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Viterbo STORIA Le foto sono di Riccardo Spinella www.fotovideolab.it

 

Alcune immagini della visita del critico d'arte, Vittorio Sgarbi, alla riapetura del Museo Civico di Viterbo dedicato all'archeologo viterbese, Luigi Rossi Danielli.

E' l'occasione per pubblicare la descrizione del Museo che ho scritto sul mio libro "L'illustrissima Città di Viterbo" nel 2002. Alcune sistemazioni delle opere esposte, da allora, sono cambiate, essendo, il Museo, chiuso dal 2005 e riordinato in parte per la riapertura avvenuta il 23 Ottobre 2014.

Mauro Galeotti

In fondo alla storia del Museo civico sono 21 foto di Sgarbi al Museo civico e alla Chiesa di santa Maria della Verità (Foto di Riccardo Spinella www.fotovideolab.it)

Museo civico di Viterbo
di Mauro Galeotti


Il Museo civico è in Piazza Crispi, già detta Parco della Rimembranza, quest’ultimo fu inaugurato il 6 Maggio 1923, alla presenza di Emanuele Filiberto di Savoia (1869 - 1931), duca d’Aosta.

Il Museo è ospitato dal 3 Settembre 1955, giorno dell’inaugurazione, nel chiostro e nei locali dell’ex Convento di santa Maria della Verità ed è stato riaperto nel Dicembre del 1994. 

Dal 1983 è stato dato il via al progetto di ristrutturazione, architetti sono stati Mattioli e Biondi, e nel 1987 fu decretata la chiusura per un primo stralcio di lavori, ma lunghe sono state le fasi dei finanziamenti con i consueti ritardi burocratici.

Il progetto di allestimento è stato studiato da Franco Minissi, docente di Museologia all’Università La Sapienza di Roma, affiancato dal direttore Mario Moretti, da Adriana Emiliozzi, allora ricercatrice del C.N.R. e poi direttrice del Museo stesso, e dal professore Italo Faldi.

Il Museo civico è disposto su tre livelli espositivi e si divide in due principali momenti cronologici: la sezione archeologica, dall’Età del Ferro al periodo romano, e la sezione Medioevale e dell’Età Moderna, fino a raggiungere il Settecento. In particolare al piano superiore è conservata la Pinacoteca.

Appena entrati, subito a destra, inserita nel muro, è una piccola pietra che è parte dell’epigrafe di Mummio Vegeto.

L’ambiente espositivo presso la biglietteria è dedicato al frate domenicano Giovanni Nanni detto Annio da Viterbo (5 Gennaio 1432 - 13 Novembre 1502), linguista, storico, grammatico, teologo, astrologo, alchimista, infatti sono esposti i falsi cimeli che egli abusivamente realizzava e collegava alla storia etrusca di Viterbo.

Il Marmo Osiriano, opera della seconda metà del Quattrocento con elementi eterogenei detta da Annio geroglifico, vuol provare la venuta di Osiride in Italia col suo soggiorno a Viterbo.

Il Marmo fu trasferito, su richiesta dei conservatori al vescovo di Viterbo Carlo Montigli, dalla Chiesa di san Lorenzo nelle sale comunali nel 1587, dove fu collocato a capo della scala. Riporta la scritta, forse eseguita proprio nel 1587:
Osiridis victoriam in gigantes / litteris hieroglyphicis in hoc anti / quissimo marmore inscriptam ex Her / culis olim nunc divi Laurentii / templo translatam ad conservan-(da) ve / tustiss(ima) patriae monumenta atque deco / ra hic locandam statuit S.P.Q.V.

La Tavola Cibellaria o Tabula Cybelica Maeonica, è una lastra rotonda in marmo con iscrizione in lingua greca, chiusa in una cornice quadrata di peperino con segni di vernice rossa.
Secondo Annio, che potrebbe averla fatta incidere tra il 1488 ed il 1493, questa epigrafe, assieme ad un’altra, fu trovata sul Colle Cibellario da un non meglio identificato signor Corsetti, in essa è nominato un Pipino principe dei Tirreni.

La trascrizione e traduzione completa, a cura di Corrado Buzzi, è sul libro di Attilio Carosi Le epigrafi medievali di Viterbo. La seconda iscrizione, andata perduta, era chiamata Tabula Cybelica Ararathea.

Nella sala è anche il famoso e tanto discusso Decreto di re Desiderio, la cui lunga trascrizione e traduzione è sul predetto libro di Attilio Carosi. Furono non pochi gli studiosi che dettero credito all’autenticità del decreto, fino a giungere al 1800. Ma il sostenitore più convinto fu Domenico Bianchi (1537 - post 1615) che lo ribadisce nella sua storia di Viterbo rimasta manoscritta.

In poche parole frate Annio aveva fatto incidere questa epigrafe, per avvalorare la sua tesi che pretendeva Viterbo derivare dai tre castelli Fano di Volturna, Vetulonia e Longula, asserendo poi, che Pipino, figlio di Carlo Martello, aveva unito alla tetrapoli regia anche il Castello d’Ercole sul Colle di san Lorenzo. Ma ben si sa che Viterbo era un modesto castrum nei secoli VIII e IX, e la sigla FAVL non sta certo a significare FA(num) V(o)L(turnae) o Fanum, Arbanum, Vetulonia e Longula.

Sono poi le presunte effigi di Pipinus Etruscorum Larthes, Pipino Larte degli Etruschi, e di sua moglie con la scritta Pipinus etru / scorum Lar / thes ac con / iux an LXXII / dynastiae.

Anche qui Annio si sforza con questo falso per sostenere l’antica origine di Viterbo.
Annio fu, ai suoi tempi, uno dei più grandi eruditi, poiché la sua scienza spaziava in numerosi settori. Non tralasciò l’archeologia che studiò e seguì assiduamente, con particolare interesse per l’etruscologia. Fu l’ispiratore, afferma Paola Mattiangeli, di due cicli di pitture realizzate in Vaticano nell’Appartamento Borgia, da Bernardino di Betto detto Pinturicchio (1454 c. - 1513) e sulle pareti della Sala regia del Palazzo dei priori, da Baldassarre Croce.

Fu sepolto a Roma nella Chiesa di santa Maria sopra Minerva, e scrive Gaetano Coretini nel 1774:
«ove avanti i gradini della Cappella di S. Domenico scorgesi tuttavia una Lapida di Marmo, che ne rappresenta l’effige con questa Iscrizione: “Fratri Joanni Nannio Viter / bien. Ord. Predicator. divi / nar. litter. doctiss. sacri / palatii magistro ex pietate / positum / vix. an. LXX obiit XIII November / MDII”. In fronte della medesima Lapida si legge “S.P.Q.Viter. pietate suor. / restaur. cura. MDCXIII”».


Chiostro

Nel primo e secondo corridoio del portico sono esposti i sarcofagi in nenfro trovati nel 1873 e nel 1955 nelle tombe gentilizie degli Alethna, che ebbero una elevata posizione sociale a Musarna, insediamento etrusco di derivazione tarquiniese, ubicato a dieci chilometri da Viterbo sulla strada per Tuscania. 

La necropoli fu scoperta nel 1850 da Francesco Orioli (1783 - 1856) e scavata con l’apporto di Giosafat Bazzichelli, poi membro della Giunta provvisoria dal 3 Ottobre 1870 al 1° Dicembre 1870. Per lo più hanno la cassa eseguita rozzamente, qualche sarcofago ha il coperchio figurato rappresentante una kline su cui è adagiato il defunto con la patera nella mano a simboleggiare il banchetto funebre. Ma alla poca raffinatezza dell’esecuzione, si contrappone la ricchezza di informazioni che dettano gli epitaffi sulla vita della famiglia Alethna, la quale occupò nei secoli III e II avanti Cristo posizioni di governo a Musarna.

Nel terzo corridoio sono sette sarcofagi (II secolo a. C.) che provengono dalla località Cipollaretta, presso Musarna, le iscrizioni si riferiscono alle famiglie Sethrnas, Arinas, Thvelthlies, Ceises, Saturnies, Pepnas e Tities.

Nel quarto corridoio i primi cinque sarcofagi della famiglia Smurinas (fine IV - inizi III secolo a. C.) provengono dalle tombe di Norchia a seguito degli scavi eseguiti nel 1911.
Al centro è la cisterna, con vera ottagonale, datata 1536, proveniente dal chiostro del demolito Monastero di sant’Agostino, come ho già riferito.

Sala I

Vi si trovano le raccolte archeologiche del Comune avvenute nel ‘600 e nel ‘700. I cippi con le iscrizioni etrusche risalgono al 1694 quando furono ritrovati alla Cipollara, vicino Musarna. Alcuni sarcofagi di questo ritrovamento, sono conservati a sinistra del cortile del Palazzo dei priori.
Il sarcofago di terracotta risale al II secolo a.C., realizzato a Tuscania, proviene da una tomba scavata a Viterbo nel 1784 presso le mura castellane al Poggio delle Fornaci, oggi detto Poggio Giudio.

Le vetrine della parte centrale presentano reperti di vari luoghi dell’Etruria meridionale, come i corredi rinvenuti negli anni 1929 - 1931, nella necropoli dell’Olmo Bello di Bisenzio. 
I corredi tardo villanoviani dell’VIII secolo a.C., ritrovati da Luigi Rossi Danielli nel 1903 a Poggio Montano, nei pressi di Vetralla, sono caratterizzati da olle e vasi con impasto scuro, da pendagli, da fibule e da armille.

I reperti ritrovati in tombe della fine del secolo VII e metà VI a. C., riportati alla luce negli anni ‘30 del secolo XX, in località Bucine presso Montefiascone, provengono dal centro arcaico di Civita sul Fosso di Arlena, sulla sponda orientale del Lago di Bolsena. Mentre le suppellettili funerarie e votive di una tomba, databile dalla fine del IV all’inizio del III secolo a. C., sono state recuperate in località Valle Giuncosa, a Norchia. Tra i bronzi del corredo esposto riveste una non indifferente particolarità la situla che si presenta con una insolita raffigurazione agli attacchi dell’ansa.

Inoltre sono esposte ceramiche e bronzi di età ellenistica recuperate a Monterazzano, e ancora altri reperti da Pian del Vescovo a Blera, da cui proviene anche una testa di sfinge arcaica in nenfro, databile fine VII principio VI secolo avanti Cristo.

Non mancano materiali provenienti da Ferento, da Acquarossa, secoli VII - VI a. C. e da Pianicara, dal IV secolo in poi, a cui si riferiscono anche il leone funerario ed i cippi sepolcrali a dado.
E ancora, sono conservati materiali fittili votivi di Bomarzo, secoli III - II a. C., appartenuti alla raccolta Pio Capponi, donata dal medesimo al Museo nel 1884.

Sala II e Sala III

Le sale sono riservate alla ricca e preziosissima Collezione Luigi Rossi Danielli, un viterbese (1870 - 1909) appassionato di archeologia, composta di oltre mille reperti e consegnata nel 1912 al Comune a titolo di deposito perpetuo.

La tipologia dei reperti va dalla ceramica d’impasto, VIII - VII secolo a.C., ai buccheri, VII - VI secolo a.C., dai vasi figurati di importazione greca a quelli etruschi, dalle ceramiche di età ellenistica a quelle romane e poi bronzi e resti di sarcofagi.

Tre anfore etrusche a figure nere destano particolare interesse e risalgono al primo quarto del V secolo avanti Cristo. Invece tra i vasi a figure rosse è il cratere del Pittore di Sommavilla della fine del V secolo avanti Cristo.

Assai finemente lavorata è una Urna cineraria che risale alla prima metà del I secolo d. C., ritrovata a Ferento in uno scavo del 1880.

Tra i pezzi di oreficeria, di particolare interesse, è uno scarabeo di corniola rossa su un pendente d’oro con l’effige di un guerriero. Qualche anno fa è stata rubata una bulla, in foglia d’oro battuta, raffigurante una maschera gorgonica con capelli a ricci stilizzati, risalente alla fine del VI secolo avanti Cristo. Un vero gioiello!

Nella III sala sono gli oggetti scavati da Luigi Rossi Danielli provenienti da Musarna, su un architrave in peperino è scolpito lo stemma dei Serviti.

Sala IV

E’ riservata alle antichità romane del periodo imperiale. Vi sono esposti i sarcofagi, le epigrafi e le suppellettili ritrovati nel 1921 a Ferento in una tomba a camera della famiglia Salvii, o Salvia, di origine etrusca e dalla quale discendeva l’imperatore romano Marco Salvio Otone, che partecipò al governo di Ferento per tutto il I secolo avanti Cristo.

Tre epitaffi sono incisi in lingua latina e sono riferiti ai magistrati Aulus Salvius Crispus, Aulus Salvius Crispinus e Sextus Salvius. Queste iscrizioni, per renderle meglio leggibili, furono pitturate in rosso con il minio che ancora si conserva in un calamaio esposto.

Sala V

Raccoglie le antichità romane del periodo imperiale; nel primo settore sono: sculture, epigrafi, frammenti architettonici e una urna cineraria, provenienti da Ferento.

Nel secondo settore sono: sarcofagi marmorei, sculture, epigrafi e altri reperti. Tra le epigrafi è interessante quella riferita a Sesto Ortensio, ufficiale subalterno del console Cesare Germanico, il quale commissionò e fece eseguire, a sue spese, alcune opere pubbliche a Ferento, fra il 12 e il 18 d. C., tra le quali un Foro e un Augusteo arricchito dalla presenza di oltre cinquanta statue.

Il frammento di architrave con mostri marini con corpo umano, recuperato nel 1954, fa parte del monumento dedicato a Flavia Domitilla, moglie dell’imperatore Tito Flavio Vespasiano, originaria di Ferento.

Un altro sarcofago proviene dalla località Torre S. Maria di Luco a Soriano nel Cimino, grazie ad uno scavo effettuato nel 1910, sul fronte è raffigurato il defunto e risale all’ultimo venticinquennio del III secolo dopo Cristo.

Imponente è il sarcofago scolpito su tre lati con scene di caccia al leone da riferire al 270 - 280 dopo Cristo. Questa cassa marmorea, riutilizzata nel Medioevo, fu oggetto di venerazione da parte dei Viterbesi, infatti, fin dalla seconda metà del Cinquecento, si volle fosse qui sepolto il corpo della Bella Galiana. Il sarcofago era murato sulla facciata della Chiesa di sant’Angelo in Spatha ed è stato rimosso nel 1988, essendo stato sostituito da una copia nel 1999.

Primo piano

Al primo piano sono le seguenti sale:

Sala VI

In questa sala è la Pinacoteca, che è stata formata nel XIX secolo dopo l’espropriazione dei beni ecclesiastici, eseguita a Viterbo tra il 1870 ed il 1874. Le opere, di notevole interesse, furono in un primo momento esposte e conservate nel Palazzo dei priori, dal 1912 furono trasportate nella Chiesa di santa Maria della Verità, poi dopo la Seconda guerra mondiale nel Museo civico.

Nella sala è la Sfinge, opera scultorea del 1286, firmata da frate Pasquale romano dei Predicatori di santa Maria in Gradi, l’epigrafe scolpita sul basamento l’ho riferita nella descrizione della Chiesa di santa Maria in Gradi. E’ lo stesso autore del Leone marmoreo di santa Maria in Cosmedin a Roma.

E’ poi un Leone in marmo, opera della seconda metà del XIII secolo, che presenta una lavorazione incompleta nella parte posteriore. Forse era un elemento di base di un monumento e proviene da santa Maria in Gradi.

In fondo a sinistra è un particolarissimo acquamanile in bronzo, per uso liturgico, a forma di leone, opera della prima metà del 1200 della bassa Sassonia, proviene anche questo da Gradi, infatti reca la scritta Sac. S. Mar. ad. Gr.

Il dipinto su tavola, sul fondo della sala, rappresenta la Madonna in trono con il Bambino ed angeli, un eccellente esempio di scuola romana, sempre duecentesco. Apparteneva a santa Maria in Gradi.

Di fronte, ancora del secolo XIII e sempre di scuola romana, è la Madonna con il Bambino, una tavola, detta anche Madonna bizantina, portata su tela nel 1913 probabilmente dal restauratore Francesco Cochetti; proviene per alcuni studiosi dalla Chiesa di san Giovanni Battista degli Almadiani, per altri da Gradi. 

Interesse desta il drappeggio a bretelle del vestitino del Bambino e l’aureola a graticola.

Sul retro del pannello è conservato il dipinto su tavola, proveniente dalla Chiesa di santa Maria della Pace, Madonna con Bambino, su fondo oro, del XIV secolo, opera di Vitale degli Equi da Bologna. L’artista è attivo dal 1330 al 1359, le figure centrali sono inquadrate in una cornice ad arco acuto lobato. Il Bambino è rivolto verso un cardinale presentato da un santo vescovo. E’ stato depositato in Museo nel 1912 e restaurato nel 1949.

Sala VII

In questa sala sono conservate due opere di elevato valore artistico di Sebastiano Luciani, più noto come Sebastiano del Piombo (Venezia 1485 - Roma 1547), commissionate dal prelato viterbese Giovanni Botonti, a destra la Pietà eseguita nel 1515 - 1516 per la Chiesa di san Francesco, vi è raffigurata la Madonna in preghiera vicino al corpo di Cristo morto.

A sinistra la Flagellazione, ultimata nel 1525 e collocata nella Chiesa di santa Maria del Paradiso, sul primo altare a destra. E’ assai chiara in queste opere l’influenza che ebbe su Sebastiano del Piombo, un maestro come Michelangelo Buonarroti, con cui tenne evidenti rapporti. Sulla parte posteriore delle pitture sono alcuni schizzi di figure a carboncino e a sanguigna, in quello della Flagellazione tradizione vuole che appartengano allo stesso Michelangelo, mentre sulla Pietà è quasi certo siano di Sebastiano stesso.

Giorgio Vasari scrive che il cartone della Pietà fu eseguito da Michelangelo mentre la pittura fu opera dello stesso Sebastiano che «con diligenza lo finì».
La tavola Deposizione del Cristo, sulle ginocchia della Madonna assisa, coi santi Maria Maddalena che tiene le gambe di Gesù, Giovanni Evangelista che ne sostiene il capo, Giovanni Battista, Pietro, Giacomo Maggiore, un vescovo santo, Paolo, Antonio da Padova (o Filippo Benizi?) e Cristoforo, sullo sfondo a destra, è del pittore viterbese Costantino di Jacopo Zelli (noto dal 1509 al 1524). 

Proviene dal primo altare a sinistra della Chiesa di santa Maria della Verità, appartenuto all’Arte dei Muratori, l’opera fu terminata il 10 Aprile 1517, infatti è datata e firmata su un cartiglio posto ai piedi della Madonna, Opus Co. Ja. de Ze. faciebat 1517 die 10 Aprilis. E’ stata restaurata nel 1954 a cura della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio da A. Cecconi.

Sala VIII

La tavola di fronte fu commissionata nel 1488 dai coniugi Guizzi per l’altare della loro cappella nella Chiesa di santa Maria della Verità e rappresenta il Presepe tra i santi Giovanni Battista e Bartolomeo, opera del viterbese Antonio del Massaro detto il Pastura (1450 c. - prima del 1516).
Sulla parete di destra è un affresco portato su tela, sempre del Pastura con la Madonna col Bambino ed angeli tra i santi Girolamo e Francesco inginocchiati tra angeli e cherubini, già collocato sulla lunetta del portale della Chiesa di santa Maria del Paradiso, ed è della fine del XV secolo.

Fu strappato dal sito originale verso il 1912 e restaurato nel 1954. Per la sua bellezza fu addirittura attribuito, nel 1824 da Stefano Camilli, al grande Leonardo da Vinci.
E’ poi il probabile stendardo da processione con la Madonna con la croce in mano e col Bambino in piedi, tra due angeli. E’ per Antonio Muñoz un affresco distaccato, mentre evidente è la pittura su tela, opera di Antonio del Massaro che la eseguì intorno al 1493. Era nella Chiesa di san Clemente.

Sul pannello verso il fondo della sala, sulla parte posteriore, è una tavola proveniente dalla Chiesa di santa Maria in Poggio, raffigura la Madonna in trono col Bambino ed è opera di Francesco di Antonio Zacchi detto il Balletta, noto dal 1430 al 1473, morto secondo Giuseppe Signorelli nel 1476. E’ stato in parte danneggiato dai bombardamenti del 1944.

Sul pannello, al centro, è la tavola, esistente nel 1451, già appartenuta alla Chiesa di santa Maria del Paradiso, con san Bernardino tra due angeli, del senese Sano di Pietro (1406 - 1481), allievo del Sassetta, in cui manca la parte inferiore. In alto si legge: Manifestavi nomen tuum hominibus.

Sul retro del pannello è la Madonna col Bambino opera del 1497 di Antonio Aquili, soprannominato Antoniazzo Romano (1464 - 1508), è parte di una tavola più grande andata a fuoco, proviene dalla Chiesa di santa Maria del Parto di Campagnano. Rubata nel 1918, appartiene al Museo dal 1927, quando fu donata dal Ministero. Portava la scritta: Antonatius Romanus me pinxit MCCCC97.

A sinistra è la tavola Matrimonio mistico di santa Caterina, opera del 1477 di Pancrazio di Antonello Jacovetti da Calvi (noto 1467 - 1513), già sul terzo altare a destra della Chiesa di santa Maria della Verità, ordinato dall’Arte dei Tessitori, come ho già scritto.

In sala sono custodite anche due sculture provenienti dalla Chiesa di san Giovanni Battista degli Almadiani, uscite dalla bottega fiorentina dei della Robbia. La prima in terracotta, ritenuta opera di Andrea della Robbia (1435 - 1528) del 1510, raffigura il busto del viterbese Giovan Battista Almadiani, protonotario apostolico e prelato domestico di papa Leone X. Il busto poggia su una base di legno ottagonale ove è la scritta: Io. Bap. Almadianus MDX. Feliciano Bussi († 1741) scrive che era collocato sopra alla porta d’ingresso al coro, a sinistra dell’altare della Chiesa di san Giovanni Battista degli Almadiani.

L’altra scultura del 1515 circa, rappresenta la Madonna con il Bambino tra due angeli, in terracotta policroma invetriata, già collocata sulla lunetta della predetta Chiesa di san Giovanni Battista. Poiché era alquanto mal ridotta, alla fine del secolo XIX, le parti mancanti furono fatte eseguire dal pittore ceramista viterbese Pietro Vanni.

In sala sono anche: la tavola Santa Lucia, sant’Ansano e san Bernardino di anonimo del XV secolo; il dipinto la Madonna in gloria (sec. XV) da Campagnano Romano e la Madonna col Bambino attribuita alla scuola del Pastura proveniente dal Palazzo di Vico in Via dei Pellegrini di Viterbo.

Sulla parete, verso il chiostro, sono appesi due paliotti d’altare lavorati con pregiati marmi multicolore. Sono del ‘600/’700 e in quello a sinistra è, al centro, uno stemma partito, con a sinistra in capo un Agnus Dei e in basso sei rose disposte 3 - 2 - 1, mentre nella partizione destra è lo stemma dei Fani.

Sala IX

Sovrasta quello che un tempo era il refettorio del convento. Subito a sinistra, sulla parete, è un arazzo, in lana policroma e fili d’oro, tinto con sughi d’erba con l’Adorazione dei Magi, opera di artista fiammingo della metà del XVI secolo, per un paliotto della Chiesa di santa Maria in Gradi.

Sul pannello centrale, alla sinistra dell’ingresso, è la tela Morte di Maria o Dormitio Virginis, del manierista Aurelio Lomi (Pisa 1556 - 1622), collocata, qualche anno dopo la sua esecuzione, avvenuta post il 1611, nella Chiesa dei santi Teresa e Giuseppe dei Carmelitani scalzi. La chiesa fu iniziata ad essere costruita nel 1634. L’opera è firmata sulla testata del letto della Madonna: Aurelius Lomius Floren.s divina benignitate suffultus.

Sul fronte posteriore è il dipinto, del tardo manierismo romano, l’Adorazione dei Magi attribuito a Cesare Nebbia (Orvieto 1536 c. - 1614 c.), un tempo già sull’altare maggiore della Chiesa di san Francesco.

A destra della porta d’ingresso alla sala sono una serie di quadri, sul primo pannello, è l’Incredulità di san Tommaso, opera databile 1636 - 1637, di Salvator Rosa (Arenella - NA -1615 - Roma 1673) proveniente dall’altare maggiore della Chiesa di san Tommaso. E’ firmata nel cartiglio in basso a destra: Salvator Rosa neapolitanus f.

Secondo alcuni studiosi il quadro fu eseguito nel 1639 su commissione del cardinale Francesco Maria Brancacci, napoletano, vescovo di Viterbo dal 1638. Il personaggio all’estrema destra, che guarda verso chi ammira il quadro, è l’autoritratto del pittore.

Sul retro del pannello stesso è una tela attribuita ad Antonio Gherardi (Rieti 1644 - Roma 1702), opera eseguita tra il 1667 e il 1670, Santo vescovo e santo monaco in adorazione della Sacra famiglia.
In alto nel quadro è una piccola tela di autore anonimo della seconda metà del ‘500, con la Sacra famiglia. L’opera era già sul secondo altare a destra della Chiesa di santa Maria della Pace, trasferita al Museo civico nei primi anni ‘50 del secolo XX.

Sul secondo pannello è la tela ad olio Sacra famiglia e i santi Carlo Borromeo e Filippo Neri di Angelo Pucciati (1610 c. - Giugno 1643), era sul primo altare a sinistra della Chiesa di santa Maria della Pace. Ai lati sono san Giuseppe, a sinistra, e sant’Anna a destra. Restauri furono eseguiti nel 1920 e 1928, recentemente è stato foderato a cura del Laboratorio di restauro della Provincia di Viterbo.

Del viterbese Giovan Francesco Romanelli (1610 c. - 1662) è l’opera, sul retro del pannello, che raffigura il Riposo nella fuga in Egitto, lavoro giovanile del pittore. Nel 1824 Stefano Camilli scrive che il quadro era conservato nella Camera dei Quadri, nel Palazzo dei priori.
Sul pannello seguente è la tela di Giovan Francesco Romanelli, l’Annunciazione del 1659, proveniente dalla cappella fondata dal pittore stesso, per la sua famiglia, nella Chiesa dei santi Teresa e Giuseppe. Il modello preparatorio è conservato nella Galleria Nazionale d’Arte Antica a Roma.

Sul retro è il Ritratto del cardinale Giovan Battista Bussi (Viterbo 2 Aprile 1657 - Roma 23 Dicembre 1726), opera di provenienza ignota, firmata da Giuseppe Rusca, eseguita a olio su tela e terminata il 20 Agosto 1714.
Infatti sul fascicolo posto tra i volumi sul tavolo a destra è scritto: Per la Città di Viterbo e sulla lettera aperta è Em.mo e R.mo Sig.re P.rone Col.mo / L’Onore che Vostra Em.za mi fa col gradire e sul lembo piegato con la scrittura capovolta è Roma li 20 Agosto 1714 / di Vostra Em.za Umil.mo e Dev.mo ser.o / Giuseppe Rusca Pitt.re.

Il medesimo, sconosciuto ma apprezzabile pittore, eseguì anche un olio che rappresenta il Ritratto di Papirio Bussi (1681 - 1766), di proprietà privata.

Papirio Bussi

Era viterbese, studiò lettere, filosofia, teologia e legge. Papa Innocenzo XII (1615 - 1700) gli conferì un Canonicato della Basilica Vaticana, poi lo inviò a Bruxelles, quale nunzio della Santa sede. Papa Clemente XI (1649 - 1721) lo nominò arcivescovo di Tarso e fu designato alla nunziatura di Colonia.
Lo stesso papa lo inviò ad Ancona con l’incarico di tenere la cattedra vescovile e il 12 Maggio 1712 lo nominò cardinale.

Sulla parete di fondo è la Tribuna del coro, proveniente dalla Chiesa di san Clemente, eseguita in legno di noce, tra il 1596 e il 1599, da Giulio Spina, Valeriano di Silvestro da Bagnaia ed Ottaviano Vachini o Vacchini, viterbese.

Seguono sulla parete con le finestre, due piccoli quadri, sono i bozzetti per i dipinti da eseguire nella Chiesa dell’Annunziata di Napoli. Furono realizzati da Ludovico Mazzanti (Roma 1686 - Viterbo 1775), rappresentano la Presentazione al tempio e la Natività della Vergine, non si conosce la provenienza.

Sul pannello vicino è il Sacrificio di Polissena sulla tomba di Achille del pittore Domenico Corvi eseguito dopo il 1772, anzi, per alcuni studiosi è da riferire all’ultimo decennio del ‘700, era nella Sala rossa del Palazzo dei priori.

Sul retro è il quadro Transito di santa Maria Egiziaca di Marco Benefial (Roma 1684 - Roma 1764) proveniente dall’altare maggiore della Chiesa di santa Maria Egiziaca, ove erano le Convertite del Conservatorio del Buon Pastore, ed è riferibile al decennio 1720 - 1730.

Sul pannello successivo è la tela di Giovan Francesco Romanelli, Ercole e Onfale da far risalire al 1657. Quest’opera fu acquistata a Roma presso la Galleria Sangiorgi.

Sul retro è il dipinto l’Assunzione di Maria, opera di Giovan Francesco Romanelli nel 1648 - 1649 commissionata dal cardinale Francesco Maria Brancaccio, per l’altare maggiore della Chiesa di san Rocco ove rimase fino al 1915. Per alcuni studiosi l’opera fu eseguita tra il 1633 ed il 1635.

Di Anton Angelo Bonifazi (1627 - 1699), è lo stendardo sul pannello seguente, raffigurante san Leonardo ed i carcerati, che era già sull’altare maggiore della Chiesa di san Leonardo. Fu poi custodito nella Chiesa di sant’Angelo, dopo la distruzione della chiesa. E’ lo stendardo della Confraternita omonima dipinto sulle due facciate; infatti, sul lato posteriore, è raffigurato san Leonardo in gloria.

Sul retro è la Presentazione al Tempio opera di Antiveduto Grammatica (Siena 1571 - Roma 1626) che sembra l’abbia eseguita prima del 1615, si trovava già sull’altare maggiore della Chiesa di sant’Agostino. A sinistra è Zaccaria con Gesù in braccio, al centro è sant’Anna col velo bianco, a destra è la Madonna e dietro di lei san Giuseppe.

L’ultimo pannello porta il dipinto, eseguito su tavola e poi trasferito su tela, di un Santo domenicano (san Vincenzo Ferreri?), proveniente forse da santa Maria in Gradi. L’opera è attribuita a Giulio Pierino d’Amelia noto tra il 1547 ed il 1582, anno in cui è a Viterbo.
Sul retro è il dipinto con san Sebastiano, degli inizi del XVII secolo, era nella Chiesa di santa Maria della Verità e Italo Faldi lo attribuisce a Cesare Nebbia.

Loggiato

Sul loggiato del chiostro è conservato l’affresco della Madonna in trono col bambino detta la Madonna del cardellino, è opera dello stesso Balletta, come rilevò per primo il Cavalcaselle (1887) e successivamente Van Marle ed Italo Faldi. 

E’ stato staccato, verso la fine del XIX secolo, dalla Chiesa di santa Maria in Gradi, davanti alla porta della sacrestia, e restaurato nel 1954. Si credette opera ducentesca per l’anno 1293 impropriamente riportato a vernice sulla parte inferiore della cornice. E’ particolare questo affresco perché rappresenta la Madonna nel raro atteggiamento di guardare il Bambino, anziché i fedeli. E’ in restauro nel Giugno 2001 e verrà collocato nella Sala VI.

Sono esposte altre importanti opere come:
la Madonna col Bambino tra due angeli e due cherubini, affresco del Pastura eseguito, secondo Maria Attanucci e Simona Rinaldi, anche da Andrea di Giovanni, noto in Orvieto dal 1378 al 1417
un angelo affrescato su peperino proveniente dalla Chiesa di santa Maria Nova, o Nuova;
un pluteo del IX secolo proveniente da Gradi con scolpita, sul retro, l’indulgenza concessa nel 1398 da papa Bonifacio IX, a chiunque visitasse la chiesa nel giorno dell’Annunciazione.

Ed ancora:
un sarcofago di vescovo sconosciuto proveniente da Gradi;
un portale in peperino, della seconda metà del XV secolo, decorato da candelabri, con scolpiti sull’architrave un festone vegetale, lo stemma di papa Paolo II, a sinistra, e a destra quello del Comune di Viterbo; proviene dal Palazzo dei priori.

Inoltre:
una campana, fusa nel 1482, proveniente dalla Chiesa di santa Maria della Verità, con la scritta un po’ incerta per il cattivo stato di conservazione:
Ave Regina coeli letare alleluia [...] Chiesa della Verità de Viterbo [...] padre Marc’Antonio Mennetti da Lucca figlio di detto convento [...] refusa nell’anno MCDLXXXII [...] Giovanni Puccini.

La campana ha lo stemma dei Serviti con la sigla S M;
un’epigrafe ebraica del 1401, in memoria del bambino di sette anni di nome Reuben, che riporto altrove;
un’epigrafe del Capitolo della Chiesa di sant’Angelo del 1493. 
Sono, poi, custodite due epigrafi del 1275, la prima è memore della costruzione del Palazzo del capitano del popolo, oggi Palazzo Gatti in Via La Fontaine, nell’area poi occupata nel 1684 dai Carmelitani scalzi presso Piazza Fontana Grande, ad opera di Pandolfo degli Anguillara, podestà, e di Rolando di Alessandro, capitano del popolo e l’altra relativa alla pacificazione delle fazioni cittadine riferita sempre agli stessi personaggi. 

Sono provenienti dal Palazzo dei priori, ma in origine la prima era al termine di chi saliva la scala del Palazzo del capitano del popolo e l’altra nel palazzo medesimo.

La prima epigrafe la riporto più avanti, l’altra riferisce:
Pandulfus comes Anguillarie pote(st)as / et Rollandus d(omi)ni Alexand(ri) capit(aneus) civitat(is) / Viterbii post(er)itati salut(em) dicunt. Discor / des in civitat(e) Viterbii et districtu mira / et sollepni pace pacavim(us) cui(us) turbatore(m) / ex n(un)c spoliatum bonis alienatione d(e)bit(is) / (ve)l dote n(on) obstante puniend(um) capite Viterb(iensis) p(o)p(ulus) / in (con)tione d(e)crevit n(u)llo t(em)p(or)e veniam meritu / ro q(ui) pro tali crimine fu(er)it exbandit(us) eisde(m) / subdendo penis q(ui) in alium quam noce(n) / tem manus ultionis extenderit: / Anno Domini mil(esim)o cc lxx quinto.

Tradotta: Il podestà Pandolfo, conte di Anguillara, e Rollando del nobile Alessandro, capitano della città di Viterbo, rivolgono il loro saluto a quelli che verranno.
Abbiamo pacificato le opposte fazioni nella città di Viterbo e nel distretto, con accordo mirabile e straordinario.
Il popolo di Viterbo, radunato in assemblea, decretò d’ora in avanti doversi il turbatore, spogliato con la confisca dei beni, punire con la morte nonostante il risarcimento dovuto: nessun tempo a meritare il perdono a colui che per tale delitto sia stato bandito, da sottoporre alle medesime pene di chi si vendica su persona innocente. Nell’anno del Signore 1275.

Sul loggiato sono pure:
l’epigrafe di consacrazione della Chiesa di santa Maria in Gradi del 1258;
un tabernacolo in marmo del XV secolo, proveniente dalla Chiesa della Trinità;
l’epigrafe, con bassorilievo in marmo, del 1303, già posta sulla facciata della Domus Dei;
la lapide in peperino del 1323, con iscrizione gotica, proveniente dal vecchio Palazzo dei priori (Prefettura) memore di un restauro o abbellimento di quell’edificio.

Destano curiosità e, allo stesso tempo, apprensione le numerose scritte graffite sui muri della loggia medesima, eseguite dai carcerati ivi rinchiusi intorno al 1760.

Direzione

Nella stanza della direzione sono conservati tre busti in marmo quello di papa Pio IX di Pietro Tenerani, che lo eseguì e donò al Comune nel 1848, e quelli di un uomo e una donna della famiglia Veltri Romanelli di anonimo del XVII secolo.

Credo che possano identificarsi in Maddalena Palaggi Romanelli e il marito Ludovico Veltri, eseguiti da Domenico Duranti nel 1705 per la Cappella alla santissima Annunziata nella Chiesa di santa Teresa e Giuseppe.

Secondo piano

Al piano superiore lungo il corridoio, sulla destra, è una Sezione numismatica, formata da 32 testoni d’argento, provenienti da un ritrovamento avvenuto a Vignanello nel 1954 in Via Casalino. Le monete sono state coniate a Roma e Ancona sotto i pontificati dei papi Paolo IV, Pio IV, Pio V e Gregorio XIII.

A sinistra, in parete, sono le Piante della Città di Viterbo di Tarquinio Ligustri del 1596, acquaforte su carta e di Pierre Mortier, Amsterdam 1680, acquaforte e bulino su carta.

Non voglio dimenticare di citare Mario Cartaro, famoso incisore viterbese della seconda metà del Cinquecento, autore di numerose stampe, tra le quali quella relativa alla Pianta di Roma del 1579, dedicata al Senato romano in cui si firma Marius Kartarius Viterbiensis.

Lasciò la città natale sin dai primi anni della sua vita ed a Roma esercitò la professione firmando le sue incisioni, come riferisce Vincenzo Federici (1898), Kartarius, Kartarus, Cartarus, Cartarius, oppure con le iniziali in lettere capitali M K.

Il Cartaro oltre che incidere le sue opere, le stampava e le vendeva direttamente.
Scrive di lui Alfredo Petrucci:
«Un editore come lui, che, data la sua cultura, doveva avere anche una clientela di riguardo, non poteva naturalmente fare a meno di avere nel suo negozio una riproduzione del “Giudizio Universale” di Michelangelo, e quella riproduzione fece egli stesso, mettendovi tutto il suo impegno. Poteva bastare!
Ma al Cartaro non mancava una certa ambizione, e volle fare un “Giudizio” suo, al modo stesso di Martino Rota, che dopo aver riprodotto quello di Michelangelo e quello attribuito a Tiziano, ne incise anche uno di sua invenzione».

Sala X

Sono esposte nella sala le ceramiche di Vasi da farmacia, dell’Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo, che vanno dalla metà del XVII secolo agli inizi del successivo. Infatti, compaiono gli anni 1657, 1678, 1708 e gli stemmi dell’Ospedale, il Calvario con le tre croci, e del Comune di Viterbo e, ovviamente, il nome dei farmaci un tempo in essi contenuti. Vennero introdotti nel Museo dal 1903 al 1915.

Sono databili in buona parte tra la seconda metà del XVII secolo e il primo decennio del XVIII, è incerto se furono prodotti da mastri vasai di Bagnoregio, ma sicuramente provengono da botteghe alto laziali.

Dominano gli albarelli recipienti di forma allungata, cilindrica, con lieve strozzatura al centro, con una delicata veste di smalto turchino detto berettino, su cui sono gradevoli motivi vegetali.
Vi è anche un albarello con raffigurati la Vergine col Bambino entro un clipeo eseguito a Deruta, inoltre sono esposti vari boccali usati per conservare l’olio o liquidi medicinali. Tra questi, dalla Spezieria delle monache Benedettine di san Pietro a Montefiascone, fa bella mostra un piccolo orcio, realizzato a Bagnoregio e datato 1657, con dipinta l’immagine di san Benedetto.

Sulla destra del corridoio sono poi esposti cronologicamente, fino al 1899, cinquantasei bozzetti relativi alla costruzione della monumentale Macchina di santa Rosa.

Il disegno più antico è del 1690 ed è stato eseguito da Giovan Vincenzo Calmes, mentre Signore della Festa era Giuseppe Franceschini, presenta una macchina che conserva ancora le caratteristiche forme dei baldacchini trasportati nelle processioni religiose. Infatti, si vede la statua di santa Rosa poggiata su una base illuminata da candelieri.
Numerosi e di notevole pregio artistico sono i progetti eseguiti dalla famiglia Papini.

Sala XI

In fondo al corridoio è una Galleria dei ritratti su tela, commissionati tra il Settecento e l’Ottocento dai frati Domenicani di santa Maria in Gradi, in memoria dei personaggi di quell’Ordine e dell’Accademia degli Ardenti di Scienze ed Arti che nel 1821 si impegnò per una prima riorganizzazione del Museo civico.

Nel 1912 e ancora nel 1932 i quadri, conservati in quella che era la sacrestia della Chiesa di santa Maria della Verità, adibita a Museo civico, erano quarantadue. Si vedono in parte, appesi al muro, in una cartolina che ho pubblicato su un mio libro.
Tra i ritratti è quello del frate domenicano Giovanni Nanni, detto Annio da Viterbo (1432 - 1502), che ho nominato più volte. Il quadro è di un autore ignoto vissuto fra i secoli XVII - XVIII. In basso è una scritta letta da Andrea Scriattoli:
Reve.mus Pr. Fr. Ioannes Nannius Vit(erbiens)is preclari(ssi)-mus celeberrimusq(ue) / auctor / reru(m) omniu(m) peritiss(im)us atq(ue) ap(osto)l(i)ci palatii magister.

Sono di autore ignoto i ritratti di Francesco Mariani (31 Luglio 1684 - 14 Maggio 1758), quadro eseguito nel 1758, e del canonico Eugenio Sarzana (1723 - 1788), opera della fine del XVIII secolo, entrambi studiosi appassionati di archeologia.

In basso all’effige di Mariani è scritto:
Franciscus Mariani Viterbiensis scriptor linguae grecae in bibliotheca / Vaticana eiusdemque basilicae beneficiatus scripsit summo studeo historia / de Etrurie metropoli et senatui populoque Viterbiensi gratissimus obijt / Romae 15 [14 per Gaetano Coretini] maij 1758 aetatis suae 73.

In basso all’immagine di Sarzana è scritto:
Eugenius Serzana nobilis Viterb. canonicus insig. colleg. S. Xisti natus die 14 Februarii / 1723 ingenio & sacra prophanaque eruditione clarus, patriae, defensor scripsit opus / Della capitale de’ Tuscaniesi e del suo vescovado adversus Tuscanellanos et aliud / post humum edendum reliquit. Vixit annis sexaginta quinque, & obiit 12 Januarii 1788.

Il ritratto, ad olio su tela, del domenicano fra’ Vincenzo Fani, al secolo Pietro Fani (Viterbo 1617 - Roma dopo il 1672), è di autore ignoto del XVII - XVIII secolo. Fu maestro del Sacro Palazzo e segretario della Sacra Congregazione dell’Indice.
Vi è scritto:
R.mus m. f. Vincentius Fanus Viterbieñ. Sacrae Congreg. / Indicis a Segretis.

I ritratti dei papi sono dedicati a:
Innocenzo XIII, al secolo Michelangelo Conti; Niccolò V; Giulio II opera di Vincenzo Milione, eseguita nel 1795; Alessandro V; Sisto IV; Sisto V, già nel Convento di san Francesco, con la scritta: Xystus V pont. max.
Innocenzo X; Clemente XIII; Clemente XIV, con lo stemma di famiglia sulla stola.

Il ritratto del beato Crispino, poi santo, presenta la scritta:
Frater Crispinus Viterbiensis laicus Cappuccinus obiit / Romae XIX May MDCCL etatis LXXXI in beatorum / fastis relatus a ss. Dnõ papa Pio VII die VII septembris mdcccvi.

Altro dipinto ad olio, proveniente dalla Basilica di san Francesco, unico firmato e datato, rappresenta il cardinale Vicedomino de’ Vicedomini, il cosiddetto papa di un giorno.

La scritta sotto la sua figura riferisce:
P. M. Vicedominus de Vicedomi-nis Placent(inu)s Miñ. Coñ. Año 1276 / Eadem die qua ad sum(mu)m pontif(icati)s apicem fuit e(r)ectus Viterbii / fato cessit. 

Più in basso, in corsivo, è la firma del pittore, Dipinse Vincenzo Milione al SS. Sudario in Roma aprile 25 / 1795. Vincenzo Milione sembra sia nato in Calabria nel 1735 e morto a Roma nel 1805.

Altri quadri ad olio, per lo più della seconda metà del Settecento, provenienti da santa Maria in Gradi, riproducono i volti dei frati:

Consiglio Gatti vissuto a cavallo del 1300 reca la scritta:
[…] vemus p. fr. Co(n)silius Vit.is Eugeny IIII cappellanus, et peni[…].

Angelo Negroni del XIII secolo, con la scritta:
A. r. p. fr. Angelus Negronius Vit.is, eruditiss.us in theologiam / scriptor nimi[…] prioritatis vir.

Lorenzo di Angelo di Viterbo, vissuto nel secolo XIV, con la scritta:
Reve.mus p. fr’ Laurentius Vit.is doctrina et probitate / […] Civitatensis.

Ludovico Angelelli de’ Gentili del secolo XVI, con scritto:
Reve.mus p. fr. Ludovicus Vit.is, sacre theologie magr’, cenobii / huius presul, prolis rom: atq: epus Signinus.

Girolamo Vittori domenicano del XVII secolo, con le parole:
Adm. r. p. m. f. Hieronymus Victorius Viterb. soci. rr. mor. p.p. geñlium Io: Baptist[…] / de Marinis et Io: Thomae Rocaberti et prior provincialis romanus.

Tommaso Nanni, con la scritta:
A. r. p. fr’ Thomas Nannius s. theolog. magro, observâtis.us / et prudentis vir atq. vic con[…] Tuscie.

Dionisio da Viterbo, vissuto nel ‘400, con scritto:
A. r. p. f. Dionisius Vit:is, doctrina, et sanctitate insignis, / […] beati Ambrosii Sâsedo […].

Infine Pietro Antonio Petrucci, morto a Viterbo nel 1496, con la scritta:
Revemus p. fr’ Petrus Antonius Vit.is sacre theologie / baccalaureus, prolis rom: et epus Signinus.

Sono conservati altresì i quadri di:

Antonio Francesco Orioli di Bagnocavallo, vissuto nella metà dell’800, proveniente dal Convento di san Francesco, con la scritta:
P. M. Ant. Francisc: Orioli de Balneocaballo min: conv: episc: urbevet: / presb: card: creatus a Gregorio XVI die XII februarii MDCCCXX-XVIII.

Raimondo Zolla viterbese, domenicano del XVIII secolo, inquisitore generale del Santo Offizio di Perugia;

Ercole Audiffret (Eaudiffret), deceduto a Parigi nel 1659 con la scritta:
R.p. Hercules Audiffret coñgris doctr / xanae praep. gen. pietate et eloquentia / clarus ob. Parisiis 1659.

Giovanni Massière del secolo XVIII con la scritta:
R.p. Ioan Massiere congeg. dõc. xñae procur / glis, et primus plîs in prõva romña, doctrina / et pietate comendabilis ob. Romae an. 173[…] / suae.

Della stessa raccolta di quadri fanno parte alcuni dipinti conservati già al Museo civico e oggi collocati nelle stanze di funzionari e assessori, con ufficio nel Palazzo dei priori, e al rettorato dell’Università della Tuscia. 

Di quelli che ho potuto vedere, uno porta raffigurato papa Pio VI e la scritta:
Pius VI P.M. / […] a[…]tiorum iurium protector / […] O.V. grati anim. memoria a. D. 1784. 

Un altro presenta il ritratto del vescovo Francesco Maria Sèttala e le parole:
F. Franc. Mª de Vicecomit. Mediolan. ep. Viter. / a Xyxto IV 1472.

Altri quadri della medesima collezione, che so essere già presenti nel Museo civico, almeno nella metà del secondo decennio del 1900, visti da Giuseppe Signorelli, sono quelli raffiguranti i papi:

Paolo V, Innocenzo XI, Benedetto XIII opera del 1725, Benedetto XIV, Clemente XI, i probabili ritratti dei papi Alessandro VIII, Clemente XII, Innocenzo XII, Niccolò IV.

I cardinali:
Scipione Cobelluzzi, Benedetto Pamphili.

Ercole Dandini con scritto:
All’em.o sig. card. Ercole Dandini / prefetto della S. C. del B. Governo / la Comune riconoscente.

Girolamo d’Andrea, opera di Benedetto Sillani (sec. XIX), con la scritta:
Hieronymi de Andrea e patricia gente neapolitana provinciae huic / Regundae praefecti in antiquissimum viterbiensium decuriorum / ordinem restituti imaginem S.P.Q. libens merito dedicavit MDCCCXI.

Vincenzo Macchi opera del 1844 di Marianna Rizzo Guerrini con sul cartiglio la scritta:
All’em.o e r.mo prin.pe / il sig. cardinal Macchi / ves.vo di Porto S.ta Rufina / Civitavecchia;

Oddi;
un probabile Francesco Maidalchini, un Castiglione e Marco da Viterbo con la scritta:
F. Marcus Viteer. ex minist. gen. ord. ab / Urb. V S.R.E. card. 1366. 

I vescovi:
Angelo Antonio Anselmi (? - 1816), viterbese, opera del 1786, con scritto:
Angelus Antonius Anselmi viterbiensis jam ecclesiae collegiatae S. Xisti / [...] cus a ss.mo d.n. Pio VI., in concistorio diei 18 Xbrîs 1786 tar / […]t et Priverni epûs raenunciatus, et a S.P.Q.V. nobilitate donatus.

Frate Pietro Antonio di Viterbo dei Domenicani, vescovo di Segni; Francesco Maria Visconti vescovo di Viterbo. 

Francesco Angelo Pastrovich (1772 - 1783), già nel Convento di san Francesco, con la scritta e con stemmi gentilizi del papa Clemente XIV e del vescovo medesimo:
F. Franc. Ang. Pastro / vich ep. Vit[…] / Clem. XIV […]

I padri:
Cesare De Bus (Cavaillon 1544 - Avignone 1607) che istituì i Padri della Dottrina Cristiana, con la scritta:
Vir eximiae pietatis / v. pater Caesar-de Bus, Congregationis / Patrum Doctrinae Christianae institutor / congregationis institutio 1592 / confirmatio 1597 / obiit 1607 15 aprilis civitati [...] / etate 63.

L’abbate Giuseppe Maria Alberti opera di Giuseppa Sales del 1807, con scritto nel cartiglio:
All’il.mo e re.mo sig. p.re col.mo / m. Giuseppe Maria de Alberti / abbate mitrato di S. Martino -Viterbo p. s. mo.,

e un anonimo frate francescano. 

I delegati apostolici:
Pietro Lasagni (1857); Benedetto Cap[p]elletti quadro voluto ed eseguito da Giulio Zelli Pazzaglia. 

Scrive in proposito Giuseppe Signorelli che il ritratto del Cappelletti fu eseguito intorno al 1816 e che lo stesso, nel 1914, dice che si trova nella pinacoteca comunale.

Reca la scritta:
Benedicto de baronibus Capelletti reatino / delegato apostolico Viterbii de civitate et ordine / patricio, optime merito Julius Zelli Pazzaglia eques / S. Stephani nob. viterbien. magistratu obsequente / in publici, et grati animi memoriam.

Nel Museo sono conservati i disegni eseguiti da Francesco Sabatini degli affreschi di Benozzo Gozzoli realizzati nel Santuario di santa Rosa.

Dal volume di Mauro Galeotti:
L'illustrissima Città di Viterbo, Viterbo, 2002

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