Viterbo CRONACA NON TANTO IMPERTINENTE

La fontana di Piazza delle Erbe nel 1910 circa (Archivio Mauro Galeotti)

Premessa : In occasione della santa Pasqua mi sono imposto di non essere impertinente. Oggi non criticherò i politici né farò battute su Berlusconi, al quale anzi auguro di superare i suoi problemi fisici, così da essere in piena forma per eseguire la sua condan… volevo dire… il suo compito di assistente sociale. Acc…! A momenti mi scappava la battutaccia.

Mi occuperò invece di aspetti divertenti della lingua dialettale e di auguri.

 

D   come : Dialetto

C’era una volta … il dialetto.

Non sto cominciando una favola, ma sto facendo la costatazione che il dialetto è sempre meno conosciuto e ancor meno usato. La televisione ha fatto quello che né la scuola né il lavoro né il cinema né la radio  erano riusciti ad ottenere: insegnare l’italiano gli italiani. Il che non è un male, anzi! Però il dialetto non deve essere buttato via perché è un valore culturale che ci conserva le radici popolari.

E’ vero, si usa ancora il dialetto in famiglia e tra amici, ma è un dialetto annacquato e impuro, costituito cioè da una miscela di italiano, dialetto locale e altri dialetti. Oggi quel poco dialetto che resta è privo comunque delle parole più tipiche e spesso più colorite, insomma è privo delle parolacce.

Il mio dialetto originario, quello della mia infanzia e gioventù, non è il dialetto di Viterbo. Questo l’ho conosciuto  all’età di quasi trent’anni, quando mi sono trasferito in questa città. L’ho imparato un po’ da mia suocera che era viterbese verace e da qualche lettura. 

Ho trovato espressioni che mi hanno colpito e che vorrei far conoscere, ovviamente ai non viterbesi,  ma (perché no?) anche a quei viterbesi giovani che conoscono poco il loro dialetto, mentre magari sono espertissimi di quell’orribile linguaggio che è l’informatichese. Chi ha interesse a conoscere qualche espressione dialettale tipica e curiosa séguiti a leggere

Ero arrivato da pochi mesi  a Viterbo. Un giorno mi trovavo in un negozio di articoli da regalo con la mia fidanzata, viterbesissima, che spesso si divertiva a disorientarmi con qualche termine dialettale. Lei prese in mano un ciondolo  e mi disse: “Questo piacerebbe mammì”. Dissi subito “Glielo regalo io alla tua mamma!”.  Rise e mi spiegò che ‘mammì’ in viterbese vuol dire ‘a me’.

La sua mamma, quella che divenne poi mia suocera, usava spesso espressioni tipiche dialettali delle quali nemmeno lei conosceva l’origine. Alcuni esempi:

-  quello è uno sciammascià = una persona che ha una vita travagliata

-  è del tempo de Chicchennino = fuori moda

-  che c’hai il vivere in culo? = che cosa hai, ché sei agitato, non stai fermo?

-  nun è sfurdore pe’… = siamo ancora in tempo per…

 Le chiedevo: “Perché dici: sciammascià - vivere in culo - sfurdore?e chi era Chicchennino?da dove vengono queste parole?”

Lei non lo sapeva. Aveva sempre sentito dire così e non si creava problemi etimologici. Del resto quanti di noi,  concludendo una preghiera con ‘amen’, si chiedono che cosa significa amen e da che lingua viene?

Ho chiesto aiuto a mio cugino Angelo, il “satutto”, che ci ha dovuto pensare e fare qualche ricerca. Mi ha dato poi la sua consulenza. Eccola:

“Intanto ‘amen’ è parola ebraica che significa ‘veramente’ (avverbio assertivo), ma nelle traduzioni della Bibbia è resa talvolta con il significato di ‘così sia’ (esortazione o augurio) e questo significato è stato assunto nella nostra liturgia.

Per quanto riguarda le espressioni dialettali, faccio l’ipotesi che:

- ‘sciammascià’  è probabilmente la corruzione popolare del nome Jean Valjean, il tribolato protagonista de ‘I miserabili’

- ‘sfurdore’ è  la contrazione e alterazione di ‘fuor d’ora’, cioè ‘in ritardo’

- ‘del tempo di Chicchennino’ o ‘Checchennina’ o più spesso ‘Checco e Nina’ è un modo di dire romanesco e significa ‘antiquato, fuori moda’, senza alcun riferimento a personaggi storici o di fantasia

-infine ‘vivere in culo’ sta per ‘vipere in culo’, luogo dove effettivamente le vipere creerebbero qualche motivo per essere agitati.

 

D    come : Dialogo in dialetto

Da poco venuto a Viterbo, andai ad abitare in una casa che era graziosa all’esterno anche perché  aveva un po’ di giardino (la mia passione), ma aveva bisogno di lavori di restauro all’interno. Su consiglio di un collega d’ufficio chiamai un artigiano viterbese verace, così verace che parlava solo in dialetto.

Il muratore venne, esaminò la situazione e fece l’elenco dei materiali che gli servivano. Lodò la casa e cominciò a farmi delle domande. Tra l’altro mi chiese:

- Miquì ce so’ le cavallette?

- In casa? penso di no. Ma forse… in giardino…

Uscì in giardino e dopo un po’rientrò sconsolato.

- ‘Un l’ho trove! Nun ce so’!

- Mi scusi, ma perché cerca quegli insetti?

- Ma quale ‘nsette! Io cerco le cavallette da muratore  pe’ fa’ ‘l ponteggio. 

Devo chiarire, per chi non lo conosce, che il dialetto viterbese ha una caratteristica: il plurale maschile ha desinenza in “e”(esempi: fagioli=fasciole, coltelli=curtelle, insetti=insette);  ma io allora non lo sapevo.

 

V   come : Versi  e  Versacci (in dialetto)

Come ho già scritto qualche tempo fa, io non faccio parte dei favoriti di Erato (musa della poesia). Oggi però ho insistito con Erato per essere autorizzato, in via del tutto eccezionale, a scrivere pochi versi  per fare ai miei lettori i doverosi auguri, sperando di averne almeno un po’. Voglio dire che spero di avere un po’ di lettori, non di auguri, questi ci sono in abbondanza.

Considerata la sacra circostanza della Pasqua, Erato ha sentenziato : “ Per questa volta scrivi pure i tuoi auguri in versi”, poi si è messa gli auricolari  dell’iPad spiegandomi che preferisce sentire il “Rap di Emis Killa” piuttosto che i miei versacci. Ma non mi ha voluto benedire e perciò non mi è venuta alcuna ispirazione lirica.

Che fare? Ho deciso di imitare l’imitatore: imiterò Maurizio Crozza che imita il senatore Razzi. Perciò ecco i miei versi, composti in un approssimativo dialetto abruzzese (chiedo scusa ad un eventuale lettore abruzzese). Potete leggerli e anche cantarli sul motivetto del celebre “vola vola, vola lu cardille”:

 

Pe’ Pasqua, no! Nun parla

lu senatore Razze,

nun dice parulazze

che fanne divertì.


Invece vola vola,

nu poco ‘mpertinente,

ma sempre surridente

l’augurio de Aggì.

Versacci, vero?  Erato aveva ragione a preferire Emis Killa!  Ma io volevo solo divertirmi e divertire voi. Se non ci sono riuscito, siate indulgenti e non mi ci mandate…

…comunque  AUGURI  DI BUONA  PASQUA da Aggì