Montefiascone STORIA “Eccoci qua, ‘na fregna così non m’era mai capitata”
da La Loggetta marzo-aprile 2004
di Giancarlo Breccola

 

Il boia Mastro Titta mostra la testa di una delle sue vittime (disegno di Rodella, inizi XIX sec.)

Nell’articolo “Don Giacomo”, pubblicato sulla Loggetta di novembre 2003, viene attribuito a quel sacerdote un episodio che a Montefiascone, per diffusa tradizione orale, si riferisce invece a certo don Sante del Zampa, nato ad Acquapendente il 13 marzo 1883 e morto a Montefiascone il 3 dicembre 1960.

Nel paese don Sante viene ancora ricordato con grande simpatia da chi lo ha conosciuto, tanto da divenire, nell’immaginario collettivo locale, eroe popolare, prete che, condividendo le debolezze e le sventure della gente comune, al loro fianco affrontava le intransigenti istituzioni ecclesiastiche.

Tra i tanti aneddoti che gli si attribuiscono vi è anche quello del bambino “cattivo”.

Zelindo Gianlorenzo, in un suo articolo intitolato “Sinite parvulos venire ad me secondo don Sante”, così lo riporta: “Si narra come in occasione di una festa religiosa il nostro Don Sante aprisse la processione portando la Croce: dietro di lui, in doppia fila, venivano i partecipanti al corteo e ai lati della strada, la folla di cittadini; fra questi, una giovane donna tentava invano di far tacere il suo piccolo bambino tenuto per mano, il quale piangeva disperatamente come solo a quell’età si sa fare.

Giunto a quel punto, don Sante si voltò di sottecchi verso il bambino facendo gli occhiacci e, agitando la croce in su e in giù, gli mormorò: “Te fo magnà dal bao!”.

Il bambino tacque immediatamente e credo che se qualcuno avesse guardato in quel momento la Croce, forse avrebbe visto apparire l’ombra di un sorriso sul volto dolorante di Gesù”. Il fenomeno di appropriazione e di ridistribuzione campanilistica di fatti memorabili non costituisce, comunque, una novità.

Esemplare è l’aneddoto che, in diversi centri del viterbese, si attribuisce ad un condannato a morte, certo Cicoria, conosciuto a Montefiascone come Pietro Cicoria e a Bolsena come Peppe Cicoria. A Viterbo ritengono che l’esecuzione sia avvenuta in piazza della Rocca; a Montefiascone, invece, nello spiazzo antistante la vecchia stazione di Posta.

Questa è la versione viterbese raccontata da don Salvatore del Ciuco: “Quando in carcere il giorno prima della condanna, gli chiesero quale fosse il suo ultimo desiderio, anche lui, come un altro condannato viterbese, certo Camicia, chiese un bel piatto di maccheroni e se lo divorò tranquillo e contento.

Mentre lo conducevano al patibolo approntato a piazza della Rocca, vedendo tanta gente che si affrettava per non perdere lo spettacolo disse: “Non correte, prendetevela con comodo, tanto se non arrivo io la festa non comincia”. Una volta salito sul palco, noncurante delle raccomandazioni del frate che voleva ben prepararlo alla morte, dichiarò: “’Na fresca così non m’era mai successa”. Poi, accorgendosi che cominciava a piovere, rivolgendosi al boia esclamò: “Aho, sbrighete a tajamme ‘sta capoccia, se no pijamo pure l’acqua”.

Un’altra variante della storia è quella che vuole un certo Cencio Cicoria condannato alla pena capitale, il 27 gennaio 1863, per aver rubato 8 galline e un galletto a don Pio Falcioni. Il birbante, per sua disgrazia, era andato a confessare il peccato proprio allo stesso prete che, violando il segreto confessionale, lo denunciò.

Dopo 33 giorni dal misfatto fu giustiziato: “Questa è la verità sul poveretto / lasciata ai posteri in memoria / che all’ultimo fiato immortalò ‘l su’ detto / Eccoci qua! Disse Cicoria / Un affare così non m’era capitato mae / e così finiscono le mi giorne e le mi guae!”.

Verso il 1950 Andrea Zerbini di Montefiascone ed Alessandro Vismara di Viterbo discussero su un quotidiano locale la storica frase di Cicoria, senza comunque giungere a nessuna conclusione. Secondo Zerbini, Cicoria avrebbe detto: “Eccoci qua, ‘na fregna così non m’era mai capitata”. Secondo Vismara, invece: “Eccoci qua, ‘na fregna così non me capiterà più”.

In realtà, dal taccuino di Mastro Titta, al secolo Giovan Battista Bugatti, ove il boia aveva diligentemente annotato le 514 esecuzioni effettuate a Roma ed in tutto il territorio dello Stato pontificio dal 22 marzo 1796 al 17 agosto 1864 - poi aggiornato fino al 1870 dal successore - si evince che l’unico Cicoria giustiziato nell’Ottocento fu tale Cicoria Arberio (o Alberto o Arberto) di Città di Castello, condannato all’ultimo supplizio il 26 giugno 1855 per ladrocinio e omicidio; nella nota, tuttavia, non vengono precisati né il luogo né le modalità dell’esecuzione. 

Giancarlo Breccola
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