Viterbo NEI RICORDI Le foglie che cadono e quelle già a terra producono il loro particolare suono quando si calpestano
di Barbara Pasqualini

(Foto di Enrico Pasqualini)

Con mio discreto stupore ho scoperto che in questi giorni, per la precisione il 23 ottobre, si celebrerà un “illustre compleanno”: l’ipod, lettore di musica digitale per antonomasia, compirà tredici anni!

Mi sono preparata a festeggiare la ricorrenza riprendendo in mano il mio fedele dispositivo, che mi tiene compagnia ormai dal lontano 2006, con periodi di lavoro più o meno intenso, in base ai miei impegni e, soprattutto, ai miei stati d’animo. Come ogni volta, mi conquista la possibilità di avere la “mia” musica in un palmo di mano e solo alla portata delle mie orecchie: si stabilisce così, con questa espressione sublime d’arte un rapporto intimo, una comunione, che mi trasporta in una dimensione diversa, impalpabile e unica, una chimera fatta realtà.

(Foto di Enrico Pasqualini)

Eh già, perché al di là dell’oggettiva qualità delle diverse sorgenti musicali, c’è una componente tutta soggettiva, dettata dalle emozioni e dal cuore, che rende, almeno per me, ogni ascolto indimenticabile ed irripetibile. 

Così, questa mattina, ho ripreso il mio ipod ed ho lasciato che suonasse, solo per me, scegliendo la modalità di riproduzione casuale: in questo modo, ogni canzone era una piccola sorpresa, ad ogni brano seguiva lo stupore di sapere quale sarebbe stato il successivo. Ho riascoltato, tra gli altri, un vecchio pezzo del maestro Amedeo Minghi, “ll profumo del tempo”.  Fu presentato a Sanremo nel 1985 con Katia Ricciarelli, ma ne esistono altre versioni, di cui una con Mietta, che è poi quella cui faccio riferimento.

(Foto di Enrico Pasqualini)

Questa canzone, in particolare alcuni suoi versi, Le caldarroste, la pioggia era Ottobre, era già il primo amore”, hanno innescato in me un turbine di ricordi e sensazioni che ho sentito l’esigenza di scrivere perché non passassero ma rimanessero impresse nella mia memoria. Sentimenti che ho piacere di condividere con voi, miei cari lettori.

Come ho già avuto modo di raccontarvi, nel corso di un altro mio breve viaggio nella memoria, il mese di ottobre coincideva, per i miei genitori, con la ripresa dell’anno scolastico. Per me, invece, che appartengo al periodo in cui le attività didattiche iniziavano a settembre, significava l’inizio dello studio… “a spron battuto”: gli orari delle lezioni erano ormai definitivi ed il periodo dei famigerati “ripassi”, per riabituarci al quotidiano impegno sui libri, terminato.

(Foto di Enrico Pasqualini)

Eppure questo periodo conservava per me, intatto, tutto il suo fascino: fascino della transizione, dall’estate, con le sue tinte accese, prepotentemente brillanti, con la sua spensieratezza, al più rigoroso autunno, dai toni più pacati, ma ancor caldi e capaci di lasciarti senza fiato per la loro suggestiva bellezza. Trovo ci sia qualcosa di meravigliosamente, quasi crudelmente, toccante nel passeggiare nei viali alberati della nostra città, con le foglie che cadono e quelle già a terra, che producono il loro particolare suono quando si calpestano…

E poi, - lo avete mai notato? – nell’aria si diffonde quel particolarissimo odore… confesso, io lo chiamo “profumo d’inverno”. Traduco: mi riferisco alle esalazioni dei riscaldamenti che, timidamente, iniziamo ad accendere nelle nostre case e che pervadono l’aria, dandole quell’aroma così peculiare. Insomma, ottobre era ancora un mese tutto da assaporare, almeno per me!

(Foto di Enrico Pasqualini)

La canzone del maestro Minghi, con quelle immagini delle caldarroste e della pioggia, ha su di me uno straordinario potere evocativo: mi fa pensare a tutte le volte che, nonostante il tempo poco clemente, ho passeggiato per le vie centro storico, ombrello a portata di mano, qualche primo brivido di freddo (ma forse era solo l’effetto dell’umidità, più che della temperatura, non ancora rigida!) e il profumo di caldarroste, emanato dal chiosco di qualche ambulante che, pazientemente, aspettava clienti ai margini della strada.

Questi piccoli attimi di banale quotidianità sono quelli che rendono, per me, la vita degna d’essere vissuta ed assaporata, questo continuo scoprire, o riscoprire, la gioia delle cose semplici, che sono lì, per noi, sotto i nostri occhi, a volte distratti dalle tante ambasce che ci accompagnano.

(Foto di Enrico Pasqualini)

Altre volte mi sono trovata a vivere le giornate di pioggia nel gradevole tepore del mio appartamento: ogni volta che m’è capitato di affacciarmi e osservare la pioggia scendere, incanalarsi nei rivoli dei marciapiedi e delle strade e correre via veloce, non ho potuto fare a meno di ricordare quel che mi raccontava il mio papà.  

Quando era bambino, gli piaceva tanto mettersi alla finestra e guardare la pioggia, le lumachine d’acqua scivolare via, veloci veloci, e fantasticare, ascoltare la sua “voce”, non i tuoni, quando c’è, ahimè, temporale, proprio il suono prodotto dalle gocce con il loro incessante cadere. Così come è altrettanto suggestivo passeggiare sotto l’ombrello e sentire il ticchettio della pioggia che su di esso si rifrange. Questi ricordi mi scaldano il cuore, rivedo lo sguardo dolce di mio padre, che ha sempre conservato da adulto, e lo immagino quando era bambino, e osservava tutte queste cose con il candore che accompagna quell’età.

(Foto di Enrico Pasqualini)

Nel rimembrare questi racconti di vita quotidiana dei miei genitori, mi rendo conto di quanto abbiano vissuto diversamente da me persino il ciclico avvicendarsi delle stagioni. Per loro i mesi autunnali ed invernali erano trascorsi maggiormente, nei limiti del possibile, in casa, per me, invece, è stato relativamente più semplice affrontarli fuori dalle rassicuranti pareti domestiche, complici la maggiore diffusione delle automobili ed anche il proliferare di centri commerciali. Quando si entra in questi ipermercati, ci si estranea dal mondo esterno, talvolta non ci si avvede nemmeno di ciò che ivi accade: almeno, a me succede così!

Una giornata di pioggia intensa rendeva difficoltoso ai miei anche raggiungere la scuola: e se mio padre la prendeva “con filosofia” e non si dispiaceva troppo di camminare e camminare sotto l’ombrello, la mia mamma, ponendo maggiore attenzione alla cura del proprio abbigliamento, come tutte, o quasi, noi ragazze, gradiva un po’ meno affrontare acqua e pozzanghere con le scarpette irrimediabilmente infangate, i libri che rischiavano di scivolare dalla mitica cinghia (di cui, forse ricorderete, vi ho già raccontato) e l’ombrello che… - ci vorrebbe una terza mano per tenerlo!-.

(Foto di Enrico Pasqualini)

Quanto a me… appartengo alla schiera dei fortunati che arrivava a scuola in auto, asciutta e pulita, grazie al papà che mi accompagnava e “guizzava” veloce, con perizia, attraverso il congestionato traffico cittadino!

Ad essere sincera, quando penso a questo mese, non mi ritornano in mente solo pioggia ed autunno: questo è, secondo me, un periodo dell’anno abbastanza poliedrico, che ci regala anche inaspettati ed assai graditi giorni di sole. Il tepore che ancora pervade l’aria, i colori caldi e tenui, le giornate che ancora regalano diverse ore di luce, creano un’atmosfera impagabile.

Ricordo con nostalgia quelle domeniche di tanti anni fa, quando, ancora bambina, dopo il consueto pranzo a casa dei nonni, nel pomeriggio andavo a fare una passeggiata con i miei genitori. Tempo atmosferico permettendo, ci regalavamo le ultime giornate al mare o al lago, e ci soffermavamo fino a vedere il magnifico spettacolo del sole che tramonta sullo specchio d’acqua.

(Foto di Enrico Pasqualini)

E’ un’emozione indescrivibile vedere il cielo dalle tinte rosseggianti e quella meravigliosa sfera di fuoco che sembra annegare nell’acqua per lasciare il posto alla notte. Ritornavamo a casa che era già buio, le strade extraurbane illuminate solo dai nostri fari, e a me sembrava che la natura ci avesse fatto un grande regalo nel farci vedere ancora una volta, come ogni giorno, quel meraviglioso spettacolo, che può essere superato in bellezza e suggestione solo da un’alba, per me emblema di qualunque inizio, e, quindi, di vita.

E poi tanti altri teneri ricordi si affacciano nella mente e nel cuore e protestano dolcemente per essere menzionati: la gioia delle merende gustate in cortile, durante la ricreazione, a scuola, quando quel quarto d’ora all’aria aperta sembrava così tanto importante, le passeggiate in città, giacca in mano per godere degli ultimi raggi di sole…

Come dimenticare, infine, quei pomeriggi nella campagna dei nonni, a pochi chilometri da Viterbo? Ricordo che loro si affaccendavano ancora nei campi… mentre io, ben attrezzata, “costringevo” mio padre a sostenere improbabili partite a pallone, o far volare in alto, sempre di più, il mio aquilone… raffigurante un fenicottero rosa che si librava in cielo. Per soddisfare i miei desideri, papà aveva “prolungato” il filo ordinario, aggiungendone un pezzo, così il fenicottero arrivava altissimo, io lo guardavo con stupore e mi pareva tanto semplice essere felice…

Perdonatemi, voi che mi leggete, se sovente m’abbandono a narrarvi del mio tempo andato, ma il ricordo è il bene più prezioso che abbiamo, più forte e più vivo di noi stessi e, se non posso condividerlo mi sembra di attutirne l’immenso suo intrinseco valore…

Barbara Pasqualini

Amedeo Minghi & Mietta – Il profumo del tempo - ascoltala CLICCA QUI

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