Viterbo CRONACA RICOMPARSA

 

Maurizio Pinna

Su un quotidiano locale è ricomparsa in questi giorni, come fosse uno scoop, la notizia che fu un aereo fascista decollato da Viterbo a bombardare il Vaticano il 5 novembre 1943.

La presunta fonte della “novità”, una conversazione telefonica ricevuta tre giorni dopo dal gesuita padre Tacchi Ventura al quale l’interlocutore riferiva che il gesto fu compiuto dai fascisti e non dagli americani.

 

Mi permetto di intervenire per portare un contributo in merito ed evitare il diffondersi di notizie mai documentate.  Personalmente, nello scrivere il mio libro “Viterbo dal fascismo alla guerra con uno sguardo ai nostri giorni”, volendo offrire a tal proposito maggiori dettagli, chiesi la consulenza al generale Silvano Bronchini, storico dell’Aeronautica e direttore responsabile di Aeronautica, periodico sociale dell’Associazione Arma Aeronautica (AAA).

Lo spunto mi fu dato il 6 novembre 2010 da un quotidiano nazionale che, nel recensire il libro di Augusto Ferrara “Bombe sul Vaticano”, titolò il pezzo: “Il giallo del 1943. Pioggia di bombe sul Vaticano. Farinacci principale indiziato. Gli ordigni sono considerati ancora di provenienza ignota, ma da una conversazione telefonica emergono le responsabilità del gerarca fascista”.

Il generale Bronchini iniziò le ricerche dal nome di Parmegiani, il presunto pilota dell’aereo che bombardò, secondo le prime voci, il Vaticano. In pochi giorni lo storico dell’aeronautica concluse i suoi accertamenti e inviò la notevole documentazione d’archivio in suo possesso al suo collaboratore e docente di storia aeronautica, prof. Gregory Alegi.

Il risultato di quelle ricerche pubblicate poi a pg. 492 del mio libro e su “Aeronautica” n. 1/2011, anche se non scioglie del tutto dubbi e riserve sull’accaduto – certamente attesta l’alta improbabilità che le bombe sul Vaticano siano da attribuire ad un aereo fascista per di più decollato da Viterbo.

Ora non mi è possibile riassumere le cinque pagine di dati senza creare scollamenti e vuoti nella minuziosa indagine e ricostruzione di Bronchini e Alegi, quindi mi limiterò a riferire alcuni passaggi rimandando alla lettura integrale del capitolo.

1)“Benché a ben guardare l’editore e curatore del libro non prenda posizione esplicita in favore di questa interpretazione, la stampa ha attribuito l’azione con certezza ad un aereo della Repubblica sociale italiana. Per Giovanni Russo del Corriere della Sera, ad esempio, un sacerdote avrebbe rivelato che «l'aereo, un Savoia Marchetti pilotato dal sergente Parmegiani [sic], era partito dall'aeroporto di Viterbo per ordine del gerarca fascista Roberto Farinacci a bordo, per distruggere la stazione radio vaticana, perché questi era convinto che trasmettesse notizie agli angloamericani».

2) Più che l’identità del “Savoia” genericamente citato nella conversazione con Tacchi Venturi, insomma, bisognerebbe verificare innanzi tutto la possibilità che Farinacci o altri esponenti della RSI potessero effettivamente disporre di un aereo, di un equipaggio minimo (cioè comprendente almeno due piloti ed un motorista), del carburante e dell’armamento, tutte condizioni difficili in quel momento e ad oggi indimostrate.

3) “La nuova opera non affronta invece la notizia, riportata (purtroppo senza citazione di fonte) nel 1981 da Giuseppe D’Avanzo a p. 475 del suo Ali e poltrone, secondo cui nel 1973 «un aviatore americano» avrebbe confessato di aver lanciato le bombe di ritorno dall’azione su Castelnuovo di Porto ammessa da Eisenhower”.

Dalle ricerche condotte da Bronchini e Alegi e le verifiche su entrambe le grafìe del cognome in causa, svolte con la preziosa collaborazione del ten.col. Massimiliano Barlattani dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Aeronautica, sono stati identificati due Parmeggiani ed un Parmegiani. A prescindere da possibili errori di trascrizione, dallo stato di servizio nessuno sembra corrispondere agli elementi citati nel libro (il grado di sergente e l’origine romana) o essersi trovato a Viterbo il 5 novembre 1943. Sarebbe interessante per tutti leggere come sono state approfondite le ricerche, ma mi dilungherei oltre ogni ragionevole spazio.

       La conclusione riguardante i due unici aviatori di cognome Parmeggiani, in servizio in quel periodo, ma anche di un Parmegiani morto a Kindu e decorato molti anni dopo con Medaglia d’Oro al VM, per rispetto dei morti che vengono chiamati in causa devo, tuttavia,  riportarla integralmente: “L’uso del nome di Parmeggiani, non sostenuto da alcuna fonte primaria, ingenera la possibilità di confusione con due piloti con ogni probabilità del tutto estranei all’evento.

Questo, rinforzato dal rispetto dovuto alla tragica fine di Amedeo Parmeggiani indica ad appassionati e ricercatori l’importanza di fare almeno i riscontri fondamentali ed i necessari incroci tra le fonti prima di associare un nome ad un’azione di guerra la cui responsabilità resta tuttora molto misteriosa”.

Maurizio Pinna