Francesco Galli, fotografo e documentarista viterbese (Foto di Giorgio Stockel)

Pino Galeotti, regista e scrittore

Recentemente è stato presentato ad Holstebro, in Danimarca, un’interessante pubblicazione dedicata all’Odin Teatret e, in modo particolare, alle strutture teatrali e abitative che, proprio in quella città, accolgono questo importante gruppo di attori, sempre all’avanguardia, da oltre cinquanta anni, nell’ambito della ricerca e della sperimentazione teatrale.

“GENIUS LOCI —La casa dell’Odin Teatret” è il titolo di questo interessante lavoro — edito in diverse lingue — costituito da riflessioni, ricordi, testimonianze e da un’ampia documentazione fotografica. E’ stato realizzato dal regista della compagnia, il salentino Eugenio Barba; dall’attrice di origine inglese Julia Varley; e dal fotografo e documentarista viterbese Francesco Galli; il quale, per altro, è un mio caro amico.  

Il libro, ricco come dicevo di un corredo visivo e fotografico, è dedicato a tutti coloro che hanno costruito l’Odin e al “popolo segreto che lo ha amato”. Personalmente ho seguito  da sempre con viva simpatia, oltre che con interesse, la vita, l’attività e le produzioni  di questa originale comunità teatrale. Una volta, tanti anni fa, nel teatro dell’Università di Roma, dopo uno spettacolo, ho chiesto addirittura a Barba di poterne entrare a far parte.

Ero rimasto folgorato da quello che avevo visto, dalla profondità della ricerca che veniva messa in scena, dall’intensità della recitazione, dall’originalità dell’organizzazione dello spazio. E da quella volta ho incominciato ad amare l’Odin e non ho più smesso di farlo. Tanto che per vederne gli spettacoli, quando non è stato possibile farlo a Roma, sono stato a Firenze, a Torino, a Bologna, a Lecce… mi sono impegnato, insomma, come fa ogni innamorato che si rispetti.

Per la cronaca: Barba non mi accettò nella sua compagnia ma, quando lo andai a salutare, mi prese la mano e me la riempì di monete; le stesse monete con le quali era stato tempestato uno degli interpreti durante lo spettacolo — nella scena più drammatica e commovente — e mi disse con un timido sorriso: ”Buona fortuna, amico mio!” Io ho sempre tenuto con me quel piccolo tesoro, quel talismano che, ad essere sincero, mi ha portato davvero fortuna… perché ho lavorato per tanto tempo e lavoro ancora in un ambito creativo che dà un bel senso alla mia vita e arricchisce il mio esistere. Così porto sempre con me la gratitudine per quel dono e per quel sorriso di incoraggiamento. E quando ho letto la dedica che apre “Genius Loci”, mi sono sentito — come si dice? — chiamato in causa; perché mi sono subito riconosciuto  facente parte di quel “popolo segreto che ha amato l’Odin” e anche perché, forse, sono ancora in debito con  Barba, per quell’antico dono. E allora, eccomi qua a scrivere con tanto, tanto affetto. 

Ma che cos’è l’Odin?

“All’inizio, nel 1964, eravamo un minuscolo gruppo amatoriale curioso e ingenuo. Amavamo studiare la storia del teatro per approfondire la conoscenza di questo regno del passato ed eravamo convinti che dovevamo pagare di tasca nostra per realizzare il teatro diverso che volevamo fare. In silenzio, con un rigore da trappisti, intraprendemmo i primi passi da autodidatti verso una consapevolezza che è stata anche conquista della nostra differenza. Ci demmo il nome di un dio nordico, Odin, che scatena le forze oscure per distruggere o elargire conoscenza”. Così scrive Eugenio Barba, rievocando la nascita di quella che con il tempo è diventata una delle compagnie teatrali più originali e affermate a livello internazionale.

Ma che cos’è questo tipo particolare di teatro e chi è Eugenio Barba?

L’Odin Teatret nasce ad Oslo, come gruppo di ricerca e sperimentazione teatrale, fondato, come dicevo, dal regista salentino e da un piccolo gruppo di giovani attori norvegesi, rifiutati dalla Scuola teatrale di Stato.  Barba aveva collaborato con il grande regista polacco Jerzy Grotowski ( autore, tra l’altro, di quel meraviglioso libro intitolato  “Per un teatro povero”) che, negli anni cinquanta del secolo scorso, aveva rivoluzionato il teatro europeo con le sue complesse teorie sul lavoro dell’attore e con una serie incredibile di spettacoli molto, molto originali, dove attori e spettatori si trovavano ad occupare insieme lo stesso spazio scenico. Dopo due anni di intenso lavoro, l’Odin si trasferisce dalla Norvegia in Danimarca e si stabilisce ad Holstebro. Qui, ristrutturando una vecchia fattoria contadina, crea diversi ambienti dove vivere e realizzare spettacoli teatrali.

In tanti anni di attività; da quei lontani anni ’60 fino ad oggi l’Odin ha realizzato circa 80 spettacoli,  proponendo ad un pubblico non tradizionale — di 66 diversi paesi di tutti i continenti — temi e forme di una cultura prima internazionale e poi multietnica.  Mi fa piacere ricordare  — tanto per fare qualche titolo — il primo spettacolo che ho visto: “La casa del padre”, riflessione e riproposizione della tormentata, schizofrenica vita di Fedor Dostoevskij; come ricordo con affetto l’ultimo, il recente “L’albero”, storia di una grande pianta martoriata e distrutta dalla guerra e dalla ferocia umana. 

Queste messe in scena, basate sulla ricerca interiore, su un allenamento quotidiano dell’attore e sulla continua interrelazione tra gli interpreti, sono state sempre caratterizzate, in modo rigoroso, dall’uso di un preciso linguaggio estetico, influenzato dal teatro orientale e dal teatro di strada; con scenografie ridotte all’essenziale; la centralità evocativa del corpo dell’attore; e gli elementi del grottesco e dell’esasperazione che arricchiscono di ulteriori simbologie l’azione, proposta in situazioni spaziali sempre diverse. 

Si tratta — mi viene da dire — di una forma spettacolare coinvolgente e straniante; emotiva ed intellettuale, al tempo stesso, che vuole  sempre sorprendere, meravigliare lo spettatore;  prenderlo per mano e condurlo nell’area di una maggiore consapevolezza etica dell’agire umano. Ampliare la coscienza di chi assiste a quell’antico rito chiamato teatro, insomma. 

Per l’Odin, infatti, il valore del teatro è radicato nella qualità delle relazioni che crea tra gli individui  e tra le differenti voci all’interno di ogni singolo individuo…

Contemporaneamente a questo lavoro di messa in scena, l’Odin ha creato, nel tempo, una pluralità di iniziative culturali e sociali orientate alla scoperta e alla valorizzazione di esperienze teatrali di altre culture. Tra queste iniziative spiccano i cosiddetti “baratti”, che sono basati proprio sull’incontro e sullo scambio con gli interpreti di altri tipi di teatro, di altre forme, di altre modalità comunicative, appartenenti ad aree geografiche le più diverse.

Inoltre l’Odin ha creato anche una sorta di Università internazionale del teatro: l’ISTA (International School of theatre antropology) e diverse rassegne e Festival dedicati al teatro delle donne e contro ogni tipo di discriminazione. Ad un certo punto, le iniziative sono diventate così tante che per gestirle è stato necessario costituire, sia da un punto di vista artistico che amministrativo, una specie di super struttura denominata “Nordisk Teaterlaboratorium”. Così, mentre  al piccolo gruppo iniziale si aggiungevano altri attori e operatori dello spettacolo (scrittori, storici del teatro, scenografi, costumisti, tecnici…) provenienti da tutte le parti del mondo, quell’antica fattoria contadina di Olstebro si trasformava in un luogo quasi fiabesco. Con torri, biblioteche, ambienti dove vivere e studiare e spazi per le messe in scena. Un luogo insomma dove attuare, nella pratica quotidiana, un progetto collettivo di vita e di teatro in comune, essendo veramente in tanti.  

L’attrice Julia Varley, che con Eugenio Barba e Francesco Galli firma il testo “Genius Loci”, è stata per anni l’interprete straordinaria di spettacoli indimenticabili che hanno fatto il giro del mondo.  Julia, ricordando il lavoro manuale svolto ad Holstebro da tutti i componenti della compagnia dell’Odin, si esprime così: “Di solito l’architettura di un teatro è ben definita: c’è un’entrata più o meno appariscente, una biglietteria, un capiente foyer con il bar, una sala con il palco e la platea con le poltrone, e poi, nascosti al pubblico, ci sono i camerini per gli attori e una cabina tecnica per le luci e altro. Questi elementi sono presenti anche all’Odin, ma le proporzioni, la disposizione e le forme sono diverse.

Da noi il susseguirsi di corridoi, soffitte, nicchie, torri, scale a chiocciola, sale prova e spazi per recitare crea una sorta di labirinto dalla logica misteriosa… Siamo noi attori che teniamo puliti e in ordine tutti questi ambienti e siamo noi che li abbiamo costruiti. La Sala Rossa, per esempio, che può ospitare fino a 100 spettatori fu costruita in sette mesi da noi della compagnia che ci alternavamo nell’attività di manovali, carpentieri e muratori. Poi, mentre facevamo la prova di qualche spettacolo, creammo una biblioteca, un laboratorio scenografico e una sala teatrale, più piccola e raccolta, detta Nera,  e poi ancora un’altra sala. Ma la crescita e la trasformazione del posto  non è avvenuta in base a un disegno prestabilito.

L’Odin, in senso architettonico, si è formato aggiungendo via via dei pezzi, secondo le occasioni e le necessità: una casetta per ospitare i partecipanti ad un seminario; una sala prove più grande; un secondo piano per accogliere gli archivi e chi li usa; un ripiano per cambiare i pannolini ai bambini; una camera per la musica, che in certe occasioni diventa una sala da pranzo; fino alle cucine, alle camere da letto e ai bagni. Oggi siamo in tanti a vivere in questa ex fattoria, con attori e altri professionisti, provenienti da tutti i continenti, che un po’ alla volta si sono aggiunti a noi”.

Francesco Galli, architetto, fotografo e documentarista, è uno dei maggiori operatori culturali dell’Alto Lazio. Lui non si limita ad essere colto. Piuttosto, con quello che fa,  vive e produce cultura. Da anni si occupa del rapporto Arte-Natura, e i suoi interessi vanno dall’ambito architettonico e paesaggistico a quello antropologico e teatrale.

In questo senso ha realizzato, con mostre fotografiche, pubblicazioni e video, un’interessante ricognizione storico-interpretativa del territorio della Tuscia. Possiamo ricordare i lavori sui Facchini di Santa Rosa, sulla Processione di San Vivenzio a Blera, sul Taglio del bosco nei monti Cimini, sul lago di Bolsena, sul Sacro Bosco di Bomarzo…

Da diversi anni Galli collabora con l’Odin Teatret. Dell’Odin è una sorta di osservatore privilegiato — per non dire fotografo ufficiale — di molte delle attività che il gruppo svolge in Danimarca e nelle più svariate parti del mondo. Per l’Odin ha realizzato documentazioni fotografiche e video  specie sull’attività pedagogica e creativa di Iben Nagel Rasmussen, maestra di recitazione e attrice di lungo corso del gruppo di Holstebro. Per farlo ha girato mezzo mondo ed è entrato in contatto con le più prestigiose istituzioni culturali internazionali.

Adesso, Galli, oltre all’apparato visivo del Libro, composto da 135 fotografie, firma un bel saggio, “Porte sensibili”, sul teatro come porta e come metafora dell’intero spazio abitativo della compagnia di Holstebro.… “Negli ambienti dell‘Odin — così scrive — ho fotografato una moltitudine di porte. Inoltre spesso il mio punto di vista di trovava proprio in prossimità dell’ingresso di una stanza o di una sala. Sono consapevole di una mia tendenza a realizzare immagini contenenti altre immagini, così che porte e finestre diventano naturali cornici per altre e possibili fotografie, più piccole e autonome ma contenute in una più grande.

E, nella Casa dell’Odin, mi sono trovato, per così dire, a casa mia. Ogni fotografia che ho fatto è tratta da un contesto più ampio, non potrebbe essere altrimenti. Come succede ad alcuni sogni o ad una eterodossa linea di pensieri. E’ l’idea implicita del labirinto: uno spazio che si attorciglia su se stesso, con la sua presunta e fallace simmetria.

La profondità dello sguardo viene sospesa in modo che non sarà mai una linea retta a congiungere due punti distinti… Essendo nato e vissuto in una città, come Viterbo, di origine medioevale, trovo questo aspetto molto familiare.” - Ma che cosa ha colpito maggiormente Galli nel fotografare i tanti ambienti multiformi dell’Odin?” - “Mi ha colpito — così scrive — la grande duttilità degli spazi adattati e adattabili sia per il lavoro individuale che per la socializzazione. Qualche tempo fa entrai una mattina nella Sala Bianca.

Ricordo che era allestita per le prove di uno spettacolo da farsi in città nel pomeriggio. Poi la sera la sala si trasformò in uno spazio musicale ed esplose in una festa grazie ad un gruppo cubano che suonò e fece ballare un centinaio di persone tutta la notte… Il giorno dopo quella stessa sala era pulita e silenziosa pronta ad accogliere, con i sacchi a pelo, un gruppo di 25 attori-danzatori in arrivo da Bali. Nella casa dell’Odin succede la stessa cosa a tanti altri ambienti che diventano “stanze aperte” a più funzioni.”- In conclusione — mi viene di chiedere a Francesco — per te, che sei un architetto, come si può definire la Casa dell’Odin?” - “L’habitat dell’Odin Teatret —risponde lui — è un luogo austero, decisamente scandinavo, a suo modo accogliente e funzionale. In esso ritrovo una radice comune che ha a che fare con l’anima”.

Dopo queste parole mi piace concludere questa presentazione di “Genius Loci” con quelle, altrettanto significative, di Eugenio Barba, il fondatore dell’Odin e della comunità teatrale che, con questo articolo, ho provato a raccontare. Eccole: ” La meta che ognuno di noi, vivendo e lavorando in questo luogo, ha cercato di raggiungere è stata quella di allontanarsi dalla rispettive radici. Per creare, attraverso la costruzione di un nucleo di valori ribelli verso le proprie biografie e i propri fantasmi, una nuova patria, una casa d’arte, un mondo diverso. Piccolo, ma diverso. Un mondo fatto non di terra e di bandiere ma di persone, di incontri, di rapporti, di storie e di progetti…” E di sogni che si realizzano, aggiungo io — se permettete un mio ulteriore intervento —. Questo è tutto.    

“Genius Loci — la casa dell’ Odin Teatret” edito da Odin Teatrets Forlag, si può avere, per ora, solo contattando direttamente: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - www.odinteatret.dk ; in attesa di una presentazione italiana e di una distribuzione  nelle librerie di tutto il nostro territorio nazionale.                      

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