Viterbo STORIA Grispigni si preoccupava della produzione di alimenti per la popolazione
di Emanuela Dei

 

Luigi Grispigni, capo dei liberali viterbesi, fu il primo sindaco di una Viterbo libera dal fascismo, dal 16 Giugno 1944 al 13 Aprile 1946.

In un'intervista rilasciata al settimanale “Il Bulicame” che aveva direttori responsabili Buzzi e Buffetti, l'avvocato affermava che il partito liberale non era un partito di massa, anzi era composto da individualismi che erano contrari alle norme che regolavano le associazioni politiche.

I liberali erano convinti che la civiltà tendesse all'uguaglianza e che dopo il raggiungimento della libertà di coscienza e di quella politica si dovesse marciare verso l'uguaglianza economica. Il partito non era la manifestazione delle classi borghesi, ma della collettività intesa come armonica fusione di tutte le categorie sociali.

L'economia era basata sull'individuo e la proprietà aveva un'importante funzione sociale. Grispigni si preoccupava della produzione di alimenti per la popolazione. Ad esempio, lo spezzettamento del latifondo poteva risultare antieconomico e poteva portare a una diminuzione di derrate alimentari. Provvedimenti affrettati potevano danneggiare i cittadini.

Il libero sviluppo delle forze economiche, accompagnato dal fiorire dell'iniziativa privata furono, secondo il neo sindaco, i fattori della rinascita dell'Italia dopo la prima guerra mondiale. Secondo lui si dovevano abbandonare le coltivazioni antieconomiche, come quella del grano, per derrate agricole più pregiate.

La prima preoccupazione per i liberali fu quella di far sì che il passaggio di regime avvenisse senza violenze. Il Comitato di Liberazione, misto al buon senso della popolazione, aiutò il sindaco a mantenere l'ordine in una città spopolata e semidistrutta. La gente ritornò alle proprie case ricostruendole, proprio perché il sindaco proclamò un termine per il ritorno degli sfollati sotto la minaccia della perdita dell'abitazione. Viterbo dopo pochi anni si trovò in condizioni molto migliori delle altre provincie colpite dalla guerra.

Dopo il ventennio fascista, l'avvocato trovò l'amministrazione comunale in un grave deficit dovuto alle malversazioni e alla megalomania della precedente gestione fascista: troppi telefoni, troppe dattilografe e poco rispetto per il denaro pubblico. Prima della guerra 1915-18, il sindaco e la giunta avevano un'indennità di 500 lire all'anno, per spese di rappresentanza. Tale somma veniva usata prevalentemente per migliorare l'arredamento degli uffici. Con l'indennità fu comperata la scrivania del sindaco su cui fu messa la targa “propriis sumptibus”, cioè “a proprie spese”. Grispigni ripristinò le antiche usanze economizzando fino all'ultimo centesimo sul denaro del popolo.

Il primo cittadino era convinto che l'Italia sarebbe risorta e ognuno avrebbe ritrovato il proprio equilibrio morale.“ Io credo nel popolo italiano perché è economo e lavoratore. I viterbesi continuino a lavorare sodo come hanno fatto finora. Secondo me, non si dirà mai abbastanza bene dei viterbesi, gente che si occupa poco di politica ma lavora e produce molto”.

Emanuela Dei

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