tatto. Si sentì subito un po' meglio, ma era ancora così emozionato che tremava e desiderava solo di andare a casa e mettersi a letto. Si rese conto che non era in grado di guidare e chiese a Giustino se gli faceva il piacere di guidare lui fino all'officina. Ma prima di sedersi in auto chiese un telo di plastica e lo sistemò accuratamente sul sedile perché sentiva una sospetta umidità nelle mutande.
     Mentre andavano verso il garage con i finestrini aperti per via di una puzza poco gradevole, Giustino spiegò con diplomazia che era stato uno scherzo: la rigatura era finta, fatta con un pennellino usando una tempera particolare preparata per quello scopo da Sandro che aveva un negozio di ferramenta e si intendeva di vernici. Era bastata una spugna umida per toglierla via.
    Vincenzino non la prese bene. Restò immusonito e silenzioso per tutto il breve viaggio.

     Quella era la prima volta che permetteva ad un altro di guidare la sua amatissima Fulvia Coupé, e fu anche l'ultima volta perché la mise in vendita. Dopo lo scherzo ci si sentiva a disagio. L'auto fu subito comprata da un romano che era stato in villeggiatura nell'estate precedente, aveva chiesto di acquistarla, ma aveva avuto una risposta negativa. Però, dimostrandosi un buon profeta, aveva lasciato a Vincenzino il suo numero di telefono dicendo:
     “Ahò, me piace proprio un casino 'sta macchina. Se c'aripensi, telèfoneme. Mannaggia la zozza! Me ce sò proprio 'nnammorato!”

Agostino G. Pasquali

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