Viterbo IL RACCONTO
Agostino G. Pasquali

Chi ha ucciso la bella Nadia?

IL RACCONTO: Chi ha ucciso la bella Nadia? Primo giorno

SECONDO GIORNO

     Il maresciallo Grandasso si è quasi dimenticato della lettera anonima e sta in ufficio intento a leggere e capire una circolare di istruzioni redatta nel consueto linguaggio burocratese, pieno di rinvii e di circonlocuzioni arcaiche.

Leggendo arriva a un paragrafo che s’inizia così:

     “Interpretando in senso restrittivo la norma de quo e tenendo conto del combinato disposto dell’articolo 26, terzo comma della legge n. 163, il quale presenta una deroga alla fattispecie prevista nell’articolo 12 duodecies della legge medesima…”

     “Ma vate caté ‘n casul!” (*) Impreca sottovoce il maresciallo buttando via la circolare e dimostrandosi questa volta poco ‘bùgia nen’; poi si alza e va nella sala riunioni a prendersi un caffè al distributore automatico. Non riesce a rassegnarsi di dover subire le complicazioni dei legulei che pensano teorico e scrivono contorto perché non conoscono la vita reale, non trattano con la gente che vive al di là delle loro scrivanie e lotta tutti i giorni con i problemi della convivenza, con le difficoltà economiche, con le ingiustizie grandi della società e quelle piccole, ma non meno fastidiose, dell’ambiente di lavoro e della convivenza familiare.

     A proposito di convivenza familiare gli viene in mente la casa Pinsoni citata dall’anonimo e le indagini che certamente saranno state fatte da Olivone. Beve in fretta il caffè scottandosi il palato perché il caffè del distributore automatico è sempre troppo caldo nel bicchiere di plastica sottile che non ne mitiga la temperatura eccessiva. Torna nel suo ufficio e fa chiamare il carabiniere Olivone, il quale stava aspettando proprio quella chiamata e si presenta immediatamente.

     “Dunque, che mi dici? Hai accertato qualcosa?”

     “Certo, marescià, pure troppo. Me facite accomodà? Tengo nu puoco d’appunti ‘a veré…”

     “Mettiti pure seduto e dimmi. Ma, per favore, controlla la tua tendenza a parlare in dialetto. Se no, boja fauss! Mi a’t’parl’ piemunteis e fuma n’auta Babele!”(**)

     “Obbedisco e mi adeguo alla sua giusta richiesta.”

     Olivone trae da una cartella alcuni fogli e, con un’aria molto seria, comincia ad esporre:

     “Dunque iniziamo con il ragazzo. Trattasi di tale Gervasi Filippo, nato il 23 gennaio 2007 a Roma, trasferitosi qui due anni fa e residente con la famiglia in via Giosuè Carducci vent…”

     “Uffa! Lascia perdere i particolari anagrafici e vieni al dunque. Da chi ha avuto la lettera?”

     “Da me interrogato, ha risposto che gliela ha data un signore sconosciuto che gli ha pagato dieci euri con l’incarico specifico di consegnarla a lei, al maresciallo, solo a lei personalmente.”

     “Ma com’era questo tizio. Il ragazzo se lo ricorda? L’ha descritto?”

     “Sì. Ha detto che era parecchio vestito con impermeabile, cappello da vecchio del tipo a tesa larga, capelli lunghi, barba e baffi, tutti neri. Ha pure detto che secondo lui quell’uomo era truccato come un attore, come Tom Millians…”

     “Tom, chi?”

     “Millians… quello detto ‘er Monnezza’.”

     “Vabbè, ho capito. Sicuramente un travestimento per non essere riconosciuto. E della casa Pinsoni, che mi dici?”

     “La casa Pinsoni, dove c’è stata una morte recente, è una villa nella frazione di Sovrana. Ci abita da venti anni, cioè da quando è andata in pensione, la signora Wlader Maria Pia, vedova Pinsoni, nata il… Ho capito, marescià: devo saltare l’anagrafe… Dunque la signora vive da sola, nonostante problemi di salute che le impediscono di uscire se non accompagnata da qualcuno. Per l’appunto aveva una badante, una profuga siriana di nome Nadia, ma solo fino a due mesi fa. Perché… [pausa ad effetto] … la morta è proprio lei.”

     “Lei chi? La badante?”

     “Sì.”

     “E di che è morta?”

     “Si dice: infarto.”

     “Era vecchia?”

   “Vedete, marescià, che l’anagrafe è importante? Non me l’avete fatto dire… ma che! Vecchia? No, giovanissima! Nata nel 1992, aveva dunque venticinque anni, nemmeno compiuti.”

     “Ed è morta d’infarto? Beh, è possibile, ma raro a quell’età. Aveva già qualche problema cardiaco?”

     “Non risulta. I vicini di casa, da me opportunamente interrogati, hanno detto che la Nadia era in ottima salute... Era pure bella. Proprio ‘na bella guagliona. Aggio veruta ‘na foto… - scusatemi il dialetto - una foto fatta insieme ad una vicina di casa, di nome Emma, della quale era amica. La volete vedere? Me l’ha mostrata la detta Emma sul suo smartefonne e io me la sono fatta trasferire co’o’uottesappe sul mio smartefonne. Guardate qua.”

     “Fammi vedere, ma risparmiami le parolacce informatiche.”

     Olivone mostra orgoglioso la sua competenza tecnologica e il maresciallo può osservare lo scorrere di immagini sul display, finché Olivone ferma sulla foto di due ragazze: Nadia abbracciata con un’amica, tutte e due su una spiaggetta del lago di Vico. Sono vestite con costumi da bagno succinti, due bellezze da concorso di miss Italia: Emma è una bruna dall’aspetto furbetto, Nadia è un tipo un po’ esotico, aria sognante, con una caratteristica capigliatura rossa fiammeggiante.

     “Sì, è proprio bella e... bona! E pure quell’altra! Ma allora, se era in ottima salute come si vede qui, la morte… può… essere sospetta? come ha scritto l’anonimo?”

     “L’amica, che si chiama Emma, di cognome Neri, nata il… no, non ve lo dico quando è nata, a meno che non me lo chiedete voi. Dunque la Neri ha detto che secondo lei, che conosceva bene Nadia, quella morte così improvvisa è inspiegabile.”

     “Neri Emma? Parente del mio vecchio amico Vittorio Neri, buon’anima?”

     “Questo non lo saprei, non ho pensato a chiedere.”

     “ Devi dirmi altro?”

     “Dunque… fatemi guardare gli appunti… ecco, sì, la signora vedova Pinsoni è ricca, senza eredi legittimi, ma ci sono due giovani nipoti, Pinsoni Aurelio di anni ventisette e Pinsoni Stefano di anni ventiquattro, che le sono molto affezionati, probabilmente perché contano sull’eredità. Infatti, da quando è morta Nadia, vanno a trovare la zia quasi tutte le sere per vedere se sta bene e se ha bisogno di qualcosa. D’altra parte i vicini della vedova Pinsoni si prestano a farle le commissioni, in particolare la Neri Emma, che già frequentava casa Pinsoni perché era amica di Nadia. Ma sembra che i nipoti non vogliano che la Neri né altre persone frequentino casa Pinsoni. Me l’ha detto la stessa Neri che pare molto dispiaciuta, quasi gelosa di essere… come dire?... estromessa, tenuta lontana dalla casa della signora. Però la Neri, che è una persona molto socievole, va lo stesso di tanto in tanto a trovare la vecchia.”

                                                                    *     *     *

     Olivone ha fatto un bel lavoro e ha fornito al maresciallo Grandasso qualche elemento da esaminare e interpretare.

     - Prima di tutto c’è il sospetto, già segnalato dall’anonimo e confermato da Neri Emma, che la morte di Nadia non sia naturale, ma che la ragazza sia stata uccisa. Però a priori non si può escludere neppure un suicidio o una morte per overdose... I giovani d’oggi sono imprevedibili.

     - Ma qualcuno deve aver controllato questa morte, un medico deve certamente aver visto la defunta e compilato il certificato di rito per l’anagrafe comunale.

     - Poi c’è questa foto di Nadia ed Emma seminude, cioè in costume da bagno, abbracciate. Che siano lesbiche? Ma che c’entra questo con la morte?

     - Però due belle giovani, quasi due modelle… Come dicono i francesi? Dicono: se c’è un mistero “cherchez la femme!”, ma - aggiunge il maresciallo ricco di esperienza e di buon senso - se c’è una “femme”, e qui ce ne sono due, “cherchez aussi l’homme, ou bien les hommes!”

     - E anche di uomini ce ne sono due, e questi due per giunta sono giovani.

     Il maresciallo decide che è venuto il momento di vedere più chiaro in tutta questa faccenda. Incarica Olivone di accertare chi è il medico che ha redatto il certificato di morte e possibilmente di sentirlo. E poi sarà opportuno fare una visita alla vedova Pinsoni e, di nuovo, alla bella signorina Neri. Queste visite le farà personalmente lui.

     -----------------------

(*) Esclamazione piemontese che tradotta alla lettera significa: “Vatti a comprare un mestolo!”, ma semanticamente è l’equivalente del comunissimo invito: “Va a quel paese!”, o anche del becero e volgare: “Vaffan…”. Anche un torinese autentico e un po’ all’antica, come il maresciallo Grandasso, conosce questa esclamazione più volgare, ma non la direbbe mai, nemmeno sotto tortura.

(**) “Boja fàuss!” è un’altra esclamazione piemontese che si traduce alla lettera come “Boia falso!” che però non significa nulla. Equivale ad un italiano “Perbacco!” o meglio “Porca miseria!” O anche “Porca puttana”? Non esageriamo! Un piemontese all’antica, come il maresciallo, non la direbbe mai, nemmeno sotto doppia tortura. Il resto della frase significa: “Io ti parlo in piemontese e facciamo un’altra Babele.”

(Continua domani)

Agostino G. Pasquali

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