Viterbo CRONACA
Francesca Biscari
Foto del fotoreporter Gianni Uggeri

Vittorio Podestà la medaglia d’oro alle paralimpiadi di rio 2016 presso l'Hotel Terme Salus di Viterbo. Si è tenuto presso l’Hotel Terme Salus di Viterbo l’evento con un sorridente Vittorio Podestà, campione nazionale di handbike, nonché medaglia d’oro alle Paralimpiadi di Rio 2016.

Presenti anche gli ex ciclisti Riccardo Magrini, Massimiliano Lelli e Stefano Colagè, il ciclista paralimpico Mauro Cratassa e il preparatore atletico Marco Canuzzi.

“La medaglia d’oro è il coronamento di un sogno realizzato dopo ben 15 anni di fatiche; prima dell’incidente non avrei mai pensato che si potesse pedalare anche usando le braccia. Bisogna sempre dare la giusta importanza ad una medaglia olimpica, senza però dare sfogo alla presunzione, perché un vero atleta deve riconoscere i propri limiti, per poterli poi superare nella prestazione successiva.”

Queste le prime parole di un emozionato ma sicuro Vittorio Podestà, che da subito ha affrontato il tema della disabilità senza il minimo imbarazzo, incantando il pubblico in sala con una voce carica di energia.

Il campione ha continuato a raccontarsi tra luci e ombre del proprio passato, descrivendo con parole tanto semplici quanto efficaci come sia cambiata la sua vita dopo l’incidente che lo ha reso disabile nel 2002: “ho sempre avuto la passione per la bicicletta, considerandola come la mia valvola di sfogo fin dai tempi dell’adolescenza. Dopo l’incidente la mia paura più grande era proprio quella di non riuscire più ad andare in bici. La cosa mi deprimeva molto. Poi ho scoperto l’handbike e da ingegnere quale sono è stato amore a prima vista; vedevo in quello strumento, che all’epoca era molto più rudimentale di ora, un “diamante da sgrezzare” e sono stato orgoglioso di aver potuto partecipare concretamente ad una sua evoluzione, collaborando direttamente con le aziende che fabbricano questi mezzi. È importante considerare lo Sport come un qualcosa che sia sempre in continua evoluzione, in termini di mezzi e prestazioni.”

È intervenuto così anche Mauro Cratassa, ringraziando sinceramente Podestà per i consigli ricevuti negli anni, soprattutto in ambito tecnico, evidenziando poi il fatto che a volte il sostegno psicologico è fondamentale, soprattutto quando si è disabili e ci si ritrova a combattere anche con i dolori fisici quotidiani, non solo con gli allenamenti che per un atleta agonistico sono già comunque di per sé uno sforzo intenso da sostenere.

Marco Canuzzi si è quindi soffermato a specificare quello che realmente dovrebbe rappresentare il ruolo dell’allenatore per uno sportivo: “non essere riuscito a partecipare a Rio 2016 ha portato Mauro a perdere un po’ di fiducia in se stesso. Si vede da qui il vero ruolo dell’allenatore, che deve essere in grado di fornire sostegno psicologico al proprio atleta e incentivarlo a non mollare mai. Un atleta fa fatica a tirare fuori il meglio di sé, se non ha vicino un buon allenatore, anche perché non riesce a misurare in modo obiettivo le proprie prestazioni, da solo.”

Mauro Cratassa ha poi aperto una breve parentesi sulle difficoltà obiettive che hanno tutti i ciclisti del Centro Italia, disabili e non, a causa della mancanza di piste ciclabili, cosa che rende davvero pericoloso anche il semplice allenamento quotidiano: “sarebbe bello potersi allenare senza il rischio che qualcuno ti mandi fuori strada e dentro una cunetta, ecco. In questo noi atleti del Centro Italia siamo un po’ sfortunati.”

Si è continuato così a confrontare apertamente i due mondi dello Sport, quello “ufficiale” dei normodotati e quello ancora poco conosciuto dei disabili, che tuttavia sembra aver ricevuto maggiore interesse negli ultimi anni, forse a causa della “curiosità” suscitata al pubblico.

Perché se da una parte possiamo osservare gli sport tradizionali, dall’altra vediamo atleti che utilizzano strumenti “alternativi” da quelli usuali, tenendo anche conto del fatto che ogni sportivo ha una disabilità diversa dall’altro, cosa che determina un diverso tipo di allenamento e di accortezze.

Aprirsi al mondo dello Sport paralimpico dunque, non fa bene solo ai disabili che facendo attività fisica possono tenersi impegnati tutto il giorno e combattere così frustrazioni e complicanze di natura fisica, correlate al loro disagio (come il sovrappeso) ma anche ai normodotati.

Guardare da vicino la disabilità ci allontana infatti da quella paura e da quell’imbarazzo che potremo inizialmente avere nell’approcciarci ad un disabile, spesso considerato più un peso che una risorsa dalla società.

Sono state illuminanti a tal riguardo le parole usate dallo stesso Vittorio Podestà, a conclusione dell’evento: “ciò che non si conosce ci fa sempre paura, inutile negarlo; quindi anche la disabilità può fare paura ad un normodotato. In realtà io faccio le stesse cose di prima, ho solo cambiato metodo nel farle. La società migliore è quella che va incontro a coloro che vivono peggio, che si tratti di disabili o di normodotati. Il disabile deve essere visto semplicemente come qualcuno che sperimenta una strada “diversa” dagli altri, non è quindi una spesa ma un investimento per la Società, come è dimostrato dall’esistenza di atleti che gareggiano con metodi alternativi, ma che si allenano quotidianamente e che vincono comunque, portando a Casa tante medaglie e soddisfazioni.”

 

 

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