Viterbo STORIA
Chiara Aviani Barbacci, Stefano Aviani Barbacci
(Centro Studi Santa Rosa da Viterbo)


Rosa sulle Ande, Stefano e Chiara Aviani Barbacci

La Rosa viterbese nel Secolo d'Oro spagnolo.
Oggi, Santa Rosa da Viterbo è una figura religiosa poco nota fuori della nostra città, non fu così nel Siglo de Oro spagnolo dal quale ci viene una Vita Beatae Virginis Rosae che appartenne a Fernando Colombo, il figlio del grande navigatore.

Conservata nella Biblioteca Colombina di Siviglia, era stata acquistata a Viterbo nel 1515. Questa biografia mostra che Santa Rosa da Viterbo era conosciuta in Spagna nei secoli XVI e XVII, l'epoca della colonizzazione delle Americhe.

I pellegrini iberici che percorrevano la via Francigena e facevano tappa a Viterbo la chiamavano la Doncela e più ancora, affettuosamente, la Santa-Niña o più semplicemente la Niña. Una Santa-Bambina dunque, il cui culto si diffuse in Spagna e particolarmente in Andalusia dopo l'avvio del processo di canonizzazione nel 1457.

Da questo Paese ci viene un'ampia messe di testimonianze sulla devozione per la nostra Patrona (feste religiose, dipinti, statue) comprese alcune raffigurazioni del grande pittore sivigliano Bartolomé Esteban Murillo. Come è facile immaginare, la figura di Rosa passò presto nelle Americhe, col trasferimento oltreoceano dei primi religiosi francescani e dei primi coloni e soldati (non poche volte “terziari” francescani) ed il suo nome è attestato nella toponomastica del Nuovo Mondo fin dal primo quarto del XVI secolo.

Ma come spiegare il “successo” di una mistica medievale in luoghi tanto lontani ad oltre due secoli dalla morte? La sua figura storica appartiene al XIII secolo e la sua vita si svolse per intero a Viterbo, salvo la parentesi dell'esilio a Soriano… Non è sorprendente scoprire “tracce” di un suo passaggio in luoghi tanto diversi da quelli che aveva frequentato in vita?

Il ritrovamento, nel 1999, di un niño e della doncela sul Llullaillaco (tra Cile e Argentina)

Suggestive corrispondenze
Santa Rosa è figura identitaria della nostra città secondo i canoni di ciò che si usa definire una “religione civile”.  La relazione con la Santa si rinnova ogni anno la sera del 3 Settembre, con il trasporto di una sua immagine, posta sulla sommità della celebre “macchina”, fino a quel luogo elevato (il colle di S. Marco) dove si trova il Santuario che ne accoglie il corpo incorrotto.

Al di là dell'aspetto spettacolare, cos'altro è questo trasporto se non un legare alla Santa la comunità intera, un simbolico accompagnarla sul colle dal quale il “corpo santo” continua a proteggere la città natale? In effetti, di Rosa da Viterbo si conserva una straordinaria reliquia: la mummia naturale, una circostanza che fin dall'inizio ha avuto il significato di una conferma della santità e dello stato virginale della giovinetta.

Un aspetto di rilievo nella cultura religiosa del tempo, ma anche nel mondo andino preispanico, dove ragazze vergini d'età simile (tra i 14 e i 19 anni) erano offerte in spose a Inti (il sole) nell'ambito di un rituale dal forte valore politico-identitario detto Capacocha. Di Rosa i biografi narrano l'episodio del “matrimonio mistico” con Gesù, che una tradizione neo-testamentaria e proto-cristiana associa al sole che sorge (metafora della resurrezione).

Un matrimonio celebrato “pubblicamente”, percorrendo le vie di Viterbo e facendo tappa in alcune chiese della città coi seguaci in processione e vestita lei stessa come una sposa. Similmente le Virgenes del Sol erano inviate come offerte a Cuzco (la capitale dell'impero incaico) e da lì, ben vestite e con un seguito in processione, ritornavano alle comunità d'origine toccando (e dunque legando tra loro) località significative dell'impero.

Ascendevano infine al luogo prescelto per il compimento del sacrificio. Anche bambini tra i 4 e gli 8 anni (l'età dei miracoli dell'infanzia di Rosa da Viterbo) potevano essere sacrificati, erano gli Hijos del Sol di cui parlano le cronache del tempo. Di tali niños e doncellas, sedati con droghe e deposti in appositi pozzetti, sono rimaste le mummie naturali talora ben preservate dal clima freddo e secco della Cordigliera.

Tra quelle meglio conservate, la mummia di una doncella morta all'età di 15-16 anni, rinvenuta sul vulcano Llullaillaco nel 1999. Preservandosi i corpi, li si percepiva come dei “non morti”, mediatori tra gli uomini e gli dei, presidio magico delle comunità locali e dei confini sacri dell'impero.

La doncella del Lullaillaco (15-16 anni) una delle mummie andine meglio conservate.

La Rosa viterbese nel Nuovo Mondo
Nell'Ibero-America, Rosa da Viterbo la si raffigurò talora con sontuosi abiti secondo i canoni stilistici del “barocco americano”. Sono raffigurazioni che rivelano una conoscenza delle condizioni reali in cui si presentava a Viterbo il “corpo santo”, abbigliato in effetti proprio a quel modo. Tra il XVI ed il XVII secolo la reliquia fu accessibile al punto che poteva essere toccata dai pellegrini e cimentata con guanti, cordicelle o fazzoletti onde trasferirne anche altrove il “carisma”. Alessandro Finzi ha trovato a Salta (Argentina) una di queste “reliquie da contatto”: un guanto di velluto fatto indossare alla mano destra della Santa.

Circolarono anche le biografie, come si deduce dagli atti del processo di canonizzazione di Isabel Flores de Oliva che prese spunto da una vita della Patrona viterbese per mutare il proprio nome in Rosa. Divenne con ciò Rosa da Lima, la figura identitaria per eccellenza del Nuovo Mondo. Vi fu dunque un passaggio di consegne tra le due Rose e la devozione popolare valorizzò, nei secoli XVII e XVIII, un'iconografia che le percepiva simili e vicine.

L'offerta di se a Dio da parte della Rosa limense fu considerata una causa della favorevole recezione della fede cattolica da parte dei nativi, colpisce dunque trovare la Rosa Viterbese inserita in evidenti contesti di evangelizzazione. Anche nelle Americhe, la devozione popolare diede rilievo alla chiaroveggenza della Niña che “senza sapere o vedere nulla” (come si trova scritto in una piece teatrale del '600…) aveva riconosciuto la responsabile del furto di una gallina.

Fu altresì celebrato il carisma profetico della Doncella che aveva predetto la morte dell'imperatore Federico II e la fine del proprio esilio. Cos'altro sono la chiaroveggenza ed il carisma profetico (e potremmo aggiungere: vedere le anime dei trapassati, colloquiare con Gesù, con la Madonna e con i Santi) se non un prodigioso affacciarsi dello sguardo oltre i confini della vita? A cento anni dalla caduta di Cuzco, le comunità indigene ricercavano ancora protezione e responsi oracolari presso le cime consacrate col sacrificio di niños e doncellas ed è lungo percorsi che avvicinano tali vette che troviamo significative “tracce” (le più antiche) del passaggio della Rosa viterbese...

Iglesia y Convento de Santa Rosa de Viterbo en Curimón, nell'alta valle dell'Aconcagua (Cile)

Contro l'idolatria
La testimonianza più suggestiva è forse la Iglesia y Convento de Santa Rosa de Viterbo a Curimón, nell'alta valle dell'Aconcagua, lungo il Camíno de Chile che unisce il Cile all'Argentina (già parte del Camíno del Inca, la rete viaria dell'impero andino).

Si tratta del percorso che ancor oggi consente di valicare la Cordigliera nel suo tratto più impervio. Curimón accoglie anche un'immagine della Niña predicatrice (a sottolineare la vocazione missionaria del luogo) che ricalca una celebre raffigurazione del Murillo.

Qui fu stabilita nel 1585 una Doctrina de Indios, affidata ad un presbitero francescano e posta sotto la protezione della Patrona viterbese il cui nome aveva fatto ingresso, due anni prima, nel novero dei santi e dei beati del martirologio romano. Fu la prima presenza cattolica nella valle dell'Aconcagua, consentita dagli accordi di pace intervenuti, dopo un lungo conflitto, tra i coloni spagnoli guidati da Pedro de Valdivia (il primo governatore del Cile) e Michimalonco, capo di guerra dei Picunches, il popolo che dominava sulle valli del Mapocho e dell'Aconcagua.

Gli attuali edifici furono iniziati tra il 1620 ed il 1696, quando si diede luogo ad una rinnovata opera di evangelizzazione finalizzata alla “estirpazione dell'idolatria”, vale a dire il persistere del culto del sole e del culto oracolare delle mummie. Ciò rivela il contesto storico in cui la figura di Rosa da Viterbo dovette assumere un ruolo significativo. A  nord della omonima valle, il Cerro Aconcagua (la vetta più alta delle Americhe) rivela i nomi delle grandi divinità creatrici del mondo andino: Con, Inti e Viracocha-Pachamanac e costituisce la caratteristica naturale più importante di un paesaggio percepito come sacro dai nativi.

Nel 1985 vi furono ritrovati i resti di un bambino picunche sacrificato all'età di 6-7 anni. Ma già nel 1954 un'altra piccola vittima era stata rinvenuta sul Cerro El Plomo, a sud della medesima valle. Ciò sottolinea il rilievo sacrale della valle dell'Aconcagua, protetta da altissime cumbres sagradas. Resisi indipendenti dagli Incas dopo la conquista spagnola di Cuzco, i Picunches fermarono a lungo ogni tentativo di penetrazione iberica nelle valli centrali del Cile (cuore del dominio dei nativi) salvo allearsi in seguito con Valdivia e consentire all'ingresso dei missionari e al mescolamento etnico con i nuovi venuti. Questo accordo rappresenta l'atto di nascita del popolo cileno.

Odierne attestazioni (freccette rosse) della figura di Rosa da Viterbo lungo il Camíno de Chile

Strumento di inculturazione
La valle del Aconcagua è luogo di fondamentale importanza per la memoria storica del Cile: gli storici di questo Paese vi si riferiscono come alla “culla della nazione”, crogiuolo di “una società nuova frutto di un incrocio di sangue e simboli”.

Sappiamo anche che la valle accolse degli esuli, tanto nell'epoca della dominazione incaica (si usava deportare le comunità ribelli da un luogo all'altro dell'impero) che in età coloniale (per la necessità di trasferirvi manodopera da adibire ai lavori agricoli ed estrattivi). Dunque, non fu estranea a una parte dei residenti l'esperienza della deportazione o dell'esilio subiti per decisione di una qualche autorità imperiale...

E proprio qui troviamo una singolare concentrazione del nome della Patrona viterbese: la Iglesia y Convento de Santa Rosa de Viterbo; la Cofradía de Santa Rosa de Viterbo nella contigua valle del Mapocho; la ripartizione amministrativa della valle dell'Aconcagua titolata a Santa Rosa de Viterbo; la città cilena di Los Andes il cui nome antico era stato Villa Santa Rosa de Viterbo de Los Andes. Solo un caso? Evidentemente no.

La presenza della Rosa viterbese sulle Ande ripropone, pur se in un mutato contesto, il tema di quella “religione civile” per la quale la disponibilità di un comune e significativo linguaggio simbolico (come era stato, in fondo, lo stesso linguaggio della Capacocha) contribuisce alla costruzione di una società nuova.

Invero, come nell'Europa medievale, anche nell'epocale transizione del Continente americano verso la modernità si percepì un bisogno di figure di santi in grado di cementare le comunità e sostenere i singoli. Particolarmente la Doncella viterbese, vergine e bambina, chiaroveggente e mediatrice di grazie, esule e mistica sposa di un nuovo Sole che sorge sulle rovine di un “impero pagano” al tramonto, si sarebbe rivelata figura adeguata a rispondere a peculiari attese e specificità cultuali dell'ambito geografico ed antropologico in cui era stata condotta.

Avrebbe con ciò offerto un apporto originale allo sforzo di inculturazione della nuova fede e all'emancipazione delle popolazioni andine dal retaggio magico-primitivo, favorendo l'ingresso di queste ultime in un processo di integrazione che, per quanto controverso, rappresenta comunque il presupposto fondamentale del successivo sorgere delle moderne nazioni latino-americane.


La “cumbre sagrada” del Cerro Aconcagua (6.959 m), la vetta più alta del continente americano.