Montefiascone L'OPINIONE
Giuseppe Bracchi – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

La storia si ripete: in Siria come in Libia, dove la triade Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna decisero di deporre il vecchio terrorista Gheddafi.

Soprattutto la Francia e la Gran Bretagna avevano conti in sospeso col dittatore libico. Dall’attentato di Lockerbie del 1988 (270 morti a seguito dell’esplosione di un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese) fino a tutta una serie di attentati in Francia.

L’Italia, con i governi presieduti da Andreotti e poi da Bettino Craxi, cercarono sempre la via della diplomazia e del dialogo col dittatore libico traendone vantaggi economici oltre ad una serie di rassicurazione dal punto di vista della sicurezza e dell’ordine pubblico interno.

Del resto la Libia era stata sempre presente nelle memorie storiche italiche, fin da quando il ministro Giolitti aveva deciso di chiamare col termine Libia (1911) le due province ottomane della Tripolitania e della Cirenaica, disegnando a tavolino quella che all’epoca non era neppure una nazione né uno stato, ma soltanto un coacervo di tribù sempre in procinto di scendere sul piede di una guerra intertribale.

E, nonostante tutto, furono sempre le tribù, diffidenti le une delle altre, a dominare la scena libica, con alterne vicende, fin quando nel 1969 Gheddafi con un colpo di stato, un misto di teologia e marxismo, riuscì ad imporsi destituendo re Idris.

Peraltro, l’adesione all’Islam si era dimostrata più fervente nella cosiddetta Cirenaica, quella parte convenzionale della Libia che rifacendosi alle dottrine di Senussi aveva anche dimostrato maggior resistenza alle mire colonialistiche dell’Italia giolittiana e poi fascista. E fu proprio dalle tribù orientali seguaci di Senussi che partì il segnale della rivolta contro il dittatore libico. Quale migliore occasione per Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna? Negli Stati Uniti, un Obama in versione Fabio Massimo il Temporeggiatore, voleva tacitare le critiche di un’opinione pubblica americana sempre più insoddisfatta della sua politica estera, mentre Francia e Gran Bretagna non vedevano l’ora di regolare quei conti in sospeso con Gheddafi e rispolverare le loro mire colonialiste in medio Oriente, anche e soprattutto a danno dell’Italia.

Il resto è storia di questi giorni. La Libia è precipitata nel caos più assoluto, terra di contesa e di conquista con in più la pericolosa ed oscura presenza di frange dell’Isis, porto franco dal quale l’immigrazione tenta di raggiungere le coste italiane e di un’Europa sempre più in via di islamizzazione. Ma a scandalizzare è stato e resta il più assordante silenzio della diplomazia e della politica italiana.

Mutatis mutandis, pagine di storia cruente si nascondono anche dietro l’attuale, cosiddetto intervento umanitario in Siria. E ancora la Francia e la Gran Bretagna furono protagoniste ed ebbero buona parte di responsabilità politica e diplomatica. Quando, infatti, nel 1916 si conclusero gli accordi di Sykes-Picot, accordi che divisero il Medio oriente in zone di influenza, attribuendo la Siria ed il Libano alla Francia ed alla Gran Bretagna la penisola arabica e l’attuale Iraq, furono Thomas Edward Lawrence ed il francese Louis Massignon (sacerdote cattolico di rito melchita e islamologo di fama mondiale) che parteciparono alle trattative tessendone le trame.

Peraltro Luois Massignon, che non vedeva di buon occhio la maggioranza sunnita presente in Siria, si unì alle rivendicazioni storiche dei partigiani di Alì, ed in particolare degli Alawiti una setta all’interno del mondo sciita, considerata eretica dai Sunniti, ma che secondo Massignon era da favorire, soprattutto da parte dell’Occidente perché filo cristiana. Mi chiedo, a questo punto, se siano soltanto ragioni geo politiche e strategiche a guidare la permanenza dei russi sul suolo siriano.

Ma un fatto storico, a mio avviso, è certo. Fu grazie alle teorie del Massignon ed il suo appoggio alla minoranza alawita che la generazione degli Assad ha potuto regnare incontrastata per quarant’anni, fino a giungere all’attuale Presidente Bashar al Assad, tanto che tra gli intellettuali ed accademici siriani si va da anni ripetendo un detto, che è diventato ormai quasi un mantra: C’est la faute à Massignon, ovvero è tutta colpa di Massignon.

Ma a prescindere dalle colpe, che sono e resteranno sempre materia di contesa tra gli storici, a mio avviso, è una guerra di religione quella che domina la scena siriana. Una maggioranza sunnita, sembra infatti mal metabolizzare il governo di una minoranza sciita e per di più eretica come quella alawita. Di qui i tentativi di insurrezione fin dal 1980, pagine sanguinose di fronte alle quali, sia la Francia che la Gran Bretagna non mi sembra abbiano mai mosso un dito. Ora, Macron ci viene a parlare di intervento umanitario. Ma secondo me la realtà è ben diversa.

La storia lungi dall’essere finita dopo la caduta del Muro di Berlino, come invece aveva a suo tempo profetizzato il politologo statunitense Francis Fukuyama, sta invece ridisegnando nuove strategie geo politiche, ancora più dinamiche e complesse, giacché vedono gli stati unirsi e coalizzarsi a macchia di leopardo e a seconda degli interessi predominanti dettati dalla ragion di stato.

Gli Stati Uniti, dopo il letargo obamiano, sono sempre più decisi con la presidenza Trump a riconquistarsi la scena internazionale, anche a costo di confrontarsi armi in pungo con la Cina. Francia ed Inghilterra, memori del loro passato coloniale, sono decise anch’esse a conquistarsi sfere importanti di influenza in Medio Oriente ed in Africa. E per raggiungere i loro scopi non esitano ad assoldare al loro fianco il mondo sunnita: dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi, compresa la Turchia in versione anti curda. L’unica a restare spettatrice inerte di fronte a questi veri e propri rivolgimenti, sembra essere la Germania della Merkel, decisa a non mollare sul piano europeo il proprio predominio ordoliberista.

Una politica, secondo me, dissennata e dominata dalla ragion di stato sembra, dunque, muovere i fili di nuove strategie geo politiche che nulla hanno a che vedere con interventi umanitari. Una politica ed una diplomazia assai poco lungimiranti, secondo quanto già ricordato dallo storico dell’economia italiano, prof. Giulio Sapelli, per il quale sarebbe invece auspicabile lavorare per una Europa unita dall’atlantico agli Urali. L’Europa peraltro sembra dimenticare gli interessi del mondo arabo sunnita soprattutto nell’attuale momento storico, quando una forte immigrazione islamica vero il Vecchio continente va di pari passo con vistosi finanziamenti elargiti a man bassa, per esempio, dall’Arabia Saudita e finalizzati a rendere sempre più massiccia e visibile la presenza dell’Islam in Occidente.

Mala tempora currunt, sed peiora parantur?

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