Viterbo 
Francesco Mattioli

Francesco Mattioli

L'articolo di Paolo D'Arpini
La nascita del cristianesimo nell'ottica della psicostoria

Caro D’Arpini,
sono d’accordo con lei che la storia è una “interpretazione” socioculturale degli accadimenti; cioè, che la storia la scrivono i vincitori.

Nel bene e nel male.

Tuttavia è anche vero che sta alla storiografia, nel tempo, rivelare la vera entità del percorso storico: cause, effetti, circostanze, ruolo di certe variabili, con una sorta di revisionismo dettato non dall’ideologia – come accade ai negazionisti della Shoah – ma dalla metodologia scientifica degli studi storici, archeologici, filologici, ecc.

Senza contare che una “riappropriazione” della storia da parte delle classi emergenti aiuta a sua volta a rivedere e a reinterpretare i processi della vita umana. Lei ha anche ragione nell’accostare Einstein alla storia (ma penserei anche Heisenberg), nel senso che il fatto empirico, fisico assume significato alla luce delle percezioni e delle scelte dell’osservatore.

Sono meno convinto del ruolo della psicostoria, se non nel senso che si crea una base socioculturale comune che viene progressivamente interiorizzata e può riemergere come coscienza collettiva dando luogo anche a fenomeni di natura epigenetica.

Quanto al ruolo di Paolo e alla nascita del Cristianesimo, sono duemila anni che se ne scrive da tutte le angolazioni possibili, per cui la sua o la mia posizione restano due punti di vista o poco più in un mare magnum di studi, riflessioni e intuizioni dove ognuno conserva un pizzico di ragioni e un vagone di limiti.

Che il Cristianesimo abbia dato una spallata all’Impero Romano, assieme alla calata dei barbari e all’involuzione del sistema geopolitico ed economico mondiale è cosa nota e si legge sui libri di scuola media; ma nessuna di queste variabili da sola è stata determinante.

La Storia avviene per un concorso di eventi, soprattutto per un lungo processo che precede e conduce a maturazione ciascun evento. Insomma, historia non facit saltus.

Così, dire che Gesù giunge quando i tempi si fecero maturi è una ovvietà. Dove per maturi si intendono varie cose: ad esempio, sul piano politico e sociale, con la “ellenizzazione” del tessuto sociale siropalestinese; sul piano religioso e culturale, con lo sviluppo delle filosofie escatologiche e messianiche in tutto il medioriente.

La favoletta che Gesù non compare nella storiografia romana e quindi non è mai esistito o ha avuto un presenza modesta nella storia dell’epoca, è ormai datata; certo non ha più presa se non presso certi circoli negazionisti più vicini ai terrapiattisti che alla storiografia scientifica. Il ruolo di Paolo è stato sviscerato in mille forme, ma la sua stessa biografia impedisce di credere che sia stato il “fondatore” del Cristianesimo; certo, ne è stato grande divulgatore, forse sul piano intellettuale ne ha anche ordinato in parte i fondamenti.

Ma la presenza testimoniale di un Pietro o di un Giovanni e la stessa metodologia narrativa di Luca escludono che Paolo abbia “costruito” una religione basandosi semplicemente su un mix di vocazioni essene e magari sulla breve e triste storia di uno dei tanti predicatori dell’epoca.

Insomma, ricostruire la storia senza farsi guidare da una metodologia, optando piuttosto per una inspirazione comunque ideologica, è ormai acqua passata, che sia il residuo di certo storicismo neopositivista o, al contrario, di un periglioso intuizionismo naturalistico. In ambedue i casi, infatti, si finisce per scrivere i propri ed esclusivi libri di storia… e in tal caso – Dio ci scampi - la Storia non esisterebbe più.

 

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