Viterbo STORIA Nel corso del libro, attraverso il collezionismo, mostrerò come tutti ricorrevano alla propaganda per raggiungere il proprio fine
Maurizio Pinna

 

Questo capitolo, esattamente il quarto del libro, mi è particolarmente caro e lo ritengo determinante per valutare ciò che è accaduto durante il Ventennio, ma che non si discosta di molto da quello che accade oggi, tanto è importante saper veicolare la comunicazione, l’informazione ma, vedremo, anche la controinformazione.

In sostanza il povero cittadino, in quanto membro della massa, è sempre l’obiettivo da colpire per mettere a segno qualunque importante progetto o manipolazione.

Per fare un esempio ravvicinato nel tempo, si pensi a cosa accade oggi riguardo la famiglia o l’immigrazione incontrollata, a quali sono i soggetti impegnati sui fronti opposti, cosa e come si vuol far passare per verità assoluta una versione dei fatti fortemente discutibile, pur di ottenere dei vantaggi per una categoria di persone particolarmente interessate.

Ma ora addentriamoci in questo capitolo che, contando all’origine venti pagine,  diluirò in più uscite per La Città dell’amico Mauro Galeotti.

Parlando con le persone che mi piace definire “i ragazzi di allora”, mi sono imbattuto in situazioni e termini che sono, sì, familiari e scontati per coloro che hanno vissuto gli anni del Ventennio, ma che potrebbero non essere altrettanto compresi nella giusta dimensione o nel significato più autentico dai più giovani.

I più grandi, tuttavia, quelli nati dopo la guerra, potrebbero accusare qualche “disorientamento” prima di iniziare a difendere le proprie convinzioni.

Senza entrare nel merito del perché questo accade, non possiamo disconoscere che certi libri scolastici, scelti per insegnare la nostra storia ai giovani, sono influenzati dal pensiero ideologico dell’autore, condiviso da chi sceglie i testi. Accadeva nel Ventennio, si ripete dal secondo dopoguerra in poi.

Questo pilotare e condizionare il pensiero della massa, nello specifico degli studenti, è propaganda, come si è sempre fatta e si continuerà a fare.

Nelle pagine che seguono, quindi, avvalendomi di validi riferimenti, proverò a riferire con obiettività, cosa fu la “propaganda” durante l’epoca fascista, ricorrendo a qualche elemento di confronto con i nostri giorni.

Nel corso del libro, attraverso il collezionismo, mostrerò come tutti ricorrevano alla propaganda per raggiungere il proprio fine.

Proseguendo, essendo la propaganda un’attività che si è avvalsa e si avvale tuttora dei vari mezzi d’informazione e diffusione, ho elaborato qualche curiosità riguardo alla radio, evidenziando che all’epoca non era, di certo, un apparecchio diffuso e alla portata di tutti come lo è oggi, ma che, nonostante ciò, ebbe una importanza politica prima della guerra, e politico-strategica durante il conflitto mondiale.

La lettura dei fatti che caratterizzarono Viterbo durante il Ventennio, prima di essere bombardata tra il 1943 ed il ’44, non può avvenire senza ricordare che la nostra città seguì le sorti di un particolare periodo storico che deve essere considerato nella sua globalità.

Soltanto così possiamo avere interesse a guardarci intorno, uscendo dai nostri confini urbani.

Il Ventennio fu un periodo così intenso di avvenimenti e situazioni assolutamente nuove per l’Italia che non si può disconoscere sia nel bene sia nel male; così come non si può non parlarne.

Ed è proprio parlandone con i viterbesi che si sono prestati a ricordare quegli anni che viene da esclamare: «Ma che strano! Eppure mi risultava che...!», e da lì la spinta a scrivere questo capitolo, affinché nulla sia dato per scontato come spesso avviene.

Sì, che strano, viene da esclamare, perché parlando con le persone vissute nel periodo fascista, si ascoltano storie che raccontano fatti e attività concrete, realizzati dal regime, mentre leggendo i libri o guardando film post bellici, con il termine “propaganda”, pronunciato spesso con tono dispregiativo, si vorrebbe cancellare ciò che è stato, nel tentativo di far apparire tutto una bolla di sapone senza sostanza e contenuti, se non di violenza e dittatura.

In effetti il vocabolario Devoto-Oli, alla voce “Propaganda”, attribuisce sostanzialmente due significati differenziati tra loro dall’intenzione di chi pronuncia questo termine: «Azione intesa a conquistare il favore o l’adesione di un pubblico sempre più vasto, mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva e sul comportamento delle masse. (…) Spesso il termine può polemicamente alludere a grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati, diffusi nel tentativo di influenzare l’opinione pubblica.»

In quel termine apparentemente innocuo, quindi, ce n’è per tutti, specialmente per i giorni nostri, ma durante il Ventennio si comprendeva un insieme di attività e apparati governativi costituiti per raggiungere il fine, affinché tra la gente si diffondesse ciò che si stava compiendo, o che si sarebbe voluto compiere, conquistando il consenso della massa indispensabile per conseguire il successo e l’obiettivo finale.

Perché influendo sulla psicologia? Semplicemente perché ogni essere umano reagisce a determinate cause esterne. Quindi se si vuole esaltare la sua partecipazione a una certa attività, si dovrà agire in un modo, se invece lo si vuole demotivare, scoraggiare, rendere passivo o succube di un altro soggetto, si dovrà agire in altro modo, come vedremo più avanti, anche attraverso il materiale illustrativo, oggi da collezione, senza alcuna pretesa strategica e scientifica.

In questo capitolo saranno offerti degli spunti riguardanti la comunicazione, affinché ciascuno sia poi libero di credere o interpretare ciò che sarà trattato più avanti, sapendo a priori che la propaganda fu, a tutti gli effetti, un duro terreno di battaglia, ed il mondo del collezionismo è pieno di materiale che possa dimostrarlo.

Un esempio di propaganda furono, senza alcun dubbio, gli slogan, i motti ed i viatici di Mussolini, distribuiti nell’arco di venti anni come una terapia per l’accrescimento dell’autostima del nostro popolo, e non solo. Ma dagli antifascisti alle forze Alleate, e nell’Italia post bellica, tutti fecero ricorso alla propaganda come meglio sapevano fare.

E così, se le frasi autoritarie sui manifesti fascisti ordinavano: «Italia proletaria e Fascista, in piedi! 18 novembre 1935 XIV», subito dopo la guerra i manifesti e le cartoline diffusi sul territorio nazionale, con altrettanto tono imperativo, scuotevano nuovamente gli italiani: «Per la ricostruzione d’Italia! L’inerzia è la fogna dei popoli. Risorgere, ricostruire, ascendere!»

Non sembrano portare la firma di uno stesso autore? Ma, chiaramente, non è così.

Maurizio Pinna

Fonte e riferimenti bibliografici: Maurizio Pinna, Viterbo dal fascismo alla guerra con uno sguardo ai giorni nostri, Viterbo, 2011

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