Viterbo IL RACCONTO Veramente bere alcolici è sempre un male, anche se si beve rispettando regole e finezze da intenditori
di Agostino G. Pasquali

Leggi la Prima parte del racconto IL RACCONTO: Attilio Sregolo – Prima parte

 

L’incredibile storia di Attilio

     Ci siamo messi comodi in poltrona e ci siamo scambiati notizie per gli anni successivi al nostro ultimo incontro.

     Ho raccontato io per primo la mia storia che è semplice, quella di uno che ha fatto un lavoro dignitoso per tanti anni, è andato in città lontane per fare un po’ di carriera e  si è fatto una famiglia. Alla fine  è arrivata la pensione, per fortuna ante ‘legge Fornero’ e quindi prima dell’età della rottamazione, e la pensione se la gode dedicandosi agli hobby e dando un aiuto ai figli.

 

     La sua storia, mi ha detto Attilio, è invece complicata e piena di avventure. È lunghissima da raccontare e mi ha invitato a leggerla nel libro che ha scritto dopo il suo ritorno dall’India, appunto quel fascicolo che mi ha consegnato.

     Ho capito subito che Attilio era interessato a parlarmi del libro più che delle sue vicende, e, solo dopo mie insistenze, mi ha accennato al viaggio in oriente.

     È andato in India e là è vissuto a lungo facendo lavori saltuari, appoggiandosi ai consolati italiani per ottenere incarichi come guida e interprete per turisti e uomini d’affari. Ha subito imparato la lingua hindi di New Delhi, che è uno dei tanti dialetti dell’India; quell’India che non è un paese - ha precisato - come noi intendiamo per esempio l’Italia o la Francia, ma è un continente. L’hindi gli è servito per contattare all’interno, nelle zone meno occidentalizzate, gli sciamani e i santoni che a lui interessavano in modo particolare per le sue ricerche spirituali e magiche.

     Per il lavoro di interprete e guida gli è stato utile l’inglese che in India è lingua ufficiale e ben conosciuta. Con queste occupazioni ha passato dieci anni entusiasmanti, guadagnando bene e vivendo da signore.

     Infine un anno in Tibet, dove è diventato monaco buddista e ha completato la sua odissea spirituale. Poi è ritornato in Italia rigenerato, anzi, come ha detto con il suo linguaggio classico ed insieme ultramoderno, ‘metempsicosato’. Gli ho chiesto:

     “Che intendi per ‘metempsicosato’? La metempsicosi non è la trasmigrazione dell’anima da un corpo all’altro? Che forse hai acquisito l’anima di uno sciamano? Ma tu mi sembri uguale nello spirito e nel fisico, a parte ovviamente un bel po’ di invecchiamento…”

     “È difficile spiegare a voce il mio cambiamento. Richiede riflessione, meditazione e auto ispezione nell’intimo. Lo devi scoprire da te. Ma leggi il libro, dove c’è la materializzazione del mio spirito. Il libro ti aiuterà a capire.”

     Altre domande mi premevano e gliele ho poste brutalmente:

     “Ora dove stai e che cosa fai?”

     “Sto a Serra Montelliana, a pensione da don Giuliano che è il parroco di quel piccolo borgo dell’Appennino laziale. Conosci Serra Montelliana? È un luogo di pace che mi ricorda il Tibet. Lassù in montagna aiuto don Giuliano, siamo amici. Facciamo lunghe chiacchierate di religione e filosofia. Con me lui perfeziona la sua teologia e la confronta con le mie conoscenze di altre religioni, soprattutto induismo e buddismo. Lo sai? L’amicizia con don Giuliano mi ricorda la nostra amicizia di quando eravamo giovani. Ti somiglia un po’: anche lui è calmo e riflessivo.

     Ah! A proposito: lo sai che ti conosce? Cioè non personalmente, ma legge i tuoi racconti e li apprezza, anche se gli dispiace il tuo agnosticismo, che tu non dichiari, ma che si intuisce facilmente.

     È proprio attraverso i racconti che ti ho ritrovato. Ho saputo che stavi a Viterbo, poi le ‘Pagine bianche’ mi hanno dato il tuo indirizzo.”

     Ho continuato con le domande:

     “Però, com’è strana la vita… ma dimmi: tu sei partito, e senza neppure salutare, mi pare verso il 1980. Hai detto che sei stato dieci anni in India e uno in Tibet. Poi sei tornato, dunque, più o meno nel 1990. Da allora sono passati venticinque anni. E tu non mi hai contattato nemmeno una volta. Perché? E, dato che sei andato in oriente per una ricerca spirituale, almeno hai trovato quello che cercavi?”

     “All’inizio ti ho mandato un paio di lettere, ma mi sono tornate indietro con l’annotazione: ‘Trasferito’. Poi, sinceramente, l’oriente mi ha preso fisicamente e spiritualmente e mi sono dimenticato dell’Italia. Quando sono tornato ero un altro, ero, come t’ho detto,  ‘metempsicosato’, e ho scelto di non rientrare nel vecchio ambiente, né a Roma né al paese…

     Se ho trovato quel che cercavo? Beh! guarda il titolo del libro: ‘IVI, VIDI, NOVI’. Te lo ricordi un po’ di latino? ‘Sono andato, ho visto e ho conosciuto’. Più chiaro di così? Ma vorrei parlare del libro, non delle mie avventure che comunque sono scritte lì dentro. Tanto te lo devi leggere…”

     Ho preso in mano il libro, o piuttosto quel voluminoso pacco di fogli di formato misto, parecchi fogli rigati protocollo, quelli che una volta si usavano per scrivere a mano, e fogli A4. L’ho valutato in circa trecento pagine, molte manoscritte, alcune battute a macchina all’antica,  e parte con il computer. Queste ultime mi sono apparse in buono stato, mentre quelle dattiloscritte e quelle manoscritte apparivano ingiallite e infarcite di macchie e correzioni. Le une intercalate alle altre senza uno schema regolare: un po’ di pagine ingiallite, poi qualche foglio abbastanza candido e via così. Ho chiesto subito il perché e Attilio mi ha risposto:

     “Vedi? La parte vecchia, ingiallita, è stata scritta a penna o con una vecchia Olivetti44. È fatta di racconti, buttati giù a caldo, sono quasi dei diari delle mie vicende, da quando partii per Roma fino al mio ritorno dal Tibet. Infatti sono datati dal 1956, pochi mesi dopo il mio arrivo a Roma, al 1991 ritorno in Italia. L’altra parte, scritta con il computer, è un commento ai fatti, una rielaborazione di idee, considerazioni e riflessioni che ho scritto dopo, stando presso don Giuliano, che gentilmente mi fa usare il suo computer. Questa è la parte intelligente, filosofica, importante. Con questa penso di poter dare una sferzata al pensiero occidentale che gira a vuoto fra un idealismo inconcludente e uno scientismo empirico e materialista. D’altra parte qui in Italia la religiosità è molto professata, ma non praticata. È più che altro apparente, anzi appariscente, fatta di formule recitate meccanicamente e di cerimonie sontuose.

     Ma voi occidentali la sentite l’anima? Non quella astratta predicata dalla religione, l’anima che non si vede e non si sente, e che credete di poter conoscere solo dopo la morte. L’anima è un’altra cosa, è la forza vitale che c’è in tutti gli esseri viventi, che l’uomo può sentire ad ogni battito del cuore, così come è la forza che fa germogliare un seme, che fa gioire, essere tristi, e buoni o cattivi. L’anima è la vita e quando finisce la vita, la nostra vita individuale, l’anima se ne va. Non è più un elemento personale, ritorna all’universo e si materializza come vitalità in altri esseri… Ma, ti prego, leggi quello che ho scritto.”

     Ho provato a leggere qualche pagina un po’ a caso, ma ho trovato grosse difficoltà a decifrare i manoscritti e le correzioni apportate a penna alle pagine dattiloscritte. Lo stesso Attilio, che mi aiutava, aveva di tanto in tanto dubbi e perplessità nella lettura.

     Abbiamo cominciato con le pagine narrative, quasi un diario, dove ho trovato episodi che conoscevo, fatti che mi aveva raccontato in occasione delle sue visite periodiche in paese, ma mi sono sembrati diversi, modificati rispetto a quello che ricordavo. Per esempio nei due episodi che ho citato sopra (quello nell’anticamera della maestra di dizione e quello sul set di ‘Sudori e dolori’) erano diversi i personaggi: invece di Claudia Cardinale qui c’era Virna Lisi e invece di Franco Fabrizi c’era niente meno che Alberto Sordi.

     Mi ha spiegato un po’ imbarazzato che non ricordava bene quegli episodi e che forse aveva fatto delle variazioni per rendere più interessante il racconto. Non mi ha convinto del tutto anche se, pensandoci bene, Sordi è più importante di Fabrizi (Franco), fa più effetto, e quindi il cambio è giustificato.  Ma non  capivo perché la Lisi dovesse essere più interessante della Cardinale. Però non ho detto nulla.

     Abbiamo letto anche qualche pagina di quelle teoriche, quelle contenenti il nuovo pensiero rivoluzionario. Queste erano scritte chiaramente dal punto di vista grafico (stampate con il computer), ma difficili da capire per il linguaggio filosofico e pieno di riferimenti alla cultura orientale. Attilio mi dava profonde e lunghe spiegazioni, ma a me, dopo un paio d’ore di questo impegno, stava venendo il mal di testa. Cominciavo a pensare che leggere tutte quelle pagine e capirle poteva essere un’impresa al di sopra delle mie capacità. Temevo di ‘metempsicosarmi’ in un somarello.

     Talvolta mi viene il sospetto che i pensatori, i cattedratici, i filosofi in particolare, espongano in modo prolisso, complicato ed oscuro, concetti in fondo semplici. E mi ci arrabbio per la fatica che devo fare per capire una paginetta scritta da loro. Ma forse è colpa mia che sono un superficiale, abituato a parlare e scrivere usando parole semplici. Però mi consolo pensando che Indro Montanelli aveva più o meno la stessa mia opinione a proposito di quelli che scrivono per sé, per il loro gruppo iniziatico, e  sembra che non gradiscano che si capisca quello che hanno in testa, perché temono forse che si scopra che le loro idee sono poche e piccole, e magari confuse e sbagliate. Attilio era per caso uno di questi?

     Comunque ho deciso che dovevo trovare un modo di evitarmi la tortura di leggere tutte quelle pagine, o almeno di rinviarla. Ho proposto ad Attilio di trascrivere al computer tutti i manoscritti e i dattiloscritti e di inviarmi poi semplicemente un ‘file’. Gli ho spiegato:

     “Tanto, per la pubblicazione, gli editori oggi non accettano più testi cartacei, ma vogliono testi elettronici che si possono stampare direttamente. Quindi se la digitazione la devi fare per l’editore, tanto vale che la fai subito e così mi faciliti la lettura. Non ti pare ovvio?”

      “Sì. Hai ragione, anzi ci avevo già pensato, ma volevo un tuo parere positivo prima di fare la fatica di decifrare e  battere tutto al computer.”

      Ho pensato: “E così la fatica di decifrare la dovrei fare io?” L’ho pensato, ma non l’ho detto. A volte sono prudente e discreto. O forse sono un po’ opportunista?  Però è anche legittima difesa, o no?  

A cena.

     Io vivo da solo, sono vedovo e i miei figli stanno per conto loro, ognuno con la sua famiglia. In casa mi aiuta una colf a ore e giorni alterni, e quindi alla cucina provvedo personalmente nel modo più semplice: cibi surgelati, possibilmente già pronti da riscaldare nel forno a microonde.

     Perciò, se nell’entusiasmo della visita inaspettata avevo promesso al mio ospite di offrirgli il biblico vitello grasso, in realtà non ero in grado di mettere in tavola nemmeno un paio di braciole.

     Ho dunque preso il meglio che ho trovato nel congelatore e ho arrangiato una cenetta. Comunque il mio amico ha mostrato di gradire moltissimo le lasagne al forno precotte e riscaldate velocemente nel microonde. Era una vaschetta per quattro persone, un quarto a me, lui ha divorato tutto il resto. Tra un boccone e l’altro ha bevuto con vera voluttà mezza bottiglia di prosecco. Per finire ha mangiato con piacere, direi con avidità, mezza crostata di mele, comprata fresca due giorni prima, ma imbustata, messa sotto vuoto e conservata in frigo, e l’ha accompagnata con un bel bicchiere di passito.

     Ci siamo poi messi comodi in due poltrone per continuare le nostre chiacchiere. Ho offerto una grappa che Attilio ha gradito moltissimo, bevendola in un sorso solo, come si vede nei film, e chiedendo il bis.

     “Ohé! - ho pensato - non siamo mica in un saloon del Far West!”

     Anche questo è stato solo un pensiero che non ho detto.

     Quel modo di bere i liquori è secondo me sbagliato sbagliatissimo. Vuotare il bicchiere in un sorso, ingollandone il contenuto come si fa con una medicina, non permette di apprezzare il gusto spiccato di una grappa, il suo afrore di vinacce fermentate, o l’aroma fine di un brandy barricato, o l’esotico sapore di un whisky, né consente di apprezzare il mix di dolci armonie di un ‘amaro’, con tutte le sfumature odorose di erbe, di radici, di cannella, di caffè, di arancia, di limone…

     Veramente bere alcolici è sempre un male, anche se si beve rispettando regole e finezze da intenditori. L’alcol è una droga. È tossico, non c’è dubbio. Ma se vogliamo drogarci, sia pure legalmente perché questo modo subdolo di drogarsi è ammesso dalla legge e può essere piacevole, almeno facciamolo con decenza e misura, cioè con il minimo danno.

     Mentre facevo queste riflessioni, sempre senza dirle al mio ospite, si è svegliato il mio diavoletto.

 

(Continua e finisce la prossima settimana)

Agostino G. Pasquali

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