Montefiascone L'OPINIONE
Giuseppe Bracchi – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

21 agosto 1968: 49 anni fa, le truppe del Patto di Varsavia scrivevano la parola fine sulla Primavera di Praga.

Alle cinque del mattino, la popolazione incredula si era riversata in strada in segno di protesta, invocando a gran voce i nomi di Dubček e Svoboda. I carri armati sovietici, ungheresi, bulgari e della Germania Est aveva intanto attraversato il Ponte di San Carlo al suono di quella sirena che aveva già annunciato in modo lugubre l’ingresso a Praga delle truppe naziste.

Soltanto due settimane prima un treno si era fermato a Bratislava. Ne erano discesi il Ministro degli Esteri Kosygin ed il Segretario generale del PCUS Breznev. Sembrava una visita rassicurante la loro. Dubček era sorridente e lungo la strada due ali di folla plaudente inneggiava i padroni sovietici, ignare del feroce destino che di lì a due settimane sarebbe toccato proprio a loro, al popolo cecoslovacco.

Un socialismo dal volto umano? Perché, prima erano forse predominanti i tratti disumani di questo socialismo? Solo un’utopia. Già l’epoca kruscioviana aveva abbondantemente illuso le anime pie. Le denunce dei crimini staliniani non erano stati sufficienti a far deviare il comunismo dai suoi scellerati crimini. Ne fu dimostrazione la triste vicenda del popolo ungherese nel novembre del 1956. Ne fu dimostrazione la triste vicenda dello scrittore russo Boris Pasternack, costretto a pubblicare in Italia il suo Dottor Zivago e a rinunciare al Premio Nobel per la letteratura, che gli era stato conferito da Stoccolma.

Democrazia, libertà, pluralismo politico, abolizione della censura, visti e vissuti come impegno responsabile di ciascuno e di tutto un popolo, non facevano parte del vocabolario comunista. Dopo Praga e fino al crollo del Muro di Berlino, una sola era la parola d’ordine oltre cortina: ciascuno stato vassallo si confezioni il socialismo secondo le proprie esigenze, libertà esclusa. Fu questa la dottrina brezneviana della sovranità limitata. Vent’anni più tardi la Polonia sarà più fortunata. Ma nel frattempo un papa polacco era salito sul soglio di Pietro, Karol Wojtila. Né i sovietici avevano fatto bene i conti su come far fronte all’orgoglio nazionale polacco, che nonostante la dura repressione comunista, aveva trovato la sua massima espressione nel colpo di mano del generale Jaruzelsky.

21 agosto 1969: ad un anno esatto di distanza dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia, in Piazza san Venceslao a Praga, uno studente ventenne della Facoltà di Filosofia si diede fuoco per protestare contro l’inerzia e la rassegnazione dei suoi connazionali di fronte all’oltraggio subito un anno prima. Si chiamava Jan Palach. Nessuno lo avrebbe più dimenticato. E come tanti morti caduti sotto l’utopia della falce e martello, i loro spiriti avrebbero continuato ad aleggiare sopra i loro assassini, accompagnando il sogno di libertà dei popoli oltrecortina fino al suo compimento.

Possono ancora a distanza di tempo insegnarci qualcosa queste tristi vicende della storia, questo secolo delle Idee assassine appena trascorso, questo Passato di una illusione come lo definì uno dei protagonisti e degli eredi del dolore degli ungheresi, lo storico François Fejtő?

Col passato occorre sempre fare i conti. In Italia sono in molti a non averlo ancora compreso, a distanza di 72 anni dalla morte di Mussolini e dal crollo del fascismo. Più che il diritto penale sono gli storici che se ne dovrebbero occupare. Ma sganciando la storia dall’ideologia antifascista fino ad oggi purtroppo ancora imperante, che ne verrebbe fuori? Molto probabilmente tanto imbarazzo proprio per gli eredi del PCI, che a cominciare dall’allora Ministro della Giustizia del dopoguerra Palmiro Togliatti, furono i primi a sdoganare i fratelli in camicia nera, per favorirne l’ingresso nel partito bolscevico più forte dell’Occidente.

In Ungheria, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Romania, tanto per citarne alcune, le tristi vestigia del comunismo non sono state distrutte, ma sono rimaste a disposizione della memoria dell’uomo, affinché ciascuno mediti i cuor suo la dignità dell’uomo oltraggiata e calpestata, come Auschwitz, lo fu per l’Olocausto ebreo. Non a caso un grandissimo Papa, San Giovanni Paolo II, ci ha lasciato come testimonianza della sua vita di uomo e di polacco un testamento, a mio avviso, irrinunciabile per capire i crimini della storia: “Ho conosciuto nazismo e comunismo”.

In questo novembre 2017, saranno trascorsi cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre. E con felicissima sorpresa ho letto della iniziativa de La Nuova Europa, la rivista fondata dall’indimenticabile e compianto maestro di tante generazioni, Padre Romano Scalfi, di voler intraprendere uno studio degli errori e delle disastrose conseguenze del comunismo sotto una veste ed un’ottica prettamente religiosa.

La mia memoria è subito andata a due uomini della filosofia e della cultura contemporanei, oggi purtroppo scomparsi, ma che ciascuno a suo modo ci ha insegnato e ci ha lasciato in eredità pensieri, parole ed opere fondamentali per comprendere l’inganno delle rivoluzioni, che quasi sempre si fanno per il potere, mai per gli uomini. I loro nomi corrispondono a quelli del filosofo Augusto Del Noce e del matematico e scienziato Aleksandr Isaevič Solženicyn.

Entrambi furono insultati, dileggiati, dimenticati, censurati dai tanti Catoni e Censori della cultura da salotto del ‘900. Intorno a loro fu steso un cordone sanitario, eretto dai tanti intellettuali organici che vedevano compromesse le loro posizioni ed i loro guadagni, specie in Italia. Ed è facile immaginarne il motivo. Solženicyn e Del Noce, non erano classificabili. Non erano né di destra né di sinistra. Avevano a cuore una sola cosa: vivere senza menzogna. I discorsi di Harvard, filo conduttore per comprendere, come le Memorie dal sottosuolo dostojevskjane, i suoi romanzi denuncia: Divisione cancro, Primo Cerchio, Una giornata di Ivan Denisovic, fino ad Arcipelago Gulag, furono indigesti non solo ai comunisti, ma anche ai nostrani sedicenti liberali e democratici, perché il Dissidente russo aveva visto lontano. Aveva avuto, cioè l’ardire di denunciare anche i regimi occidentali, il cui materialismo godereccio sarebbe stato foriero di nuove oppressioni e di nuove dittature. A cosa altro corrisponde oggi lo strapotere della finanza internazionale, se non ad una nuova dittatura che umilia interi popoli e nazioni?

Augusto Del Noce seppe rimodellare la visione del Fascismo come quella di un fenomeno preparato dalla cultura dell’epoca, e dunque da considerarsi come errore della cultura e non contro la cultura, come lo stesso Benedetto Croce aveva insinuato narrando del fascismo come di una parentesi. Bastò questo assunto per farne un appestato. Ma viepiù lo si considerò come un prodotto patologico della cultura, quando osò criticare la Democrazia cristiana, quale erede di quel Modernismo politico già condannato da Pio XI nell’Enciclica Pascendi.

Né “Il Problema dell’ateismo”, Augusto Del Noce, seppe prima di ogni altro assumere come linea guida per la comprensione della storia e dei suoi accadimenti, l’ateismo come principio fondamentale di ogni teoria idealista che, etsi deus non daretur, compie opere di ingegneria sociale, avulso da ogni realtà. In principio fu Lutero, con la sua teologia della natura decaduta e malvagia dell’uomo, che solo il potere della spada può tenere a bada (Discorso ai principi della nazione tedesca). Poi giunse il cartesiano cogito ergo sum, che servì al marxismo per unire idea ed azione come metro di giudizio per l’immanentizzazione e la realizzazione del divino nella storia. Maestro fu il protestante Hegel e la sua manifestazione nella Storia dello Spirito assoluto di un Popolo.

Per non tralasciare Hobbes ed il suo Leviatan, espressione del potere autoreferenziale del Sovrano nell’atto di mantenere nella sua purezza quello stato di natura, che Rosseau vedrà scalfito dalla società, dalla politica e dall’economia. E lo stesso Giovanni Gentile, che fece dell’attualismo la trasposizione del divino nella storia come, appunto, attualizzazione dello Stato in forma di divinità. Tutte teorie costruttiviste, che, secondo Del Noce, erano servite a far passare in secondo piano quell’assunto dell’antropologia cristiana secondo la quale l’uomo, pur liberato col battesimo dal peccato originale, manteneva tuttavia lo status naturae lapsa. Elementi pelagiani e gnostici, dai quali la politica aveva bisogno di purificarsi, per far riedificare alla sua base quei principi religiosi, che soli, secondo Del Noce, potevano giustificarla e qualificarla moralmente, nella realizzazione del Bene comune e nella crescita soggettiva di ciascun uomo secondo la sua natura.

Questa è la suggestiva stella polare di una proposta. Questa potrebbe l’eredità culturale futura, che ci potrebbe fare approfondire le tragedie di un popolo e della storia stessa. Nulla deve essere tralasciato, in favore dell'accidia o della paura, se non vorremo rivivere quello stesso passato, pur in forme diverse, ma sicuramente più disumane.

 

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