Viterbo IL RACCONTO
Agostino G. Pasquali

IL RACCONTO: Osvaldo, uno come tanti. Primo racconto - Secondo racconto -Terzo racconto - Quarto racconto - Quinto racconto - Sesto racconto e fine della Prima parte

Osvaldo, uno come tanti

7. Questioni di fede

     Osvaldo cominciò abbastanza presto a superare la spiacevole esperienza dell’abbandono da parte di Gina. Non dimenticava, anzi ci pensava spesso, ma ne soffriva di meno.

     Lui era, come aveva confessato nel diario del 1° marzo, un tipo che non si affezionava mai profondamente né alle cose né alle persone, perciò poteva fare a meno di Gina che pure aveva rappresentato il legame più affettuoso e intimo della sua vita. D’altra parte aveva sempre sospettato, sia pure vagamente, che il loro rapporto fosse precario, una specie di amore con i voucher, e ne aveva avuto la conferma esplicita con la reazione negativa di lei alla sua decisione di diventare coltivatore diretto, reazione brutale anche se mitigata subito dopo dalla promessa di seguirlo, però a certe condizioni: lui non doveva andare lontano e lei si teneva il suo lavoro cittadino.

     Osvaldo era una di quelle persone piuttosto istintive ma anche un po’ insicure che agiscono d’impulso e poi ci rimuginano, quindi costruiscono ipotesi per spiegare, spesso in termini complicati e arruffati, anche la realtà più semplice. Pertanto, alla luce di quanto gli aveva detto il vigilante, si era convinto che la scenata di Gina, le sera del rientro dal Quercione, era stata la manifestazione di una decisione già presa, e ipotizzava che la cenetta dovesse essere la recita della scena di addio, salvo un successivo ripensamento, se ritenuto conveniente da lei. Infatti, era appunto quello che aveva fatto con il vigilante: preso, lasciato e ripreso, come fa il gatto con il topo.

     Continuando nella sua ricostruzione mentale immaginò che Gina avesse programmato tutto proprio per una recita da grande attrice, per declamare:

     “Caro, ti voglio bene, però al momento non posso condividere le tue scelte. Ma il futuro? Chi lo sa? Tu potresti ritornare in città. Io ti aspetterò. Il mio amore per te non finirà mai.”

     “Che paracula, che puttana!” pensò Osvaldo e concluse che l’essere ritornato tardi e un po’ brillo doveva aver innervosito Gina e l’aveva fatta esplodere in una ben diversa manifestazione di brutalità e sincerità, però gli aveva fortunatamente risparmiato quella recita, nella quale lui avrebbe fatto la figura della marionetta o del topo. La conclusione imprevista spiegava il drastico rifiuto che lei aveva tenuto di fronte ai suoi appelli telefonici.

     Osvaldo aveva ragione? Forse sì, ma si poteva anche ipotizzare il contrario, cioè che Gina avesse avuto buone intenzioni, sempre che quell’incontro fosse andato diversamente.

     I sapienti dicono che la storia non si fa con i ‘se’ e con i ‘ma’. Quindi io, che non mi ritengo sapiente, ma tutt’al più un piccolo dilettante di psicologia spicciola, lascerò l’interrogativo senza risposta.

                                                                                *     *     *

     Osvaldo stava preparando l’orto, un piccolo orto per uso personale: pomodori (immancabili), cicoria (facile da coltivare), lattuga (chissà se sarebbe cresciuta tenera come quella dei vivai?) e ‘odori’ (prezzemolo, menta, basilico e origano). Mentre preparava le aiole per le semine e i trapianti, pareggiando con zappa e rastrello la terra smossa il giorno prima da Sandrone con la motozappa, lasciava libero il pensiero e gli permetteva di vagare.

     Rimuginava, ancora una volta, gli avvenimenti recenti e si proponeva di essere in futuro più prudente, di non eccedere con l’alcol che aveva provocato lo scontro con Gina e l’abbandono da parte di lei. Ormai era andata così e doveva adattarsi al cambiamento. La vita non è forse una sequenza di svolte? di decisioni prese per caso o per l’intervento di volontà altrui?

     Cambiò argomento di pensiero. La sera prima aveva visto in televisione un servizio sui vegani. Per la verità si era trattato di un servizio alquanto inconcludente perché aveva lascito dubbi sulla validità scientifica della dottrina vegana, ma ne aveva esaltato l’aspetto etico. Infatti Osvaldo era rimasto molto impressionato dall’esigenza di rispettare gli animali e di evitare loro ogni sofferenza inutile o anche utile. Ma utile poi, per chi? Per l’uomo egoista e sfruttatore?

     Gli era sembrato inevitabile che lui, avendo deciso di dedicarsi all’agricoltura, cioè ad un sistema di vita naturale, dovesse esaminare la dottrina vegana e accertare se c’era una giustificazione scientifica e morale nell’escludere drasticamente lo sfruttamento degli animali per mangiarli, ma anche solo per derubarli di latte e uova, o per farli vivere in luoghi artificiosi e secondo ritmi innaturali.

     Ad ogni colpo di zappa, ad ogni strisciata di rastrello, il pensiero si orientava ad accettare il veganismo. Impulsivamente decise di divenire vegano. Per sua fortuna la conversione, perché di una vera conversione si trattava, non comportava difficoltà contingenti: lui non allevava animali e in casa ospitava soltanto un gatto, il Roscio, ma gli lasciava ogni libertà. È vero che Roscio cacciava e divorava animaletti di ogni genere: topi, uccellini e chissà che altro e quindi era tutt’altro che un vegano. Ma il gatto è un gatto, e lui non era mica un gatto.

   Certo il problema meritava un approfondimento e cominciò a pensarci su, ma fu interrotto dal rombo di una motocicletta che si avvicinava.

 

     Una ‘Enduro Honda Africa Twin’ si fermò proprio davanti al casale, a venti metri di distanza dal luogo dove Osvaldo stava lavorando, ne scese un motociclista in tuta rossa e casco integrale pure rosso. Con quell’abbigliamento era irriconoscibile e Osvaldo si chiedeva se mai l’avesse già visto o conosciuto. Intanto quello sistemò la moto sul cavalletto e si tolse il casco dal quale uscì, liberata da uno scuotimento della testa, una lunga capigliatura nera corvina legata a coda di cavallo. Era una giovane donna che si girò verso Osvaldo, gli presentò un viso sorridente e lo salutò: “Ciao, bello!”

   Allora lui la riconobbe: era Teresa, la pronipote di Gavino Nieddu. Restò imbambolato per la visita del tutto inaspettata e per quel saluto troppo disinvolto per le sue abitudini di comportamento. La ragazza gli si avvicinò con passo svelto ed elastico muovendosi con la grazia e la flessuosità di un gatto, lo raggiunse e, senza dargli il tempo di fare e dire qualcosa, lo afferrò per le mani, gli si accostò e lo baciò sulle guance. Poi parlò senza nemmeno un accenno di pausa:

   “Passavo di qui sto andando al casale dei Ferranti tu non li conosci hanno la vacca Carolina che deve avere un vitello è primipara per cui è opportuno che la assista e l’aiuti io mi hanno telefonato che il parto è aperto quindi devo correre; tieni questo è per te lo manda il nonno è l’invito per la festa del lunedì di Pasqua, fra una settimana. Ho fretta. Ciao bello!”

     Gli mise in mano una busta, corse verso la moto, rimise il casco, avviò il motore e partì sgommando. Quando Osvaldo riuscì a schiarirsi le idee la moto già strepitava allontanandosi.

     Aprì la busta. Conteneva un cartoncino con l’invito personale al signor dottor Osvaldo Novotti per il pranzo sociale del Quercione, il lunedì dell’Angelo, con un’annotazione a penna: “Non mancare, ci tengo alla tua presenza. Gavino”.

     Si commosse e gli vennero le lacrime agli occhi per quest’invito che gli mitigava la solitudine. Dopo i primi giorni di vita in campagna, pieni di novità e resi tumultuosi dalla vicenda di Gina, aveva cominciato a sentire una certa inquietudine: aveva troncato ogni legame con la città e con i vecchi amici; era stato abbandonato da Gina; era rimasto solo con la compagnia di un gatto per la notte e di Sandrone per il giorno, ma non tutti i giorni e comunque in modo del tutto provvisorio destinato a esaurirsi nel tempo. Pensava, o almeno sperava, che quest’invito fosse una sorta di cooptazione nel gruppo sociale del Quercione, una comunità che aveva cominciato a conoscere e a stimare e che gli sembrava la forma giusta di piccola società umana, contrapposta al gretto individualismo della città, dove si conosce molta gente, ma non si dà confidenza a nessuno perché non ci si fida di nessuno.

                                                                                *     *     *

     Più tardi, erano circa le ore 12 e 30, Osvaldo si sentiva stanco: aveva lavorato parecchio con le braccia e intanto aveva lasciato che la mente ondeggiasse tra pensieri vegani e lievi piacevoli sensazioni derivanti dalla brevissima visita di Teresa. Deposti gli attrezzi da lavoro e archiviati i pensieri, decise di fare una pausa e uno spuntino. Stava per entrare nel casale quando sentì in avvicinamento il rumore scoppiettante di una moto. Qualche attimo dopo si trovò davanti Teresa con il consueto saluto: “Ciao, bello!”

     Questa volta non fu impreparato e rispose a tono:

     “Ciao Teresa! A forza di sentirmi dire ‘bello’ finirò per crederci.”

     “Oh! Non ti montare la testa. Io dico ‘bello’ a tutti, anche al cane e al gatto.”

 E rise Teresa, rise di un riso così spontaneo e coinvolgente che contagiò Osvaldo, poi aggiunse:

     “Ho finito presto dai Ferranti. La mucca è stata brava e ha fatto quasi tutto da sé. Poco tempo e poco aiuto. È nato un vitellino, un maschio che sarà ingrassato e poi macellato in autunno. Avrebbero preferito una vitellina per ringiovanire la mandria, ma gli sta bene anche così: pure le bestie da macello sono utili.”

     Osvaldo incupì il volto in modo evidente e lei lo notò.

   “Ooh! Che ti impressioni per cose così naturali?”

   “Veramente stavo proprio adesso meditando di diventare vegano. Ho visto ieri sera un servizio TV che mi ha convinto che non sia giusto che noi esseri umani sfruttiamo, torturiamo, uccidiamo gli animali per un nostro piacere, che dire sadico è poco…”

     “Ma va?” lo interruppe lei. “Non ti facevo così ingenuo. E pure… tu hai studiato, sei erudito, hai una certa maturità per l’età. Oh, mica dico che sei vecchio! Eh?”

     “Eh no! Così mi offendi.” Protestò Osvaldo. “Ma ti sembra normale, giustificato, ETICO, maltrattare e sfruttare gli animali?”

     “Scusa il mio modo di fare troppo rustico che mi porta ad esagerare con le parole. Ma la questione merita una trattazione razionale: si deve scindere l’aspetto alimentare da quello etico. Se no, si fa il solito polpettone romantico e lacrimoso. A proposito di polpettone, cioè cibo, stamattina non ho fatto colazione, mi offri tu qualcosa da mangiare?”

     L’espressione sorridente del viso e la dolcezza della voce di Teresa avrebbero intenerito anche un orco. Osvaldo sentì svanire ogni diffidenza e resistenza.

     “Molto volentieri. Che ti va? Ho cibi pronti di ogni genere. Vieni saliamo di sopra e decidiamo.”

 

     A tavola fecero uno spuntino ‘casual’ spilluzzicando come veniva, però non era certo il cibo che interessava a loro, ma il piacere di stare insieme. Dal primo incontro a casa di Gavino avevano sentito entrambi reciprocamente una attrazione che non aveva nulla di erotico, ma era simpatia pur nella loro diversità: lui tendenzialmente istintivo pessimista e un po’ introverso, lei ottimista espansiva ma anche razionale.

     Teresa notò che Osvaldo aveva evitato accuratamente i cibi a base di carne, latte e uova, e quindi si era preparato un piatto di insalata mista con lattuga e fagioli in scatola. Lei, senza fare complimenti, si preparò dei generosissimi tramezzini con prosciutto e formaggio.

     Fu lei a riaprire il discorso sul veganismo.

     “Vedi, Osvaldo? L’aspetto etico dichiarato dai vegani, cioè rispettare gli animali, è perfettamente condivisibile; ma per loro, i vegani, in definitiva è una difesa, una copertura per la inconsistenza delle loro presunte ragioni biologiche.

     Noi siamo onnivori, non c’è alcun dubbio, perché siamo una evoluzione delle scimmie o parallela alle scimmie, che sono onnivore. Non confondiamo carnivori con onnivori. Non siamo certamente carnivori, come un gatto o una tigre e neppure come un cane, che si è evoluto, anzi noi l’abbiamo fatto evolvere, verso una inclinazione onnivora che tuttavia accetta malvolentieri. Non ci credi? Allora prova a dare a un cane un piatto di pasta, uno di verdure e uno di carne e poi guarda che cosa sceglie.”

     “Ma i vegani, lo sentivo ieri sera, dicono che il nostro intestino è lungo come quello degli erbivori, non è corto come quello dei carnivori…”

     “Certo, perché, te lo ripeto, noi siamo onnivori e quindi ci nutriamo anche con i vegetali. Vedi? L’errore dei vegani sta proprio nel mettere l’uomo in drastica alternativa: o erbivoro o carnivoro. Non c’è dubbio che certi aspetti dell’anatomia umana ci fanno somiglianti agli erbivori piuttosto che ai carnivori. Ma ti ripeto ancora una volta che noi siamo onnivori, e infatti somigliamo molto agli animali onnivori, anche nell’aspetto. Ad un uomo brutto che gli dici? “Sembri un cane, una tigre, un cavallo, un coniglio? o, piuttosto, sembri una scimmia?” Per fortuna non è il caso tuo, tu somigli a un angelo, ma non per questo sei un puro spirito.”

   “Grazie per l’angelo,Teresa, ma non posso dire la stessa cosa di te. Tu, a volte, sembri un po’ un diavoletto. Per esempio quando vai in moto con questa tuta ‘rosso fiamma’ e fai certe sgommate che manco Valentino Rossi.”

   Risero tutti e due. Poi Osvaldo avanzò altre eccezioni.

   “Però la dentatura? La salivazione? I muscoli facciali? La masticazione? Non sono tutti elementi che avvicinano l’uomo agli erbivori? Questo diceva in TV il vegano, che non mi ricordo il nome.”

   “Hai detto bene: ‘Ci avvicina’, questo è vero, ma non ci rende uguali. È sempre quello il punto fondamentale: NOI SIAMO ONNIVORI! Però questo non vuol dire che dobbiamo mangiare fifty-fifty carne e vegetali. È bene che la carne, come pure i latticini e le uova, siano una parte minoritaria della nostra alimentazione. Come dire siamo più vegetariani che carnivori. Ma anche.”

     “Mi hai quasi convinto. Sei brava, ma come sai tutte queste cose?”

     “Dimentichi che sono una veterinaria? Conosco bene gli animali e, ti assicuro, pure gli esseri umani.”

     “Ma, ultima obiezione, le sofferenze?”

     “Questo è appunto l’altro aspetto da tenere distinto. Su questo i vegani hanno ragione. Però anche chi non è vegano può rispettare gli animali, anzi li deve rispettare. Vieni a vedere come noi, al Quercione, trattiamo gli animali. E sta sicuro che una mucca, se potesse ragionare e parlare, ti direbbe che sta meglio a dormire nella nostra stalla piuttosto che all’addiaccio, che mangia ben volentieri il fieno e i cereali che le diamo noi, piuttosto che poca erba secca da brucare per ore e ore, e restando spesso a stomaco vuoto o quasi. E il latte? Ti assicuro che ce lo dà volentieri.”

     “Ma i vitelli, gli agnelli, da macellare? Domenica, al vostro pranzo di Pasquetta, immagino che ci saranno. E a me farà pena vederli arrostiti…”

     “Osvaldo, ingenuo Osvaldo! Certo che ci sarà agnello arrosto e pure fritto. Ma tu mangerai quello che vorrai; ti farò preparare un vassoio di patate e cipolle tutto per te. Va bene così? Ci stai?

     Ma lo sai che per produrre latte le pecore devono prima figliare, che è una funzione naturale? Le mucche idem. Lo sai che nascono più o meno tanti maschi e tante femmine? Dei maschi che ne facciamo? Riempiamo il gregge di montoni e la stalla di tori? Guarda che anche madre natura usa strategie analoghe: in libertà sopravvivono più le femmine che i maschi, e i maschi vivono spesso una vita stenta, costretti all’isolamento e all’astinenza sessuale, a meno che diventino capi branco. Questa è la vita degli animali erbivori. Per i carnivori è un po’ diverso, ma questo discorso ci porta fuori tema e lo chiudo. Invece ti voglio dare un’ultima prova che noi siamo ‘anche’ carnivori, anzi cacciatori di animali, cioè predatori. Ora che sei più informato, trovala da te questa prova, te la propongo come quiz: esamina gli occhi degli animali e poi dimmi a quali somigliamo di più e per quale motivo. Pensaci. Mi risponderai lunedì.”

 

     “Va bene, ci penserò. Intanto: okay, prosit!” disse Osvaldo addentando uno dei tramezzini con formaggio e prosciutto, e lo fece con evidente soddisfazione, quasi a compensare il sacrificio di aver mangiato qualche boccone di stupida insalata di lattuga e fagioli. Mandò giù il boccone e poi chiese:

     “Ma tu che sai tutto, mi spieghi allora perche la dottrina vegana ha successo? Pare, diceva la TV, che i vegani in Italia siano due milioni. Solo i vegani, eh! I vegetariani sono a parte e sono pure di più…”

     “Semplice la risposta! È una questione di fede. Tanta gente ha necessità di una fede, di credere in una religione magari laica, e tale è il veganismo. Ha successo perché nella nostra società le religioni tradizionali stanno perdendo credito e fascino. Essere vegano è come essere cattolico, o musulmano, o testimone di Geova, o membro di una setta esoterica, e così via. La fede religiosa, purché non sia fondamentalista o integralista, rende la gente migliore. Così il veganismo etico può essere un bene purché i vegani non diventino estremisti e non pretendano di sottomettere gli altri, e… non si rovinino la salute. ”

     “Questa poi… mi pare proprio grossa. Ci devo riflettere.”

 

Agostino G. Pasquali

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