Stefano Signori,
presidente di Confartigianato
imprese Viterbo


Viterbo
IMPRESE CONFARTIGIANATO

L’Italia delle comunicazioni ufficiali in queste ultime settimane è quel Paese ossessionato dal tema salvifico della riforma elettorale: consuetudini mediatiche, talk-show, social network (rigorosamente istituzionali), web, ogni voce del coro, insomma, sembra non parlare d’altro.

Il risultato è che ciò che succede nelle viscere profonde del Paese, nell’Europa, nel mondo sembra lontanissimo o più semplicemente parallelo, di nessun interesse.

Si finisce col sentirsi un’isola, tutti concentrati sul nostro spesso desolato cortile; sembriamo ignorare del tutto le grandi crisi e le enormi mutazioni che, distratti o meno, investono il nostro quotidiano: le Primavere Arabe stanno declinando verso un tempestoso autunno mentre il Mediterraneo ha ormai assunto i contorni una fragile cerniera su cui si scaricano i più incontrollati flussi dell’Africa profonda, dal traffico di narcotici a quello delle armi.

Gli italiani sembrano affrontare queste enormità cimentandosi nel solito e ben consolidato balletto della polemica sloganistica sulla Bossi-Fini.

La crisi economica dell’Eurozona, con tanti debiti e poca visione economica, è stata investita anche dal declino dell’utopia della “governance” globale; quindi con il pericolo concreto che, anche fuori dalla crisi, la crescita sarà fragile e insufficiente. A questo va ad aggiungersi un ventennio italiano di crescita piuttosto bassa.

Dinanzi a questi problemi, a cui si potrebbe aggiungere la grande instabilità globale nella transizione dall’unipolarismo al multipolarismo e il fallimento della globalizzazione finanziaria che in Occidente ha distrutto il ruolo tradizionale e le funzioni stabilizzatrici del ceto medio, il nostro Paese appare esausto. Disoccupato. Privo di ideali politici. Privato del futuro.

Qui diviene strategico il ruolo della nostra associazione, la Confartigianato, quale risposta a un lento sgretolamento dell’Italia, a una crisi profonda e vasta dell’economia; un vero crollo di sistema, segnato dal declino delle élites, dall’imperversare della soffocante schizofrenia burocratica e corporativa, dallo svuotamento dei poteri e delle istituzioni, dall’esilio della sovranità popolare, dal dilagare della cultura dell’apparire.

Il diffuso malessere sociale che si manifesta sempre più in forme irrazionali e violente, la sfiducia e la disperazione, unitamente alla caduta dei costumi e aumento della spesa pubblica, sono fattori che indicano il drammatico materializzarsi di un ciclo deflattivo.

In una situazione simile, attribuire alla nuova legge elettorale una funzione salvifica si rivela essere un azzardo retorico. D’altro canto, la legge elettorale appare l’unica scelta riformatrice realisticamente alla portata di questa cultura politica ed è pur sempre positivo che la macchina della trattativa si sia rimessa in moto.

In tal senso è emblematico che l’accordo Renzi-Berlusconi abbia riattivato una un rete di resistenze a maglie strette, soprattutto in seno alla sinistra, innescando così un sistema di trabocchetti e trappole, un fuoco di fila di veti, di se e di ma.

Diventa così fondamentale difendere e utilizzare questa finestra di possibilità che si è aperta. In un secondo, ma ben preciso, momento gli italiano scelgano, e lo facciano con la convinzione dettata dalla chiarezza, il loro futuro.

Bisogna prendere atto che la cultura postmoderna, con il rifiuto di ogni disegno globale e unitario, ha tolto alla riflessione politica il coraggio di costruire una strategia per il futuro, ingabbiandola in un tatticismo di corto respiro, vincolato all’hic et nunc e alla cultura dell’apparenza.

Con un pessimismo rigorosamente lucido è giusto prendere atto anche del parossistico processo di spappolamento del sistema partitico italiano, con il corrispettivo declino delle leadership carismatiche e il prevalere delle pressioni populiste prodotte dalla rete, dove, usando le parole di uno dei fondatori del web, Jaron Lanier, “un popolo di trolls inferocito la fa da protagonista nei dibattiti politici”.

Il problema europeo della crisi politica e partitica in Italia va ad aggiungersi alla grave crisi di fiducia e il crollo dello stato burocratico. Emerge infatti nel Paese una sempre più vasta e profonda domanda di un nuovo patto di cittadinanza, di rifondazione del nostro sistema istituzionale.

Invece di affrontare questi nodi fondamentali con il coraggio di un grande dibattito tra tutte le forze più vive della nostra società, puntiamo su commissioni tecniche e saggi.

È ormai diffusa la consapevolezza della necessità di rifondazione radicale dello stato democratico: le toppe funzionali e gli imbellettamenti dell’ultimo secondo prolungano solo l’agonia.

In questa analisi, poi, non può mancare il Governo Letta che, nato all’insegna di grandi fini e obiettivi strategici, sembra non saper fermare la propria deriva. 

Le larghe intese per la pacificazione nazionale, assassinate dalle violente pulsioni antiberlusconiane, nella sinistra, e dall’opportunismo del Governo, si sono dissolte in un fitto pulviscolo di partitini senza progettualità;

il taglio della spesa pubblica è naufragato in un confuso marasma di emendamenti a favore di lobby e corporazioni(il SalvaRoma, il Milleproroghe, la legge di Stabilità);

il taglio del debito pubblico si è trasformato in nuovi record particolarmente allarmanti circa gli incomprimibili costi dello Stato e l’onnivora lievitazione della burocrazia.

La riduzione delle tasse, odioso refrain volontaristico, si è infranto sul pasticcio dell’IMU e sulle briciole della riduzione del cuneo, sul aumento dei pedaggi autostradali. Rimane la costante dell’importanza della stabilità e governabilità, due miti che facilmente sconfinano nella stagnazione, nella staticità apatica.

Unico aspetto positivo da sottolineare è la lucida iniziativa del Premier che finora ha tranquillizzato i mercati, placando la spirale dello spread. Nel frattempo il quadro generale è andato rapidamente deteriorandosi a causa delle iniziative e del movimento di Renzi, all’insegna del partito di lotta e di governo e dentro il solco di una contesa colorita e vistosa con il M5S. l’impazienza del nuovo leader finisce per logorare il Governo, così da impedire al tempo e alla routine di logorare la propria leadership.

Il risultato più evidente è la marginalizzazione del centro e dei moderati, frantumati in mille tatticismi e ambizioni: di fatto siamo sempre più di fronte ad un monocolore Pd. in questi scenari Letta si muoverà utilizzando fino in fondo il suo acume tattico e il suo credito internazionale, cercando di dare spessore strategico al Governo sui temi del lavoro, della giustizia, degli investimenti strutturali.

Da una parte pressato da Renzi, impegnato nel fornire al partito una nuova identità scissa dal forsennato antiberlusconismo; dall’altra soffocato dal rapido declino delle illusioni neocentriste e dalla scarsa legittimazione popolare degli alleati di Governo.  

L’universo che più soffre le difficoltà di questo status quo è quello dei moderati, ancora lontani dalla consapevolezza di dover affrontare un lungo e accidentato percorso per ricomporsi, ricompattarsi. Una traversata del deserto che deve avere come meta il raggiungimento del modello confederale e le cui tappe dovranno essere la riduzione del peso dello Stato e lo sviluppo come aumento della libertà, della creatività, dell’iniziativa, della flessibilità.

Se, come afferma Kejnes, il difficile è fuggire dalle vecchie idee, i moderati dovranno impegnarsi per ricoprire quel ruolo fondamentale nel futuro del Paese che gli spetta solo se sapranno abbandonare le zavorre delle vecchie divisioni, dei vecchi schemi, delle vecchie idee.

Risposte a quesiti che la Confartigianato di Viterbo ha dato nel tempo, esempi non di circostanza ma di vera sussidiarietà, mutualità, procedure innovative e riforme immediate al proprio interno utili a fornire risposte rapide ed esaustive agli associati.

La chiave è proprio nel raggiungimento del modello confederale quale reazione immediata di creatività, iniziativa e flessibilità.