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Viterbo STORIA La costruzione della chiesa fu portata a termine nel 1726, lo testimonia l’iscrizione sul cornicione marcapiano

Lo stendardo opera di Giovan Francesco Romanelli (1649)

Ogni tanto ci provo a far conoscere un po' meglio questa nostra sconosciuta Viterbo.
Ci provo perché non vedo molto amore da parte di tanta gente, amministratori compresi, che troppo spesso, con superficialità, ignorano il nostro bello e invidiabile patrimonio culturale.
Quante volte tu che mi leggi hai percorso con l'auto, fugacemente, distrattamente, coi pensieri in testa, Via cardinal La Fontaine e non sei mai entrato, ovviamente a piedi, nella Chiesa di san Giovanni Battista del Gonfalone, la chiesa monumento del barocco viterbese.
Se ti fosse capitato ecco la sua prestigiosa storia con tante foto che ho scattate per te per fartela vedere seduto in casa tua, magari in pantofole, perché no!

Mauro Galeotti

Chiesa di san Giovanni Battista del Gonfalone

La Chiesa di san Giovanni Battista del Gonfalone, è da considerare come l’esempio del barocco a Viterbo.
Fu costruita per volontà della Confraternita del Gonfalone che era una delle più considerevoli della Città, sia per i possessi, che per il numero di confratelli facoltosi. Era detta in origine Confraternita di san Giovanni Battista e sin dal XII secolo aveva sede presso un oratorio in Contrada Valle, poi, il 16 Marzo 1561, si aggregò alla Confraternita del Gonfalone di Roma, fondata nel 1264 da san Bonaventura da Bagnoregio (1217 - 1274).

Ne assunse quindi il nome, l’insegna e la divisa. La Confraternita del Gonfalone vestiva di sacco bianco con cappuccio e cordone dello stesso colore con una croce bianca e rossa in campo azzurro sulla spalla destra. 

Il suo fine caritatevole era quello di raccogliere le elemosine per riscattare gli schiavi cristiani caduti in mano dei Turchi, di visitare i malati e di fare la dote a due fanciulle orfane, di buoni costumi. Nel 1581 la Confraternita della Misericordia, con sede in santa Maria della Carbonara, ridotta nel numero dei confratelli, si unì a quella del Gonfalone.

L’Oratorio nella Chiesa di san Giovanni Battista in Valle, vecchio e posto in luogo troppo periferico e scomodo per i fedeli, si era reso non più rispondente alle sviluppate esigenze della Confraternita che ivi risiedeva. 

Così, il 2 Dicembre 1664, la stessa prese possesso di un orto con «casa e torracchio», tenuta a livello dal muratore Giacomo di Marco di Carrara e appartenente agli eredi di Caterina Nini di Nino, per costruire una nuova chiesa. In realtà ciò fu possibile grazie ai benefattori Paluzo Paluzi e Decio Ancaiani, come riferisce Pietro Egidi, i quali avevano speso, per l’acquisto di quell’area, duecento scudi. 

Comunque anche la Confraternita fece quello che poté e vendette un orto. In merito al torracchio o turraccio, la torre con abitazione annessa si possono notare nella Pianta di Viterbo del Ligustri (1596). Nei recenti restauri, afferma Maria Teresa Marsilia (1998) che «Durante gli scavi è stato rinvenuto l’intero piano basamentale della torre medievale che preesisteva alla chiesa».
Il 9 Giugno 1665 i lavori di costruzione del tempio furono affidati ai mastri muratori Francesco Salvi, Giuliano Crescentini e Vincenzo Strigelli, omonimo del pittore. Inoltre Francesco Maria Lomellino e Girolamo Tozzi erano i soprintendenti alla fabbrica.

Secondo Cesare Pinzi, il 21 Dicembre 1665, invece per Pietro Egidi l’anno è il 1664, il cardinale Francesco Maria Brancaccio pose la prima pietra della chiesa.
In effetti scrive Feliciano Bussi che fu gittata nelle fondamenta una cassettina di piombo con la scritta su pergamena:

«D.O.M. Sedente Alexandro VII. Summo pontifice anno Domini MDCLXV die XXI Decembris, indictione III. Eminentiss. et reverendiss. D. Franciscus miseratione Divina Tit. S. Laurentii in Lucina S. R. E. Presbyter Cardinalis Brancatius episcopus Viterbiensis et Tuscanensis, sacris ab Ecclesia institutis ritibus, solemni supplicatione, ac pompa, privatisque omnium astantium studiis, benedixit lapidem hunc primarium, propriisque manibus in fundamenta demisit ac construendum novum templum in honorem Sanctissimi praecursoris Joannis Baptistae, in quo Societas Confalonis sub auspiciis Beatissimae Virginis Mariae Christianae pietatis officia exercet. Praefectis, ac hujus operis impulsoribus D. Petro Majolino canonico, S. Alexandro Brugiotto [Brugiotti], D. Francisco Lomellino, D. Francisco Poggio, D. Hieronymo Tozzio sodalibus ejusdem Societatis».

La chiesa fu progettata dall’architetto ligure Giovanni Maria Baratta, allievo del Borromini e dovrebbe essere stata frequentata dalla Confraternita, almeno dopo il 1670. Infatti, in quell’anno, la stessa tenne l’ultima riunione nella Chiesa di san Giovanni Battista in Valle, che venne così ridotta a magazzino.

Nel 1673 Giovan Antonio Lemmi, argentiere, realizzò dei lanternoni d’argento su disegno del Romanelli, rinnovati nel 1703 da Giovanni Giardini di Forlì. Ancora un acquisto si ebbe nel 1692, si trattò di una piccola casa con orto annesso, appartenuta alla Chiesa di santa Maria Nova, che venne inglobata nella costruzione.

I confratelli iniziarono, sin dal 1692, a frequentarla ad uso di oratorio, che era diviso dalla chiesa vera e propria da un muro che fu demolito nel 1746 ad opera dei muratori Domenico Pierini e Pier Francesco Spinedi, e ottennero il permesso di esservi sepolti (1691). Nel 1694 venne richiesto al vescovo lo jus seppelliendi e di lì a poco fu necessario arredarla per il servizio della Chiesa e della Sagrestia.

La loro pietra tombale è distinta dalla croce, simbolo della Confraternita e da quattro fregi a forma di foglie agli angoli.

La costruzione della chiesa fu portata a termine nel 1726, lo testimonia l’iscrizione sul cornicione marcapiano, Archiconfr. Confalonis erexit a. MDCCXXVI; ma non era ancora completata in tutte le sue parti se, il 4 Maggio, la Confraternita dichiarava di aver ancora bisogno di denari per terminarla.

La facciata, barocca, fu approvata dai confratelli il 3 Gennaio 1725, dopo una non facile scelta, allorquando fu preferito il disegno del romano Francesco Ferruzzi, che, appunto in quell’anno, ne assunse l’incarico. L’anno seguente il prospetto, come descritto, era stato completato.
Si presenta in forma concava ed è divisa in due ordini da un armonioso mensolone, alle cui estremità sono poste due lampade dalle quali si innalzano le fiamme.

Il portale si raggiunge mediante otto gradini, concavi anch’essi, e sopra l’ingresso è lo stemma, con la banda accostata da due gigli, del vescovo di Viterbo, Adriano Sermattei (1719 - 1731). Più in alto è lo stemma di papa Benedetto XIII (1724 - 1730), proposto in grande dimensioni e affiancato da festoni.

Nella parte superiore è un finestrone tondo in cornice rettangolare suddiviso in nove parti e presenta, nel vetro di centro, la croce bicolore della Confraternita.
La sommità ripete i motivi decorativi a costoloni, già proposti in basso, e sulla mensola di chiusura si innalzano quattro torcere.

Nel 1998 la Cassa di Risparmio di Viterbo ha finanziato i restauri della facciata, che venne restaurata già nel 1836 e, ad opera dell’imprenditore Giuseppe Coccia, nel 1911.

La chiesa fu consacrata nel 1757 dal cardinale Giacomo Oddi vescovo di Viterbo dal 1750 al 1770. Con Bolla del vescovo della Città, Antonio Maria Grasselli (1899 - 1913), il 23 Settembre 1913, la chiesa è stata eretta come vice parrocchia della vicina Chiesa di santa Maria Nova.

Un documento che possiedo, a firma dei guardiani della Confraternita del Gonfalone, in data 24 Giugno 1915, costituisce la dote ad Augusta Grani in «Scudi Dodici moneta Romana pari a Lire sessantaquattro e centesimi cinquanta (£. 64,50) per esser voi estratta a sorte, ed ammessa fra le altre povere, ed oneste Zitelle, che si maritano, e dotano nella Festa della Natività del Glorioso Padre Nostro S. Gio: Battista, conforme agli ordini, e Capitoli della Nostra Ven. Compagnia; quali £. 64,50 moneta corrente liberi senza alcun vincolo di ricadenza, o altro simili promettiamo pagarveli quando vi maritarete, o monacarete previa la Fede del Parroco e dichiarazione dell’ufficiale di Stato Civile che vi avrà Sposata».

Il 27 Gennaio 1916 un decreto, a firma di Tommaso di Savoia, fece sì che la Confraternita del Gonfalone consegnasse tutto il patrimonio allo Stato, ciò fu causa della fine della Confraternita stessa. Restauri alla chiesa furono eseguiti nel 1920 - 1922.

E’ del 1922 la lapide in marmo collocata a ricordo dei confratelli caduti nella Guerra del 1915 - 1918. C’è anche il nome di Emilio Bianchi (22 Febbraio 1882 - 25 Maggio 1917) caduto a Hudi Log, decorato di medaglia d’oro al valore militare. I suoi funerali furono eseguiti solennemente il 19 Luglio 1923, allorquando il corpo fu consegnato alla Città.

Per qualche lesione alla struttura muraria, alcune travature in ferro sono state collocate nel 1932.
Nel 1935 - 1936 il muro, verso l’abside della chiesa, presentava alcune crepe e una fessura di un certo spessore, fu necessario un immediato restauro comprendendo anche parte della volta sopra l’altare.

L’ultima riunione della Congregazione dei dodici avvenne il 27 Aprile 1958, chiuse così la sua storia la Confraternita del Gonfalone di Viterbo. La chiesa, inattiva da molti anni, è aperta saltuariamente la domenica e si può visitare chiedendo il permesso al parroco della Chiesa di santa Maria Nova.

In Città sono murate sulle facciate di diverse case, le formelle della Confraternita del Gonfalone, molte delle quali sono da far risalire al 1764, quando nel Dicembre fu ordinato a Francesco Anselmi di far mettere gli stemmi su tutte le proprietà.
Le formelle sono caratterizzate dalla croce della Confraternita e dalla figura di san Giovanni Battista, per lo più sono in peperino, poche in ceramica dipinta a colori.

Dopo l’ingresso della chiesa è la grande bussola in legno di noce del XVIII secolo, collocata nel 1883 e proveniente dalla vendita di oggetti appartenuti alla Chiesa di san Francesco alla Rocca, in quel periodo chiusa al culto.

Il pavimento della chiesa fu rinnovato ad iniziare dal 15 Febbraio 1915 quando furono tolti i mattoni di terracotta, sostituendoli con mattonelle bianche e nere in granito di cemento, lo stesso fu fatto per i gradini degli altari.

Fu allora (4 Dicembre 1916) murato nell’orticello, presso la sacrestia, il coperchio della sepoltura dei fratelli che era sul pavimento. Nel 2000 il piancito è stato rifatto totalmente apponendovi di nuovo mattoni cotti lavorati a mano, che hanno ridato al tempio l’aspetto d’una volta. 
Anzi è stato anche ricollocato al suo posto il coperchio della sepoltura dei fratelli della Confraternita, che era nell’orto.

Sulla pietra è scolpita la croce uncinata del Gonfalone con agli angoli dei fiori. Un mattone, murato sul pavimento, nella parte alta del coperchio, porta incisa la data 1691.

L’altare maggiore e due colonne dividono la chiesa tra la zona riservata ai fedeli e quella dell’Oratorio dei confratelli.

Sul primo altare a destra, era il quadro raffigurante la Sacra Famiglia, opera di ignoto, risalente al secolo XVI e due statue barocche processionali della Passione. Il quadro è [nel 2002] in restauro e al suo posto è stata collocata una statua della Madonna.

Segue il secondo altare in stucco e pietra, opera dell’architetto viterbese Domenico Antonio Lucchi (1753 - 1791), che vide esaminare i propri disegni nel 1782, risultando vincitore su Giuliano Tortolini, il quale curò la costruzione dell’altare, mentre Giuseppe Casella quella degli stucchi.
La tela raffigura san Bonaventura che scrive ispirato dallo Spirito santo, attribuita a Sebastiano Carelli di Montefiascone, da far risalire agli anni 1771 - 1772 secondo alcuni, per Noris Angeli al 1782.

Sopra all’altare maggiore è una lunetta con affresco raffigurante san Giovanni Battista alla presenza di Erode, opera (1756) del viterbese Anton Angelo Falaschi, che si rifiutò di farla dipingere al concittadino Domenico Corvi (1721 - 1803), il quale eseguì, per l’occasione, un bozzetto a tempera su carta, ora conservato nel Museo del Colle del Duomo.

In quest’ultimo è anche il bozzetto del san Giovanni avanti ad Erode, del Falaschi.
Nel 1702 il «pittore di questa città» Antonio Palma è incaricato di ornare la Cappella Maggiore. Sopra l’arco che sovrasta la lunetta, è dipinto lo stemma del cardinale Oddi.

L’altare maggiore e il ciborio furono eseguiti nel 1747 su disegno dell’architetto romano Niccolò Salvi, progettista della Fontana di Trevi in Roma. Fu incaricato dell’esecuzione lo scalpellino Pier Francesco Giorgioli che, per scarsezza di fondi, fu costretto a sostituire alcune parti in marmo, previste nel progetto, con il ben più economico peperino.

Nel 1839 fu rinnovato conservando la mensa, il paliotto ed il ciborio, il disegno fu eseguito dall’architetto viterbese Vincenzo Federici. Nel 2000 l’altare è stato riportato come lo aveva progettato il Salvi, ossia è stato demolito il fronte che fiancheggiava il ciborio, consentendo così una maggiore visione dello stendardo del Romanelli nel coro. 
Il paliotto è in marmo venato giallo con una fascia a cornice in marmo rosso e verde, mostra al centro, il simbolo della Confraternita del Gonfalone.

Il ciborio caratterizzato da colonnine marmoree termina a cuspide da cui si innalza la croce.
La consulenza per i colori fu affidata a Domenico Costa (1786 - 1856) già autore di un nuovo stendardo nel 1829, come riferisco appresso, e di una Macchina di santa Rosa.
Il 18 Febbraio 1736 Giuseppe Rapaccioli decorò l’Altare dell’Annunziata.

Nel 1836 vennero decorate la Cappella del Crocifisso e la Cappella della Madonna con il rinnovo anche degli altari lignei. Furono restaurate anche la Cappella dell’Annunziata e la Cappella di san Bonaventura.

Il cornicione, con le due colonne laterali, ed i due grandi pilastri furono dipinti, nel 1772, dal viterbese Pietro Orlandi. Mentre le due figure monocrome in due finte nicchie, che sono ai lati dell’altare maggiore, sopra alla porta della sacrestia e sopra alla porta del campanile, furono dipinte nel 1772 da Sebastiano Carelli di Montefiascone; rappresentano, a destra, la Scienza e, a sinistra, la Religione.

Nel 1843 fu sopraelevata la sacrestia per ricavarne un’ampia stanza, illuminata da una finestra, ove si tenevano le riunioni della Confraternita, l’accoglienza per i celebranti nelle festività e la conservazione dei documenti d’archivio.

Nell’Oratorio, dietro all’altare maggiore, si poteva ammirare, appeso ad un tirante, lo Stendardo della Confraternita del Gonfalone, che è stato terminato di restaurare nel 1998.
Proveniente dalla antica residenza di san Giovanni in Valle è dipinto su entrambe le facciate e raffigura il Battesimo di Cristo e la Madonna della Misericordia con san Bonaventura, opera eseguita nel 1649 dal viterbese Giovan Francesco Romanelli (1610 c. - 1662), il pittore del Re Sole.

Sembra, che il valente pittore, per realizzare questo lavoro, si sia servito del cartone già usato per la esecuzione degli arazzi di Palazzo Barberini, raffiguranti momenti di vita del Cristo (1643 - 1646). Lo stendardo è stato restaurato nel 1824 dal pittore viterbese Angelo Papini e nel 2001 dal Laboratorio di restauro per la Provincia di Viterbo.

Copia dello stendardo fu eseguita dal pittore viterbese Francesco Ciaci nel 1664, che risulta la prima in ordine di tempo, poi ne fu commissionata un’altra al pittore romano Pietro Paolo Panci nel 1770, il quale fu incaricato in sostituzione del viterbese Michelangelo Benedetti. 

Nel 1829, durante la processione del Corpus Domini, fu portata per le vie della città la copia dello stendardo eseguita nello stesso anno dall’artista Domenico Costa, viterbese.
E’ curiosa la riproduzione in pittura di una sassata che infrange i vetri sulla finta finestra, la prima a destra.

Sul fondo dell’Oratorio è, appesa alla parete, la copia dello stendardo di Romanelli che fu eseguita, nel 1901, dal concittadino Enrico Canevari (1861 - 1947), preferito a Pietro Vanni, il quale chiedeva un maggior compenso; è questo l’ultimo stendardo della Confraternita. Nel 1895 Canevari aveva decorato anche le pareti rimaste prive di pittura.

Alla sinistra dello stendardo è un’epigrafe in marmo sagomato, con borchie in ottone e con lo stemma della Confraternita a colori, che riferisce:

Ai fratelli / ai figli di fratelli / caduti per la Patria / negli anni di guerra / MCMXV MCMXVIII / F.llo Emilio Bianchi / decorato con medaglia d’oro / Giuseppe Grazini / Celestino Tamantini / Giovanni Ranocchiari / Egisto Monarchi / Romolo Merlani / Luigi Mecarini / Antonio Mecarini / Francesco e Domenico Duri del F.llo Raimondo / Aurelio Masini del F.llo Paolo / Pietro Bruni del F.llo Francesco / Ugo Lupi Aldo Lupi} del F.llo Enrico / gloria perenne e pace in Cristo / i confratelli i genitori / p.p.

Il Coro in legno è stato eseguito dal falegname - ebanista viterbese Carlo Antonio Morini, nel 1833 - 1834, il quale aveva la bottega in Via del Melangolo e fu autore di una cronaca locale manoscritta che intitolò Straccifojo.

Rimasto vedovo, il 29 Marzo 1856 sposò Camilla Rempicci di anni 57, nubile. La prima moglie si chiamava Maddalena Antinori, morta a settantacinque anni di età, il 28 Ottobre 1855.

A sinistra è la Tribuna del coro con lo stemma coronato in oro della Confraternita sull’alto dell’alzata, la croce col braccio verticale di rosso, quello orizzontale di bianco su fondo azzurro, e un calice con l’ostia sul fronte della balaustra.

Nel soffitto dell’Oratorio è affrescata la Natività di san Giovanni Battista, opera del romano Giuseppe Rosi eseguita verso il 1747, dopo aver terminato l’altare maggiore, quando era vescovo della città Alessandro Abati (1731 - 1748) del quale si vede lo stemma. Il pittore eseguì in monocromia le vele, i riquadri angolari del soffitto, i lati delle lunette raffigurandovi angeli e figure simboliche sulle nubi e puttini volteggianti.

Nella lunetta verso l’altare è la Predicazione di san Giovanni Battista nel deserto, opera anche questa del Rosi, eseguita nel 1747.

Di Giuseppe Rosi sono pure le Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, realizzate in chiaroscuro assieme a vari angeli. Inoltre, in collaborazione con Pietro Piazza, dipinse, sulle due pareti laterali, sei riquadri monocromi raffiguranti i seguenti momenti della vita del Santo titolare, da sinistra:

Visione profetica dell’angelo a Zaccaria / Vita nel deserto del giovinetto Giovanni / Dio ordina a san Giovanni di iniziare la missione di battezzatore / San Giovanni rimprovera pubblicamente Erode per il suo incestuoso matrimonio con Erodiade / Ecce Agnus Dei / La prigione e decapitazione del santo.

Il pittore Giovan Battista Piazza eseguì nel 1747 tutti gli ornati e le figure prospettiche; allo stesso artista è attribuita la raffigurazione dell’Onni-potente, sulla lunetta dell’abside.

Segue l’altare, opera di Domenico Antonio Lucchi (1753 - 1791), con alla parete la tela raffigurante l’Annunciazione, attribuita a Sebastiano Carelli di Montefiascone, da far risalire, secondo alcuni, agli anni 1771 - 1772, mentre per Noris Angeli è del 1783. E’ poi l’ultimo altare con un Crocifisso in legno, dipinto in nero ed oro.

Sopra alla porta d’accesso alla chiesa, nella cantoria, è l’organo eseguito e montato nel 1772 da Nicola Raimondi da Todi, infatti, vi è la scritta:

Nicolaus Raimundi de Tuderto fecit anno Domini 1772.

Si presenta a cassa indipendente con facciata a cuspide centrale.

Il vecchio organo fu venduto nel 1770 al canonico Giovan Battista Garofolini il quale, ancora nel 1773, non aveva terminato di pagarlo alla Confraternita del Gonfalone. Sopra all’organo, nella controfacciata, è una grande lunetta raffigurante il Carcere e la decollazione di san Giovanni Battista, lavoro in affresco del viterbese Domenico Corvi (1721 - 1803), eseguito tra la fine del 1756 e il primo trimestre successivo. A lui si deve la realizzazione dei medaglioni sorretti da due angeli con raffigurati i profeti Abdia, sulla parete di sinistra, e Isaia su quella di destra.

Della decollazione esiste un suo bozzetto, a tempera su carta, conservato nel Museo del Colle del Duomo. Sopra la lunetta è il rosone con in alto lo stemma della Confraternita.

Il 18 Febbraio 1756 si presero in esame i bozzetti per la decorazione delle parti da pitturare della chiesa e fu scelto quello di Strigelli, il quale, oltre a dipingere la parete terminale della volta, fu anche il direttore dei lavori.

Nel soffitto a volta, sorretto nei quattro angoli da altrettanti simboli della forza, eseguiti in chiaroscuro dal Corvi, è affrescata la Gloria nell’Empireo, opera del viterbese Vincenzo Strigelli eseguita nel 1756; vi sono raffigurati angeli e beati sorretti dalle nuvole che mirano verso la luce celeste.

I prospetti architettonici e gli ornamenti furono eseguiti dal viterbese Giuseppe Marzetti.

Sul primo altare di destra era un olio su tela raffigurante la Madonna con il Bambino, san Giovanni, san Gioacchino ed Anna, opera di Matteo da Lecce eseguita verso il 1580 - 1582, ora al Museo del Colle.

Il pittore Carlo Tacchini, l’8 Aprile 1739, eseguì un fregio attorno e sotto il cornicione della residenza. In seguito, il 17 Dicembre 1741, il falegname Tommaso Gagni costruì un grande armadio per la conservazione degli argenti, i damaschi e gli altri oggetti di valore. Per il trasferimento e la adeguata collocazione delle suppellettili fu interpellato il celebre architetto romano Niccolò Salvi.

Fuori dalla chiesa, sul fianco destro, è Via del Gonfalone dove si innalza il campanile a torre, a pianta quadrata, con due campane delle quali la più grande fu eseguita da Luigi Belli nel 1823, infatti fu rifusa in quell’anno una più vecchia che sin dal 1821 era inservibile, vi è scritto:

D.O.M. deiparae Virgini atque patrono nostro Joanni Baptista dicatum / anno MDCCCXXIII.

Nel 1941 le campane erano tre.

Nel 2000 - 2001 è in restauro il campanile perché pericolante; è stato anche eseguito l’impianto di riscaldamento della chiesa.

Oggi la chiesa è custodita dagli Araldi di Maria della Arciconfraternita del Gonfalone Madonna del Carmelo, la chiesa è tornata a rivivere grazie alla loro disponibilità, tenendola aperta al pubblico con quello spirito che anima chi ama la Madonna e dona a Lei il proprio cuore "rosso" e sangue "blu", i colori della Confraternita.

Mauro Galeotti
Dal volume "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

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