Viterbo MINIRACCONTO
Agostino G. Pasquali

     Mi trovo al supermercato nel reparto dell’ortofrutta. I cocomeri attirano la mia attenzione: stanno lì, in fondo alla corsia, ammucchiati semplicemente su un bancale di legno che è stato esposto così com’è, rustico anzi proprio rozzo, senza cartoni né ceste né cellofan, per dare l’idea del prodotto naturale biologico, ‘a chilometri zero’. Apprezzo l’idea.

     Fanno un bel colpo d’occhio quelle grosse sfere di colore verde cupo venato di chiaro. Mi immagino di vedere, con gli occhi della fantasia, che sotto quel verde c’è uno strato bianco e all’interno una delicata massa rossa, punteggiata di semini bruni, pronta per il coltello che l’affetterà in mezzelune tricolori, grondanti un golosissimo succo.

     Uuum! Immergervi le labbra, mordere delicatamente la polpa calda di colore e fresca di sapore; suggere, aspirare l’aroma del cocomero, quell’aroma ‘sui generis’ diverso da ogni altro frutto.

     Decido di comprare un cocomero, ma sono incerto sulla scelta. Ne sollevo uno e lo percuoto con le nocche delle dita, lo guardo, lo annuso e lo rimetto a posto; ne prendo un altro e ripeto le stesse operazioni; lo cambio ancora. Alla fine riprendo il primo cocomero e lo depongo nel mio carrello. Nel dubbio mi comporto quasi sempre così: prendo e cambio, una due tre volte, e finisco per scegliere quello che avevo individuato per primo.

     Una giovane signora ha seguito le mie manovre e mi chiede:

     “Come si fa a sceglierne uno senza rischiare di trovarsi in tavola un cocomero pallido che ha il sapore di una zucca cruda? Ho visto che lei ne ha provati diversi… lei se ne intende?”

     “No, signora. Non me ne intendo.”

     “Però ho visto che gli dava delle bottarelle…”

     “Sì, perché ho letto su internet che battendo si deve sentire un suono cupo come se fosse vuoto. Se si sente il vuoto vuol dire che è maturo.”

     “E lei, l’ha sentito il … vuoto?”

     “ Ma sinceramente, io, questo suono del vuoto non l’ho mai sentito... Certo che una volta era facile scegliere un buon cocomero: bastava fargli la tasta… “

     “La tasta? E che roba è?”

     “È una prova, un carotaggio… Mi spiego meglio: si taglia in profondità un tassello quadrato, lo si estrae, si guarda e si reinserisce. Così, dopo aver visto com’è dentro, uno decide se comprare o no. Qui non si può fare la tasta e allora bisogna fidarsi della serietà del supermercato.”

     La signora mi guarda con un’aria strana. Non si fida. Voglio dire che non si fida di me, né del supermercato, né dei cocomeri. Invece si fida delle banane, ne imbusta un caschetto e commenta:

     “Ho capito che pure lei non ci capisce niente di cocomeri. Io preferisco le banane. Con queste non si può sbagliare, hanno il colore che cambia di fuori e ti dice il grado di maturazione. Vede queste? Sono dorate il giusto ma non hanno ancora i puntini scuri: sono perfette. Impari, impari…”

     Si allontana scuotendo la testa con l’aria delusa dell’esperto che ha perso tempo a parlare con un incompetente.

                                                                         *     *     *

     Come in un flashback cinematografico la mia memoria torna indietro nel tempo.

     Mi rivedo bambino di sei o sette anni, in una mattina di un caldo luglio. Allora la mia famiglia abitava in un paesotto del viterbese, in un appartamento al secondo piano di un palazzo che si affacciava nella piazza dove c’era il mercatino della frutta e verdura. Era una zona tranquilla per cui mia madre approfittava volentieri della mia disponibilità a farle delle commissioni, dato che stavo in vacanza, e mi mandava giù nel mercatino a comprarle qualcosa: un cespo di insalata, o due cipolle, o la frutta di stagione… insomma quello che le serviva al momento.

 

     Arrivò nel mercatino un uomo che spingeva a mano un carrettino carico di cocomeri. Arrivato al centro della piazza l’uomo cominciò a declamare in dialetto:

     “Signó! Ahó,! Femmene belle! Sò ‘rrivati li cucommiri. Guardate le sò belli. Sentite le sò bboni. Verdi de fora e rosci drento. Sò tutt’un focooo, mapperò frescooo e dorceee… comm’un bacio!”

     “Mamma, ne compriamo uno?” dissi speranzoso.

     “Perché no? Tieni, ti do un po’ di soldi. Scendi tu a comprarlo. Ma fatti fare la tasta. Vedi che sia bella rossa. Se no, non lo prendere. Attento a non farti fregare!”

 

     Si era formato un circoletto di donne attorno al cocomeraro.

     L’uomo con svelta abilità incideva con un coltello a lama stretta i cocomeri, estraeva un tassello e lo mostrava. Erano di solito tasselli colorati ben rossi. Se qualcuno risultava più chiaro, comunque di un rosa forte, che significava abbastanza dolce, allora l’uomo lo vendeva a prezzo ridotto.

     “Ecco, questo è tutto foco come le labbra de ‘sta bella signora. Tené: cento lire.”

     La signora pagava e se ne andava soddisfatta dell’acquisto e del complimento.

     “Quest’antro è ‘n po’ chiaro? Ma è rosa forte e bbono l’istesso, bbono e bello come le labbra de ‘sta signorina. Signorì, ve fo la riduzione? Tené: ottanta lire.”

     Ad un certo punto prese in mano un cocomero e disse:

     “Me vojo rovinà. Questo lo vojo rigalà… mbè…quasi rigalà. Non cento, non ottanta, ma… solamente cinquanta lire. Però senza fà la tasta. Famo come si fusse la pésca de beneficienza, che se vince sempre. Avanti, belle femmene! Chi lo vole?”

     Le donne discutevano fra di loro, si consigliavano e si sconsigliavano, ma non decidevano. Mi decisi io. Presi il cocomero e pagai.

     Contentissimo per l’affare stavo per avviarmi verso casa, ma una signora mi afferrò per un braccio, mi fermò e disse al cocomeraro:

     “Un momento. Adesso, però, ce fai la tasta. Sò proprio curiosa de vedé...”

     “E perché? Nun s’era detto senza tasta?”

     Altre donne appoggiarono la richiesta della signora, sicuramente per curiosità e per malizia, e l’uomo, visibilmente contro voglia, tagliò un tassello e lo estrasse: era tutto chiaro con appena un pallidissimo rosa nella punta.

     Mi misi a piangere per la vergogna della figuraccia e per il timore dei rimproveri che avrei ricevuto da mia madre. La signora disse a brutto muso all’uomo:

     “Adesso te ripiji ‘l cocomero e je ridai li soldi, a ‘sto fijo.”

     “E no! Ha accettato de rischià? Nun ve potete lamentà.”

     “Nooo! Tu te ce sai mette cò un fijarello? Tu l’ha ‘mbrojato. Tu ce lo sapevi che ‘l cocomero era bianco. Mica poi dì che è come la pésca de beneficienza. E no, eh! Perché, là, se vince sempre. Magari poco, ma se vince. Si ‘l cocommero era un po’ chiaro va bbè, ce se poteva stà. Ma questo è bianco, verdastro… me pare ‘n cetriolo!”

     Tutte le donne si unirono alla protesta e, poiché il cocomeraro non si lasciava convincere, lo minacciarono di rovesciargli il carrettino. Allora quello, maledicendo le donne che non si fanno gli affari loro, prese un altro cocomero, lo controllò che fosse ben maturo e me lo consegnò. Non mi chiese neppure la differenza di prezzo.

                                                                     *     *     *

     Sto ancora lì, davanti al banco dei cocomeri. E mentre questo ricordo mi torna in mente, penso che una volta la vita era più naturale, più umana, che con il cocomeraro ci si poteva trattare, anche litigare se necessario, e soprattutto la gente dava spontaneamente aiuto a chi ne aveva bisogno.    

     Mi si avvicina un signore:

     “Mi scusi. Vedo che lei ha scelto il cocomero e ha l’aria di uno che se ne intende. Ne sceglierebbe uno anche per me? Ma che sia bono, mi raccomando.”

 

 

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

chi è on line

Abbiamo 826 visitatori online

 

 I libri

di Mauro Galeotti

 

Cartonato - pag. 246 - euro 25,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it

Cartonato - pag. 808, a colori
da euro 120,00 a euro 80,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it