Roma Mo' ve racconto 'sta cosa
Piero Carosi

Caro Mauro, t’invio il primo dei cinque raccontini facenti parte d’una piccola raccolta dedicata alla Taverna di Via della Penna, alla quale mi legano ricordi di ‘colazioni di lavoro’ consumate tra un giornale radio e l’altro. Piero

La partenza

E’ strana l’aria della taverna, stasera. Forse è colpa di Romoletto che, tra un bicchiere e l’altro, non la smette di borbottare.

 

- E’ per stanotte, ti dico…hanno deciso così! - e mentre trangugiamo l’ennesima fojetta mi confida che tutti i “romani di Roma”, quelli insomma che possono vantare quattro quarti di romanità nel sangue hanno deciso di lasciare la città perché delusi dal suo inarrestabile degrado.

Mentre seguo la discesa d’una goccia sulla parete del bicchiere penso al degrado ed il pensiero va subito agli storni i quali, dacché le aquile imperiali non dominano più i sacri cieli della città scacazzano ogni manufatto, cristiani compresi. Non è degrado questo? E il ponentino? Sono anni ormai che arriva a lambire le periferie occidentali e poi se ne torna indietro, la coda fra le gambe. Non parliamo poi del Tevere, e del…

Romoletto interrompe il filo dei miei pensieri per mostrarmi lo strano movimento che s’intravede dalle finestrelle a fil di strada della taverna.

- Eccol - sussurra con aria da congiurato - sono loro, i romani quelli veri che se ne vanno!-

Usciamo senza dar nell’occhio per seguire la turba di popolani, vecchi signori in abiti rétro, dame, austeri figuri di varia foggia, tutti sciamanti verso il fiume.

Se la massa volgare avanza a testa bassa, i rappresentanti di nobile schiatta incedono con grande sussiego salutandosi e dandosi con galanteria il passo. I più ricchi sono seguiti da maggiordomi recanti sacche da viaggio, baùli e stuoli di servitori che tengono alti i ritratti di avoli, bisavoli, arcavoli, bisarcavoli su su fino a Romolo e Remo.

Talvolta il flusso è interrotto da moderne auto, vecchi coupé, ma anche da carretti, botticelle, carriole. Ci sono anche dei cavalieri a cavallo che emergono dalla turba come statue equestri semoventi. Nella confusione perdo di vista il mio amico, ma poi lo vedo ritto sul culmine di Ponte Cavour intento ad osservare lo snodarsi dei cortei su entrambi i Lungotevere. Mentre cerco di raggiungerlo mi rendo conto che quanti mi circondano stanno proprio andandosene.

Ma dove, come, perché?

Lo chiedo a Romoletto ma dal suo sguardo capisco che anche per lui tutto ciò è un maledetto mistero. Tento di chiederlo al Sor Checco, il taverniere ma non riesco a rintracciarlo: anche lui, dopo averci foraggiato con una pinta di buon rosso dev’essersi perso nella moltitudine romaneggiante. Mi faccio coraggio e mi rivolgo ad uno dei trasmigranti.

- Se n’annamo perché non ne potémo ppiù - mi risponde.

-Ve ne andate?… ma come, dove?-

- Er più lontano possibbile da ‘sta città che hanno fatto diventa’ ‘na fogna, ‘na cammera a gasse, ‘n festivàl de cartelloni pubblicitari, ‘n rifùggio pe’ tutte le razze de la tèra, indóve che se spàra più che ‘n guèra,: petardi, maradoni, che li possin’ammazzà’ tutti quanti. ’Na città che, ortre a fasse ‘mbratta’ da ‘n’esercito de zozzóni, se fa puro cacà’‘n testa da l’ucelli!-

Sul Lungotevere De’ Cenci il flusso si blocca ma mentre qualcuno ci spiega che la colpa è della strettezza degli accessi d’imbarco, c’è un agitarsi improvviso: un uomo, tra grida di ‘fàrso romano!’,‘’mbrojóne!’ è costretto a salire sulla spalletta del fiume dove gli viene intentato un processo sommario.

- De do’ sei?Da ‘ndo’ vieni?-

- Sò’ sabbìno…sò’ co’ vvói perché m’hadetto ‘l priore che chi stava a Roma da più de settand’anni…

Purtroppo, l’hadetto senza spazio e la ‘d’ di ‘settand’anni’ lo inchiodano: è uno spurio e quindi subito condannato. Un sordo ‘splash’ del fiume segna la sua fine.

Sudo freddo perché io sono di schiatta etrusca e il mio compagno Romolo Magnacci, essendo discendente da Pompeo Magno è un piceno e i piceni, come dice il Sor Checco che se n’intende non sono mai stati dei veri romani. Occorre defilarsi!

Riusciamo non so come ad evadere dalla calca ed a salire sul tetto del Tempio. La scena è straordinaria: l’Isola Tiberina, mèta (ora lo si capisce) delle turbe sopraggiungenti è stracolma di gente: rive, piazze, perfino i tetti del Fatebenefratelli brulicano di romani veraci. Sui ponti Fabricio e Cestio gli ultimi spingono per entrare fra vari ‘a Giggé’…,‘a Romolé’…e l’immancabile ‘a Nàndoo a li mortàcci tùa e de tu’ nonno ‘n cariòla! Poi ad un tratto ogni frastuono si smorza perché sul punto più alto dell’ospedale appare un uomo che, al diffondersi d’un sommesso vocìo tuona:

- Fatebè…cioè…azzittàteve fratelli!… (lunga pausa)… Dòppo più de ventisette secoli, da quànno che li re eppòi li repubblicani hanno fatto de ‘sta città la padrona der mónno èccoce qui costretti a lasciàlla perché s’è ridotta a fa’ da schiava a ‘n esercito de purciósi, ‘nquinatori, ‘mbrattatori, che vàdino affan…(avete capito!) tutti quanti so’…’ndóve che se tròveno! (urlo d’approvazione) Se gràzzie a Enea diventammo tutti fiji de la Lupa mó è arivato ‘r momento d’aritornà a esse quelli gran fiji de Tro…cioè… de Ilio che ‘n fónno sémo sempre stati! Ilio, l’antica e grande matre che laggiù ci aspetta. Séte tutti pronti?-

Il “sì!” delle mille e mille bocche precede d’un istante il perentorio“ Via!”

Mentre si demoliscono gli attacchi dei ponti ogni romano verace, abbrancati remi, pertiche, pali, li punta sul fondo del fiume spingendo a tutta forza: incredibile a vedersi l’isola si svelle pian piano ed incomincia a galleggiare!

Romoletto, le mani nei capelli mi guarda impietrito mentre l’Arca Tiberina, ormai non può che chiamarsi così, inizia a discendere la corrente ed ha un che di maestoso mentre abborda la curva tra la Ripa e l’Aventino: le finestre del Fatebenefratelli tutte illuminate sembrano tanti oblò quadrati da cui sventolano bende, garze, fazzoletti.

Un’ultima fugace visione e quella che fu l’Isola Tiberina scompare lentamente dietro la curva del Ponte Palatino mentre dalle brume del fiume emerge il Sor Checco che seguita a ripetere:

- Annàmo regà…è ora de chiùde! E voi, Sor Pierì… me sembrate ‘n po’ stralunato! Volete che v’accompagni?

Piero Carosi

 

 

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