Viterbo CRONACA Lei ha fatto una scelta giusta,
ha ragione: leggere il suo giornale “rilassa la mente”
di Agostino Giovanni Pasquali

 

Gentile Direttore, leggo il suo giornale da parecchi mesi con interesse, e con piacere ho notato una positiva evoluzione verso un ampliamento di orizzonte editoriale che comprende non solo notizie (sicuramente utili), ma anche opinioni socio-politiche, memorie storiche, tradizioni, dibattiti, umorismo, poesia e cultura.

Lei ha fatto una scelta giusta, ha ragione: leggere il suo giornale “rilassa la mente”, subito. Aggiungerei che poi “la stimola”… forse anche un po’ troppo in qualche polemista.

      Dato che il giornale è aperto ai lettori le chiedo di permettere anche a me di collaborare occasionalmente. Per questo le invio il racconto di un fatterello e qualche riflessione.

      Se lo ritiene opportuno, pubblichi pure questa mia lettera e il testo che segue. E’ il prodotto modesto ma sincero di un dilettante della penna, o meglio, di un dilettante della ‘keyboard’.

 

I FUMISTI

     Ho in casa un caminetto che mi rallegra le lunghe sere invernali con il calore effettivo e sentimentale della fiamma viva, mobile, suggestiva e, perché no? anche con la profumata e tradizionale cottura della braciola. 

     Uhuhumm! Non vedo l’ora che torni l’autunno. 

     Cose d’altri tempi? I lettori giovani sorridono delle stravaganze di un matusa sentimentalone? Sorridano, e ridano pure, seduti davanti ad un radiatore elettronico con telecomando a raggi infrarossi. Contenti loro …

     Però qualche giorno fa ho trovato nella cassetta delle lettere il volantino pubblicitario di un ‘fumista’.  E chi diavolo è un fumista?

     Ah! E’ uno spazzacamino ‘up-to-date’ attrezzato con aspiratore, sonda video e altre diavolerie moderne.

      Allora mi son ricordato che la mia canna fumaria non è stata pulita da molto tempo. Ha respirato per anni il fumo leggero dell’olivo, quello robusto della quercia, quello resinoso e aromatico del pino e del cedro, e il fumo allegro e scoppiettante del legno di castagno. Dunque è opportuno dare una pulita.

      Ho preso un appuntamento per e.mail (questo fumista è proprio moderno!) e nel  pomeriggio è arrivato puntuale il suo furgoncino.

      Ne sono scesi due negri. Il mio primo impulso è stato di chiedergli scherzosamente: “Siete così scuri perché avete appena pulito un camino? O siete proprio neri ‘nature’?”

      Ma non sono così cafone, li ho salutati e accolti gentilmente.

Prima riflessione.  Ma se li chiamo ‘neri’ o ‘negri’ commetto una scorrettezza? così come sostiene una certa intellighenzia progressista?

      Loro sono neri e io sono bianco. E’ un fatto oggettivo. In realtà loro sono color cioccolata fondente, io sono ‘chiaro variabile’ dal pallido invernale al nocciola estivo, con rari momenti di rossore quando mi vergogno di aver fatto o detto qualcosa di molto sconveniente.

     Neri o negri? Non è peggio chiamarli ‘di colore’?

Secondo me ‘di colore’ è peggio, perché contrappone il ‘di colore’ al ‘non di colore’, come se il colore sia una macchia fisica e morale.

     E chiamarli ‘extracomunitari’?

     Nel linguaggio burocratico ha un senso, perché richiama, nell’ambito dell’UE, la diversità delle norme giuridiche applicabili e dei conseguenti diritti e obblighi (tanti obblighi, pochi diritti). Ma fuori dal linguaggio burocratico, ‘extracomunitario’ significa estraneo alla nostra comunità, emarginato da questa comunità, un po’ razzista e un po’ provinciale, che si preoccupa delle parole, ma si autoconsidera superiore e progredita.

     I due non sono cittadini italiani, ma hanno evidentemente un permesso di soggiorno, dato che lavorano in regola. Parlano in italiano, uno discretamente l’altro un po’ meno, e capiscono benissimo quello che dico.

Seconda riflessione. Ho studiato a scuola la lingua francese per quattro anni. Leggo e capisco agevolmente il francese scritto, lo scrivo anche bene. Però capisco poco il parlato: per esempio se vedo e ascolto un TG di France 2 o 24 non capisco quasi niente.  

     Dato che gestisco un Bed&Breakfast  mi capita di avere rapporti con gente di madre lingua francese. A costoro devo chiedere di parlare lentamente, scandendo le parole, e a volte, se il discorso è un po’ astratto, neppure così li capisco bene.

     Quasi tutti gli immigrati sono invece bravissimi con la lingua italiana parlata e scopro che spesso sanno bene anche l’inglese.

     I due hanno fatto il lavoro accuratamente e senza sporcare.

     Sono attrezzati e sanno lavorare.

     Ad un certo punto gli mancava un cacciavite; me l’hanno chiesto e mi hanno ringraziato quando glielo ho messo a disposizione appoggiandoglielo su una panca.

     Finito il lavoro mi hanno fatto il conto per una cifra onesta e, meraviglia delle meraviglie, mi hanno dato la ricevuta fiscale, senza che io gliela chiedessi.

     Dopo che sono partiti mi sono ricordato del cacciavite e ho pensato che se lo erano portato via e che avrei dovuto comprarne un altro.

     Da tempo mi sono rassegnato a perdere qualche attrezzo quando viene un artigiano a farmi un lavoretto. Non so quanti martelli, forbici, cacciaviti sono stati portati via … distrattamente, … almeno spero.

     E invece ho ritrovato il cacciavite sulla panca, proprio dove glielo avevo messo io.

Terza riflessione. La terza riflessione la lascio fare a chi mi legge.

Agostino Giovanni Pasquali