Viterbo LIBRI
Emanuela Dei
“L’anima e il castigo”, autore Michele Caccamo, Castelvecchi Editore

Michele Caccamo e la copertina del romanzo

Non è mia abitudine leggere romanzi storici a meno che non siamo riscritti o rivisitatati da un narratore moderno.

Il primo a farlo è stato Umberto Eco con “Il nome della rosa” nel 1980. Grazie al semiologo, il romanzo storico, giallo, picaresco e noir confluisce in una scrittura autorevole ma moderna; in più il tema sentimentale e l’espediente del vecchio manoscritto ritrovato danno la possibilità a generi antitetici per natura, di incontrarsi in un circo di rivelazioni. Eco seppe rivisitare antiche storie con la presenza di un narratore ormai avanti negli anni che, solo alla fine della sua vita, riesce a dare un giusto significato agli avvenimenti della giovinezza.

Ne “L’anima e il castigo” di Michele Caccamo, invece, ascoltiamo il racconto di un narratore onnisciente ipersensibile. Possiamo parlare di un raccontatore contemporaneo accorto alle sfumature, alle intuizioni dell’anima, anziché a quelle dell’intelletto. Abbiamo a che fare con un narratore-dio pietoso e non giudicante. Egli decide di mostrare i crudi avvenimenti mettendoli, però, in contrasto con le parole e la visione spirituale del protagonista. Non c’è giudizio diretto, ma un continuo confronto tra le azioni degli esistenti e la capacità del personaggio principale di riportare tutto ad un disegno divino superiore.

“L’anima e il castigo” si rifà alla storia di Hermann von Reichenau, monaco e astronomo, esistito e venerato come beato intorno all’anno mille. Di lui, storicamente, sappiamo molto ma chi può dirci cosa abbia avvertito o veramente sofferto la sua anima? Inoltre,

il richiamo, nel titolo, a uno dei più importanti romanzi russi dell’ottocento è voluto o no? Avere un’ anima pura, può essere percepito come una sorta di “delitto” nella società moderna?

Mi spiego meglio: Ermanno, il protagonista del romanzo, non consce la cattiveria, l’invia la brama di potere. Mite, ma intelligentissimo, sembra più interessato a scoprire i segreti dell’universo cercando un dialogo diretto con Dio. Non si occupa ‘delle umane genti’ forse perché in loro avverte tracce del maligno. Possiamo dire di avere a che fare con un personaggio piatto, come li definiva E.M.Forster.

Questa qualità, però, che predomina la sua vita, risulterà, poi, essere l’unico faro o fuoco per le altre anime che popolano la storia. La bontà, genera invidie, la mitezza provoca la prepotenza dei più scaltri. Ermanno è un personaggio destinato a essere molestato e vessato da chi non vuole vedere oltre la caducità di questa esistenza. Sono pochi i personaggi che lo incontrano e che riescono ad andare oltre la deformità delle sue carni. Ci si ferma all’esteriorità senza provare a conoscere la vera essenza dell’essere umano.

Secondo la narrazione di Caccamo, avere accanto il simbolo della devozione e carità cristiana può provocare, negli altri personaggi, la volontà di castigare, punire, togliere di mezzo, chi gli fa scaturire ogni dubbio. La diversità induce alla continua messa in discussione delle norme. La diversità provoca tentazioni.

Caccamo più che un narratore è un poeta, non c’è niente da fare. Riesce, con il solo suono delle parole, a dipingere l’anima divina del protagonista, tanto, che a tratti, si avrebbe voglia di vederlo questo Creatore, in modo da sentirlo raccontare i suoi ragionamenti e soluzioni.

“L’anima e il castigo”, autore Michele Caccamo, Castelvecchi Editore.

 

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