Viterbo CRONACA Teodorico, re dei Goti, è morente chiama i nobili goti e la figlia Amalasunta e affida a questa la reggenza del regno
di Agostino Giovanni Pasquali

 

Amalasunta

Il medioevo è un periodo storico spesso trascurato e ingiustamente diffamato. Eppure ha un suo fascino forse perché la storia medioevale sfuma spesso nella leggenda. Per chi è viterbese il medioevo dovrebbe essere particolarmente interessante perché in quel periodo la nostra città e i suoi dintorni hanno avuto una particolare rilevanza.

Basta pensare a santa Rosa, alle lotte contro gli imperatori germanici, alla sede papale, al primo conclave, alla tragedia della regina Amalasunta.

     Ho riletto poco tempo fa la “Storia d’Italia” di Indro Montanelli, una Storia raccontata con una verve eccezionale che rende interessante e viva e gradevole quella materia che la scuola ci ha presentato quasi sempre come una arida cronaca fatta di nomi e date. Leggendo in particolare il volume “L’Italia dei secoli bui”,  mi ha particolarmente colpito la storia della regina Amalasunta che finì i suoi giorni prigioniera nell’isola Martana del lago di Bolsena.

*     *     *

     Parlando con alcuni conoscenti di questa sventurata regina, ho raccolto varie notizie che non conoscevo e ho ascoltato un racconto che riferirò perché mi è parso interessante.

      Prima mi sembra però opportuno ricordare la storia della regina Amalasunta. I lettori che la conoscono possono saltare direttamente al racconto che segue la storia stessa.

 

STORIA DI AMALASUNTA  (raccontata come una minitragedia in prosa)

     Personaggi:    Teodorico, re dei Goti

                             Amalasunta, figlia di Teodorico

                             Atalarico, figlio di Amalasunta ed erede al trono di Teodorico

                             Teodato, cugino di Amalasunta

                             Giustiniano, imperatore dell’Impero Romano d’Oriente (Bisanzio)

 

Atto primo

     Anno 523. Teodorico, re dei Goti, è morente in Pavia; chiama i nobili goti e la figlia Amalasunta e affida a questa la reggenza del regno in nome dell’erede Atalarico, suo nipote che è ancora un bambino.

     Amalasunta, nella descrizione che ne fa Indro Montanelli , “è una donna colta, bella e prepotente. Parla correntemente il latino e il greco, conosce i classici, ed è imbevuta di filosofia”. A corte si circonda perciò di Romani e di Goti filoromani.

    Ha quindi, purtroppo per lei, tutte le doti per essere detestata dal suo popolo, rimasto gelosamente fedele alle tradizioni barbariche. Così pure la nobiltà gotica tradizionalista la odia e trama contro di lei. Venuta a conoscenza di un complotto di nobili, Amalasunta, civilizzata nella forma ma ancora barbara nella sostanza, fa arrestare tre dei capi della congiura e non esita a farli uccidere.

 

Atto secondo

     Anno 534. Atalarico ha un fisico gracile che sopporta male la dura vita che i precettori gli impongono per farne un re goto, che deve essere un guerriero, magari analfabeta e rude, come era stato il nonno Teodorico. Atalarico è sempre malaticcio e muore a 18 anni di tisi. 

     Amalasunta non può regnare da sola perché è donna e la legge gotica non ammette regine sole sul trono. Non avendo più il figlio, associa quindi al trono il cugino Teodato, figlio di una sorella di Teodorico.

     Teodato è un nobile ricchissimo, ambiguo in politica (amico dei Goti tradizionalisti, ma colto e in buoni rapporti anche con i filoromani), soprattutto è avido di potere e, per ottenerlo, usa anche le trame, l’inganno e la violenza. Amalasunta e Teodato  diventano reciprocamente sospettosi e presto i rapporti tra loro si fanno difficili.

     Amalasunta, temendo brutte sorprese, si accorda con l’imperatore d’oriente Giustiniano per rifugiarsi presso di lui a Bisanzio e ottenere il suo aiuto contro il cugino.

 

Atto terzo

     Amalasunta si prepara a partire alla volta di Bisanzio dal porto di Classe (Ravenna), dove ha caricato su una nave il tesoro del regno (ingente tesoro raccolto da Teodorico nelle sue guerre e scorribande).

      Teodato, avvisato dalle spie, fa arrestare Amalasunta mentre è già sulla nave in attesa del vento favorevole alla partenza, e la fa imprigionare nell’isola Martana del lago di Bolsena. Qui Teodato costringe Amalasunta a scrivere all’imperatore Giustiniano una lettera in cui dice di stare bene, di aver risolto i suoi problemi e di aver rinunciato spontaneamente al viaggio.

     La prigionia è dura, ma breve. Il 30 aprile dell’anno 535 Amalasunta viene trovata morta, strangolata durante il sonno nella sua prigione dell’isola Martana.

     Chi è l’assassino?

     Vengono accusati i parenti dei tre nobili che Amalasuna aveva fatto giustiziare come congiurati.

Sarà vero che sono stati loro? Se è vero, chi li ha informati del luogo segreto della prigione? chi li ha mandati? Teodato è estraneo al delitto?  Il giallo è ancora irrisolto.

*     *     *

     Ed ora ecco il racconto che l’amico G.F.  mi ha fatto e che ho diligentemente registrato.

 

IL FANTASMA DI AMALASUNTA (racconto thriller)

     “Nell’estate dello scorso anno stavo campeggiando sulla spiaggia del lago di Bolsena, tra Marta e Montefiascone, per fare una vacanza e allenarmi con la canoa, della quale sono un appassionato a livello anche agonistico.

     Vicino al campeggio c’era una pizzeria dove spesso mi fermavo a cenare. Il cameriere Pino o Nino, non ricordo bene il nome, raccontava volentieri storie e leggende per il divertimento dei clienti e per la speranza di una mancia generosa. A proposito della regina Amalasunta mi ha raccontato la storia dell’assassinio e ha affermato con convinzione che lo spirito inquieto di Amalasunta vaga ancora sull’isola, come un fuoco fatuo o una grossa lucciola, e che di notte è possibile vederlo e sentirlo lamentarsi, a condizione di avvicinarsi all’isola in assoluto silenzio e senza luci accese.

     Io non credo ai fantasmi, però un po’ mi impressionai, e mi venne anche una certa curiosità.

     L’isola Martana distava circa due chilometri ed era spesso l’obbiettivo delle mie pagaiate. Una calda sera, il lago piatto e una bella luna che lo illuminava sembravano invitarmi e sentivo che qualche forza misteriosa mi attirava verso l’isola.

     Avviai la canoa. Pagaiai con energia, ma con cautela, e raggiunsi l’isola a notte fonda. Intanto la luce della luna si era fatta più debole e fredda. Costeggiai l’isola fino ad un punto dove poter scendere a terra.

     Chiarisco subito che l’isola Martana è normalmente disabitata, è privata ed è vietato l’approdo se non si ha una specifica autorizzazione… ma di notte….chi ti vede?…. chi ti controlla?

     Sceso a terra mi sentivo a disagio, un po’ per l’azione illegale che stavo commettendo, un po’ perché mi sembrava di mancare di rispetto alla regina Amalasunta. Che tu sia o no un credente nell’al di là, non ti senti comunque intimidito quando visiti un cimitero? o il luogo di un crimine?

     Ma lì non c’era niente. Solo silenzio. Neppure un alito di vento. Tutto sembrava pietrificato e avvolto da un vago odore di erba in putrefazione. Il buio si accentuò per il passaggio di una nuvola davanti alla luna e sembrò che un gelo calasse su di me.

     Stavo per ripartire deluso, ma anche inquieto e con un vago senso di oppressione, quando all’improvviso mi apparve di fronte un lucore azzurrognolo e sentii una misteriosa voce che  ripeteva alcune parole in una lingua che non conoscevo. Un nuovo brivido più freddo mi corse per il corpo e confesso che ebbi paura.

     Poi mi ripresi, mi avvicinai cautamente a quella luce e vidi che era un telefonino (respiro di sollievo).  Probabilmente era stato perso da un visitatore straniero, frettoloso perché abusivo come me, e, proprio in quel momento, qualcuno stava chiamando.

     Perché i telefonini non fanno semplicemente ‘drin drin’, come una volta? Quello lì chiamava  proprio con la voce di un’anima in pena!”

Agostino Giovanni Pasquali

 

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