Viterbo STORIA DIMENTICATA

Uno dei cavalli di battaglia per i politici viterbesi, ambiziosi di salire sulle poltrone del Parlamento, del Comune, della Provincia sono state varie situazioni caratteristiche di Viterbo.

La Valle di Faul agli inizi del 1900 (Archivio Mauro Galeotti, avrai notato che non "sporco" mai le foto con scritte sopra per renderle inutilizzabili, questo perché voglio che tu scarichi la foto e te la godi "pulita", magari se la pubblichi citami, altrimenti pazienza!)

Penso alle Terme, alla Ferrovia, alla Cassia, all'Aeroporto, alla Superstrada e... sì ad essa... alla Valle di Faul, che qualcuno, anzi molti erroneamente la chiamano Valle Faul.

Una distesa di terra ambizione di tanti, di troppi chiacchieroni che hanno gettato fumo negli occhi se questo prezioso cuneo che entra insistentemente in Città, come poi lo è anche la Valle dell'Arcionello. Cuneo già gravemente ricoperto durante il Fascismo, interrando il Ponte Tremoli, il Torrente Urcionio e parte della Valle verso la Città.

Hanno tutti messo le mani sulla Valle, ma nessuno è riuscito a darle la giusta valorizzazione, il perché è facile, perché sono ignoranti. Non solo perché "ignorano", ma proprio perché della Città non gliene frega un tubo e pensano solo ai cazzetti loro.

Ci misero le mani sin da 40 anni fa, quando era sindaco Rosato Rosati (1975-1983) col Piano Quaglia, poi ecco il sindaco Francesco Pio Marcoccia (1986-1989) col Piano AloSa (1988), poi ricordo il sindaco Giuseppe Fioroni (1989-1995), che non mi piace più come un tempo, appare come l'angelo Gabriele prima di ogni elezione e poi regolarmente appena eletto scompare. Al tempo che era primo cittadino fece una bella gettata di semi per realizzare un bel prato sulla Valle, ci riuscì ma che durò poco.

Infine arriva Giulio Marini (2008-2013) col progetto Plus, in atto, ma con la trasformazione in parcheggio della Valle, certo comodo, ma fuori dei canoni storici di quell'aera cittadina. Infatti, venne destinata nei secoli a ben altre funzioni più nobili ed eccole te le racconto, se hai la pazienza di leggerle.

Mauro Galeotti

La Valle di Faul sede di giochi popolari

Nel 1243 i Viterbesi «...fecero gran steccata nella valle del Tignoso, cioè dal castello di S. Lorenzo sino alle mura della porta di Bove, in quel loco che ora si chiama a pie’ di fabule sino a S. Chimento».

La Valle del Tignoso era quindi quella che poi si chiamerà Valle di Faul e si estendeva fino al Ponte del Duomo.

Giuseppe Oddi scrive, nel 1884, sul Giornale araldico genealogico diplomatico:

«Faul è il nome di una vasta contrada, inclusa per ultima nella città dopo la metà del secolo XIII. Fu campo di fiere, giostre e corse; ed è rimasta sempre campestre e disabitata. In qualche antico documento è menzionata fabule. Che fosse un tempo un campo coltivato a fave? od abbia appartenuto a qualche cospicuo cittadino per nome Faulo; il qual nome s’incontra nei documenti nostri?».

 

La Colonna di ser Monaldo nel XV secolo è dove si piantava il palio del vincitore dei giochi viterbesi

In origine, la colonna si trovava sul piazzale ad ovest della Chiesa di santa Croce ubicata nella Valle di Faul, poi fu portata presso il Mattatoio in Via Faul ed in seguito collocata nella attuale dimora in Piazza dei Caduti.

La colonna in peperino è sormontata da un rozzo capitello ottagonale ove è scritto, in caratteri gotici, † Memoriale d.ni Monaldi, senza riportare alcun anno, ma è da far risalire al secolo XV. Secondo la tradizione ivi venivano legati i falliti ed i bari, esponendoli alla vergogna pubblica, legandoli ai ferri fissati ai due fori che in essa si notano.

Incertezza si ha sul Monaldo a cui è dedicata la colonna, alcuni affermano l’ipotesi di certo Monaldo dei Monaldeschi, il quale, con Palamone, Palino e Valentino Tignosi per odio di fazione, uccise Guglielmo Gatti capo a lui avverso, sepolto nella cappella di famiglia nella Basilica di san Francesco.

La cosa recò fastidio al rettore del Patrimonio Paolo di Santa Fede, partigiano dei Gatti, che fece catturare Monaldo Monaldeschi e Valentino Tignosini e la notte del 23 Dicembre 1456 li fece impiccare.

Quindi pare che chi eresse quella colonna, abbia voluto dire, a minaccia di tutti i faziosi della città:

«Ricordatevi della triste fine di Messer Monaldo!».

Padre Pio Semeria, dopo aver trascritto, alla meno peggio, le parole scolpite sul capitello della colonna, scrive (1825 c.):

«questa iscrizione si vede sulla colonna ottagona, che sta a Faulle. Ma non si sa, da quale lettera essa debba incominciare. Secondo una tradizione questa colonna fu eretta in infamia di Monaldo Monaldeschi, uno dei quelli, che assassinarono Princivalle Gatti.

Forse incomincia così Me/mo/ri.i/ ia/D.ni/Mo/nal/di e si potrebbe interpretare, in memoriam iustae infamiae Domini Monaldi».

Se queste però sono supposizioni è certo che nella seconda metà del secolo XV si piantava in Columna fabulis il palio che spettava al vincitore delle corse di cavalli viterbesi, di asini, di persone, di cavalle viterbesi e forestiere che si disputavano negli ultimi tre giorni di Carnevale.

 

Palii sulla Valle di Faul

Le corse iniziavano da Porta Faul e per traguardo avevano la predetta colonna.

Sin dal 30 Aprile 1475, furono decisi gli spettacoli da tenersi ogni anno per determinate feste. Quattro in tutto. Per la Festa di san Michele arcangelo, l’8 Maggio, in memoria della liberazione della città da Francesco di Vico (1387), era prevista una corsa di cavalli barberi che dall’Arengo della Croce, fuori Porta di santa Lucia, raggiungeva Piazza del Comune. (Lo stesso si fece per la Festa di santa Rosa che durò fino a pochi anni dopo il 1850). Era prevista anche una corsa di asini, di uomini e il tiro con le frecce. 

Chi vinceva la corsa aveva in premio un palio, chi vinceva invece la gara delle frecce riceveva un arco e il secondo arrivato portava a casa tutte le frecce utilizzate durante il gioco. Una balestra di acciaio era il premio di chi risultava vincitore della Giostra del Saracino tenuta in Piazza del Comune.

Per la Festa di san Lorenzo, il 10 Agosto, si svolgeva una sola corsa di cavalli dall’Arengo della Croce alla Cattedrale. Lo stesso il 15 Agosto, per la Festa di mezz’Agosto, ossia Festa di santa Maria dell’Assunta, però fino a Piazza del Gesù, in più, in quell’occasione, si teneva la giostra del toro feroce nella Valle di Faul.

Infine, negli ultimi tre giorni delle Feste di Carnevale ancora corse di cavalli viterbesi e di cavalle viterbesi col fantino, di asini col ciucaio, corsa dei pedoni tutti da Porta Faul alla Colonna Monaldesca, una balestra e un elmo erano il premio per la Quintana e venti soldi al vincitore della Corsa all’anello. Tutte le manifestazioni si tenevano a Faul.

«Allora in Faul», leggo dalla Gazzetta di Viterbo del 23 Giugno 1877, «non esisteva la vigna, che vi è stata piantata sul principio di questo secolo: era tutto campo. Nel carnevale si facevano più corse di cavalli, cavalle, asini ed uomini, il tiro alle freccie, ed il gioco dell’anello: la corsa dei cavalli, che in questa circostanza dovevano esser viterbesi, si faceva in Faul, e il pallio, che davasi in premio, veniva piantato sulla colonna [di ser Monaldo], che tuttora esiste presso l’antico cimitero dell’ospedale [presso la Chiesa di santa Croce a Faul]. Nelle altre circostanze i pallii si esponevano fuori delle finestre del palazzo comunale, come si è costumato fino ai nostri giorni per le corse di S. Rosa».

Voglio ricordare che l’11 Marzo 1481 fu riferito in Consiglio generale, dal priore Mariano Muzelli, che certi ragazzi viterbesi avevano espresso il desiderio, per maggiore letizia e gioco, di far partecipare alla manifestazione solo i Viterbesi. 

La proposta fu accolta e si stabilì di dividere il premio fra giostratori e corridori.

Queste sono le norme stabilite nelle Riforme in data 12 Giugno 1481 per il torneo cavalleresco da tenersi a Porta Faul con cavalli e cavalieri.

«In prima che non se possa currere più de XII volte per coppia.

Item che chi guasta il cavallo de concurrente sia tenuto alla emenda.

Item che chi dà dalla corregia [cinta] in giù non se intenda esser botta.

Item chi dà dalla corregia in su dinsino alla gola exclusive se intenda una botta.

Item che chi dà nella baviera [gorgiera] se intenda doi botte.

Item chi dà nella testa, se intenda tre botte.

Item che chi caccia di giostra uno cioè buttandolo per terra, se intenda cinque botte et guadagni le sue botte.

Item che si possano tramutare spallacci: baviera: braciali et guanti.

Item che le lancie siano giustate di longhezza.

Item che si possano cambiare cavalli.

Item non possa alcuno essere agiutato: et che essendo agiutato quando caschi o chini, che se intenda esser for di giostra, cioe havendo reciputa botta.

Item che a nisciuno sia licito cavarsi elmetto o coraza infine che non sian curse sue botte.

Item che chi caccia un di giostra senza buttarlo in terra, guadagni tre botte.

Item che chi per caschar morisse, non sia tenuto il compagno a pena».

Ma una sorpresa colse i priori dopo l’avvenuta giostra, infatti, il vescovo li scomunicò perché avevano usato, quale palco della giuria, un pulpito utilizzato dal Vescovato per le cerimonie religiose.

La revoca fu ottenuta grazie ad una commissione di quattro cittadini tra cui due dottori.

Riferisce Umberto Congedo nel suo studio sui costumi viterbesi edito nel 1917:

«Ancora oggi i vecchi a Viterbo ricordano di essere stati in loro gioventù spettatori di consimili gare, e specialmente della caccia al bufalo in piazza del comune [e fuori Porta Fiorentina], e tutti gli anni si accorre in folla nel settembre al villaggio della Quercia ad assistere alla corsa degli uomini insaccati [corsa col sacco] e delle donne recanti in capo le brocche piene d’acqua e dei cavalli spinti al galoppo alla conquista del serico palio bianco od azzurro».

Nel secolo XVII il Carnevale a Viterbo fu animato da palii con cavalli, cavalli trottaroli, asini, corse all’anello, giostre del Saracino, corse di fanti a piedi e commedie.

Lo Statuto di Viterbo del 1649 riferisce:

«Inoltre che nelle corse di palii in altre occasioni fuori delle fiere si osservino i medesimi capitoli, con l’istesse pene, e nella corsa de i ronzini di Carnevale corrono i cavalli che non hanno mai vinto palio alcuno».

 

Durante le feste di Santa Rosa nel ‘700

La mattina seguente al trasporto della Macchina di santa Rosa, ossia il 4 Settembre, durante la messa, i conservatori indossavano i rubboni d’oro, il giorno seguente «nelle ore più calde, si fa correre ali asini il primo palio, il quale suol’essere di stoffa; correndosi poi nelle ore più fresche altri due palj di velluto, cioè uno dai barberi, e l’altro dei ronzini, venendo perciò bravissimi cavalli da diverse parti, e particolarmente anche da Roma», la giornata terminava con il canto dei vesperi e lo sparo dei fuochi artificiali «circa le due della notte» in Piazza della Rocca.

«Il giorno appresso, e propriamente la mattina (ma questo non sempre) vi è il gioco della lotta, oppure della scherma, facendosi per ordinario tali giochi nel cortile del Palaggio del Pubblico con un premio proporzionale al vincitore; et il dopo pranzo (oppure anche alle volte nella stessa mattina) corresi il quarto palio parimente di velluto da ogni sorta di cavalli, ond’è che un tal palio dicesi della Truppa.

Nell’altro giorno poi, ch’è appunto l’ultimo della festa, nella Piazza del Comune, ridotta in un gran Teatro chiuso per ogni parte, si lasciano a suon di trombe due bufale sciolte, e senza cani, contra le quali si avventano moltissimi animosi giovani con grossi bastoni in mano, ansiosi (se loro piace) di ammazzarle a colpi di bastonate, benché per altro sovente succeda, che taluno di essi resti da tali bestie non solo storpiato, ma anche occiso.

Per tale descritta festa si deputa ogn’anno dal Pubblico un Nobile della città, a cui per le spese vengono somministrati circa dugento scudi, i quali perché senza dubbio non posson bastare, il detto Nobile al di più supplisce di proprio.

Anticamente però nulla dalla Città si contribuiva a’ tali Deputati, ma bensì ciascuno dovea fare la festa a tutte sue spese, nella quale poiché solea procedersi con qualche sorta di gara, e si spendeano molte migliaja di scudi, quindi è che alcune cose ne restavano non poco risentite. In alcuni anni, secondo il genio de’ Deputati, oltre le predette carriere, suole farsi anche la Giostra, e questa parimente con premio a quello, che vince».

 

La giostra del Saracino nei secoli XVII e XVIII

Nella Biblioteca degli Ardenti sono conservati alcuni bandi che mi piace riportare, perché non comuni e anche perché, non effettuandosi più tale giostra, non se ne perda almeno la memoria.

«Per la Corsa del Saracino.

Volendo li molto Illustrissimi Signori Conservatori del Popolo dell’Illustrissima Città di Viterbo tra gli altri trattenimenti di Carnevale ordinano la Corsa del Saracino con le solite lance e concedere gli infrascritti premi alli vincitori per il presente pubblico bando si fa intendendosi a tutti quelli, che vogliono esporsi à simile impresa, che saranno ammessi con l’osservatione delli sottoscritti capitoli, e non altrimente.

Primo. Che tutti quelli che vorranno venire alla medesima corsa del Saracino debbano comparire il giorno destinato bene à cavallo, e pomposamente addobbati conforme all’uso Cavalleresco, nella divisa, che meglio à loro parerà; e gli abiti loro doveranno essere nuovi e non tolti in presto da altri; et essendo altrimente s’intenderanno esclusi come inhabili à detta impresa del che si starà al giudicio, e dichiaratione delli medesimi Signori Conservatori insieme con li Signori Giudici, che a questo effetto si deputaranno.

2 item che non si possa per modo alcuno eseguire et effettuare la medesima Corsa se li Cavalieri non saranno fino al numero di otto, e non meno, dando però Campo à gli altri se più ne vorranno comparire, come sopra addobbati, e non altrimente.

3 item per dare occasione à tutti di comparire superbamente a detta Corsa per maggior vaghezza, e gusto del popolo, si darà per premio al Masgalano, cioè à quello che meglio e più pomposamente comparirà con la sua persona e cavallo secondo il giudicio, e dichiaratione delli detti Signori Conservatori, assieme con li Signori Giudici, un palio di seta con una paro di calzette similmente di seta, che sono in mostra nelle fenestre del Palazzo delli detti nostri Illustrissimi Signori Conservatori.

4 item che ogni cavaliere debba comparire con tre lance, e quelle correre in tre volte conforme al solito per dare nel segno destinato dalli medesimi Signori Giudici con l’osservanza delle conditioni, che da loro saranno ordinate.

5 item chi farà miglior colpo nel detto segno destinato conforme al giudicio e dichiaratione delli stessi Signori Giudici guadagnerà per premio un’altro palio di seta posto in mostra nelle medesime fenestre del palazzo delli Signori Conservatori.

Dichiarando che quando non si osservino tutte le conditioni predette gli stessi Signori Conservatori intendono di riservarsi, come si riservano la facoltà di applicare li detti premij dove et à chi à le Signorie loro parerà, e non altrimente e così si notifica. In fede di Palazzo 27 Gennaio 1622».

Ecco l’altro bando, di dieci anni dopo, con qualche variante.

«Corsa del Saracino.

Dovendosi esporre un Palio per la corsa del Saracino, chi vorrà esporsi alla medesima corsa doverà essere ammesso da’ Signori Giudici à questo effetto deputa con l’osservanza de’ gli infrascritti capitoli d’ordine de gli Illustrissimi Signori Conservatori.

Primo. Che tutti quelli i quali vorranno venire alla medesima corsa del Saracino doveranno comparire bene à cavallo, e pomposamente addobbati conforme all’uso Cavalleresco nella divisa che a loro parerà, senza che portino i vestimenti soliti portati da loro per la città altrimente s’intenderanno esclusi.

Item che debbano tutti comparire avanti à i Signori Giudici per esser ammessi e dichiararsi con far scrivere i nomi loro.

Item che non possa effettuarsi la medesima corsa se i Cavalieri non saranno almeno otto dando con tutto ciò campo à gli altri di comparire e correre con le dette conditioni e non altrimenti.

Item che ogni Cavaliere debba comparire con il suo padrino e con tre lance, e quelle correre tre volte conforme al solito per dar nel segno destinato dalli medesimi signori Giudici, con l’osservanza de i colpi, et altre conditioni ordinate da loro.

Item chi farà miglior colpo secondo le conditioni predette guadagnerà il palio destinato conforme al solito.

Dichiarando che quando non si osservino tutte le conditioni sopradette gli stessi Signori Conservatori intendono di riservarsi, come si riservano la facoltà di applicare il palio dove et à chi parerà alle Signorie loro, e non altrimente. E così si notifica. Di Palazzo 24 Febbraio 1632».

Un altro bando, successivo di quattro anni, ancora con qualche piccola variante.

«Corsa del Saracino.

Volendo gli Illustrissimi Conser-vatori del Popolo dell’Illustrissima Città di Viterbo tra gli altri trattenimenti di carnevale ordinare la Corsa del Saracino con le solite lance e concedono l’infrascritto premio alli vincitori per il presente pubblico bando si fa intendere a tutti quelli che vogliono esporsi a simile impresa che saranno ammessi con l’osservatione delli sottoscritti capitoli e non altrimente.

Primo. Che tutti quelli che vorranno venire alla medesima Corsa del Saracino debbano comparire il giorno destinato bene a Cavallo e pomposamente addobbati conforme all’uso Cavalleresco nella divisa, che meglio a loro parerà et essendo altrimenti si intenderanno esclusi come inhabili a detta impresa, del che si starà al giudicio e dichiaratione delli medesimi Signori Conservatori insieme con li Signori Giudici, che a quest’effetto si deputaranno.

2 item che non si possa per modo alcuno eseguire, et effettuare la medesima Corsa se li Cavalieri non saranno fino al numero di otto e non meno, dando però campo a gli altri se più ne vorranno comparire, come sopra addobbati, e non altrimenti.

3 item che ogni cavaliere debba comparire con tre lance e quelle correre in tre volte conforme al solito per dare al segno destinato dalli medesimi Signori Giudici con l’osservanza delle conditioni che da loro saranno ordinate.

4 item chi farà miglior colpo nel detto segno destinato, conforme al giudizio, e dichiaratione delli stessi Signori Giudici guadagnerà per premio il palio, che s’esporrà.

Dichiarando che quando non si osservino tutte le conditioni predette gli stessi Signori Conservatori intendono di riservarsi, come si riservano la facoltà d’applicare li detti premi dove et a chi le Signorie loro parerà e non altrimenti, e così si notifica. Dal Palazzo 26 Gennaio 1636».

Con un salto di poco più di cento anni, ecco ancora una Corsa del Saracino. Era il 1740 ed i Mercanti di Viterbo organizzarono una Giostra del Saracino e dettero alle stampe, per i torchi dell’Erede di Giulio de’ Giulj, il manifesto che appresso riporto e che ho trovato fortunosamente, essendo stato utilizzato come rinforzo di un vecchio libro.

«Per la publica Giostra del Saracino / Fatta in Viterbo dalli Signori Mercanti di detta Città in occasione della Festa di / Sant’Antonio da Padova / Nell’Anno 1740. / [Poi in due colonne è, a sinistra]

I cavalieri seguaci della Gloria, alli Cavalieri seguaci della Virtù in divisa Gialla: La Gloria nostra, che anima del nostro valore sopra i Campi di Marte ci dichiarò mai sempre suoi famigliari, e Compagni ci porta a rintuzzarvi l’orgoglio sù queste amenissime arene, dove annida sotto le Falde del Cimino, preggiandovi seguaci della Virtù, ne pretendete, o Cavalieri usurparvi qualche grado di gloria, che a Noi soli intieramente compete.

Disponetevi dunque se vantate coraggio, con trè colpi di Lancia a sostenere l’impegno, o a cadere colla Vittoria l’onore con appendere alla nostra Gloria, il trionfo della vostra presunzione abbattuta.

[A destra] I Cavalieri seguaci della Virtù, alli Cavalieri seguaci della Gloria in divisa Turchina: / La Virtù nostra non poteva incontrarsi in occasione megliore della vostra Disfida, per far conoscere, che ne siamo costantissimi difensori. Onde è una fortuna di nostro genio l’aver campo di farlo confessare anche a Voi, che pretendete usurparvi il nome di Cavalieri della Gloria senza prima esperimentarvi in cimenti di coragiosa Virtù. Attendete dunque a mantener colla destra, quanto ambiziosamente ostentate, o che avrete vergognosamente à tornarvene col rimorso di haver contrastato il Trionfo sempre dovuto al nostro virtuoso valore, senza il quale non può giamai divenirsi veramente, tra l’imprese più perigliose, sublime, e glorioso.

[Poi su tutta una riga che occupa la larghezza delle colonne] Timaspe il Valoroso Il Sig. Sante Mosci Maestro di Campo dell’uno, e dell’altro Drappello.

[Si torna alle due colonne, a sinistra è] Condottiero, e Padrino de’ Cavalieri seguaci della Gloria Ormondo di Tracia il Sig. Settimio Tizioni / Cavalieri seguaci della Gloria / Alidoro di Tebe, Il Sig. Gio. Battista Polidori / Fidalmo di Sparta, Il Sig. Lorenzo Polidori / Alcibiade di Scio, Il Sig. Giuseppe Ticchiarelli [Poi la poesia] Discesi in Campo armati / col suo valor per guida / ciascun di Noi vi sfida / per farvi confessar che ad onta vostra / in perigliosa Giostra / dal coraggio animati / ottiene dal Rival piena vittoria / chi, Duce il proprio onor, segue la Gloria.

[Sulla colonna a destra] Condottiero, e Padrino de’ Cavalieri seguaci della Virtù Cleante di Negroponte il Sig. Innocenzo Campanari / Cavalieri seguaci della VIRTU’ / Aldimiro di Candia, Il Sig. Domenico Massi / Ceralbo di Atene, il Sig. Luca Grispigni / Ergasto di Macedonia, Il Sig. Antonio Leonardi

[Poi la poesia] Eccoci pronti in Giostra / e sia pena all’ardir la Gloria vostra / sul vostro folle orgoglio / ergeremo ben tosto il Campidoglio / e sosterremo in perigliosi impegni / che Voi di Noi men degni / sarete nell’arringo, e con rossore / cedrete il Campo, e alla Virtù l’onore».

Da Mauro Galeotti: “L’illustrissima Città di Viterbo”, Viterbo, 2002