Viterbo CRONACA OMBREGGIATA

 

Michele è un anziano signore che abita in una villetta appena fuori della nostra città.

Dire villetta è un po’ esagerato, si tratta in realtà di un vecchio casale, piuttosto piccolo, uno di quei casali  che una volta venivano fatti costruire in campagna e se ne trovano ancora sparsi qua e là come funghi.

Ma la semplice struttura squadrata è stata ristrutturata con una certa eleganza, curata nei particolari e impreziosita con una veranda semicircolare chiusa con antichi pilastri di peperino e finestroni di vetro. Il giardino, ombreggiato da antichi e insolitamente grandi ulivi, è verde e ben curato, ma spartano e senza fiori. Il tutto, giardino e casa, è invisibile dalla strada che gli gira intorno su tre lati, perché è racchiuso da una severa recinzione in pietra sormontata da alte inferriate completamente occupate da una fitta siepe di gelsomini.

Dalla descrizione che ho fatto è facile immaginare che il proprietario possa essere un burbero che non ama la vita sociale.

Michele, infatti, vive da solo da alcuni anni, da quando è rimasto vedovo e i figli se ne sono andati in altre città. La sua casa è frequentata, ma esclusivamente per ragioni di lavoro, soltanto da una colf ad ore.

Michele riempie le sue giornate con la cura del giardino, con la lettura anzi la rilettura dei classici e con la televisione di cui apprezza i canali seri, quelli scientifici e politici e i vecchi film.  Quando non c’è niente che lo soddisfa, tira fuori da uno scaffale un vecchio classico film in DVD.

In occasione dell’ultimo Natale gli è capitato di rivedere un film ispirato a “Canto di Natale” di Dickens e ne è rimasto alquanto scioccato.

Non che Michele sia un avaro misantropo come Ebenezer Scrooge. Se andando a fare la spesa - è praticamente l’unico motivo che lo fa uscire di casa - incontra un conoscente, si ferma a parlare cordialmente e lo invita pure a fargli visita, ma con la scoraggiante formula “vieni una volta o l’altra”. Comunque quando qualcuno prende sul serio l’invito e si presenta,  lo accoglie con calorosa affabilità e simpatia. Non ne nasce però mai un rapporto di amicizia e di frequentazione regolare.

Michele non è Scrooge e quindi non schiavizza la sua colf, che anzi tratta con cortesia e paga correttamente, compresi i contributi; però le da del “lei” ed è lieto quando, a fine orario, quella se ne va.

Però il dubbio che qualcuno possa pensarlo come una specie di Scrooge, o più semplicemente il sospetto di essere un po’ Scrooge, si è insinuato subdolamente in lui e ogni giorno riaffiora dal subcosciente e lo tormenta.

Avvicinandosi la Pasqua, Michele decide di liberarsi da questo tarlo interiore. Fa un elenco di parenti ed amici ai quali fare le scuse per averli trascurati (sarebbe più corretto dire: ignorati, ma chi lo obbliga a dichiarasi colpevole doloso?) e darà loro gli auguri.

Michele ricorda che in passato, nelle ricorrenze di Natale e Pasqua, sono stati alcuni parenti ed amici ad avergli telefonato cortesemente. E lui ha risposto ringraziando con una cortesia piuttosto freddina. Quest’anno, per Pasqua, li precederà.

Comincia telefonando ad un cugino. Il cugino risponde col vivavoce e, mentre si scambiano i convenevoli, sente una voce femminile che dice : “Chi è? Michele? Per carità non lo invitare!”

Telefona poi ad un compagno di scuola, col quale è rimasto in contatto sia pure saltuario. Anche qui frasi di circostanza, scambio di auguri e conclusione dell’amico che dice: “So che sei solo, ti inviterei volentieri, ma ho la casa piena di ospiti e ti trascurerei. Però vieni a trovarmi una volta o l’altra”.

Chiama quindi la cognata, sorella della sua povera moglie. Solita chiacchierata del più e del meno, scambio di auguri e chiusura della conversazione con la cognata che gli dice: “Tu non immagini quanto mi farebbe piacere averti con noi al pranzo di Pasqua, ma ho in casa tre nipotini pestiferi che strillano sempre e a te, conoscendo il tuo carattere, darebbero fastidio. Sarà per un’altra volta”.

Per non annoiare il lettore con la descrizione di altre telefonate, dirò solo che sono più o meno garbate e diplomatiche, ma simili nella sostanza.

Michele è abbastanza intelligente ed esperto di psicologia della comunicazione per capire che i suoi interlocutori hanno gradito il pensiero degli auguri, ma hanno temuto che ci potesse essere sottinteso, ma pronto ad uscir fuori, un desiderio di essere invitato.

Michele invece non intendeva sollecitare un invito: orso com’è, non gradisce partecipare ad un pranzo di festa in casa d’altri. Quindi un po’ ci si diverte a scoprire che la grettezza d’animo non è solo dalla parte sua, ma è piuttosto diffusa. D’altra parte sente sollievo per aver fatto il primo passo di cortesia verso gente con la quale ha comunque un legame parentale o anche semplicemente di amicizia.

Michele ora si sente in buona grazia di Dio - è pure Pasqua, no? – e si ripromette di organizzare lui un invito per il pranzo del prossimo Natale o Capodanno.

“Ma non sarà troppa gente? Non sarà troppo complicato?” gli sussurra una vocina del subcosciente. Michele però è contento di aver allontanato da sé l’ombra di Scrooge. Fa spallucce al problema e sorride.

                                                Aggì

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