Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti (dal libro L'illustrissima Città di Viterbo)


Torrione presso Via Giuseppe Signorelli nel 1950, lungo le mura da Porta Fiorentina a Porta Bove

Prime notizie della costruzione del tratto di mura che va da Porta Fiorentina a Porta Bove si hanno nel 1208 allorquando «Li Viterbesi […] cinsero il Piano di S. Faustino», così scrive Niccolò della Tuccia, tratto che raggiungeva e superava l’attuale fornice di Via Giuseppe Signorelli. Qualche anno dopo, nel 1215, «Fu facto el muro sopra la porta di Buove et il circuito et el piano di Sancto F[a]ustino», così riferisce il cronista Francesco d’Andrea.

Un fossato proteggeva questa parte di mura, individuabile nell’attuale inizio di Via del Pilastro, ed esisteva ancora nel 1860 perché una notificazione dell’8 Ottobre di quell’anno ordinò, come ho già riferito, che «gli sterri e le materie prodotte da demolizioni e restauri delle fabbriche si dovranno trasportare e scaricare nel fossato esistente all’esterno di Porta Fiorentina».

Qualche anno prima, con notificazione del 18 Settembre 1847, il delegato apostolico Matteo Eustachio Gonella, nel proibire vari giochi, come quelli con la palla, con le bocce e la ruzzola nelle piazze della città, autorizzava quest’ultimo divertimento, come appresso:
«Nella Città di Viterbo sarà tollerato il giuoco della ruzzola, e formaggio, come in passato, soltanto per la strada esterna detta del Pilastro, e nelle altre Città, Terre, Castelli della Provincia potrà eseguirsi in giusta distanza dall’abitato, escluse sempre le strade corriere».

Il 1° Agosto 1458 cadde parte del muro presso la Torre porta Bove, come riferisce della Tuccia, furono presi provvedimenti per fare buone guardie, di giorno e di notte, e non trascorse molto tempo, tanto che il 4 Agosto dello stesso anno, si cominciò a ricostruire quel muro «dove era fatto il riparo di tavole. E io [Niccolò della Tuccia], mi trovai a pigliar la misura del fondamento di tutta la scarpa, quale segnammo in un poco di muro novo canto detta torre [Bove], che fu fondata assai sotto».
Il 10 Novembre era tutto sistemato e allora «fu misurato il muro novo con la scarpa fatta a canto la torre di Bove per mano di mastro Giorgio, fratello di maestro Stefano Lombardo. Fu canne 172, piedi 34 al minuto, che montò 180 ducati d'oro e così ne femmo ragione in casa dei signori Priori».

In data 29 Aprile 1572 viene menzionato un barbacane posto presso la Torre Bove. Dalla Pianta di Viterbo di Tarquinio Ligustri del 1596, in questo tratto, risultano essere cinque torri delle quali la terza è di forma cilindrica.

La Congregazione di Sanità il 25 Giugno 1630 ordinò che le porte della città si chiudessero all’ora dell’Ave Maria e che le chiavi si consegnassero «in mano di Mons.re Ill/mo Governatore sotto pena di scudi duecento»; inoltre stabilisce «che le bestie morte si portino nel campo vicino alle mura fuori della porta vecchia di Torre di bove», fu scelto questo sito perché ovviamente non era abitato.
«Con rammarico di pochi che, comprendendo fra noi l’importanza storica dei monumenti medioevali, bramano conservare alla città le gloriose memorie che i secoli passati ci tramandarono», scrive Francesco Cristofori, alla fine del XIX secolo un tratto di muro, lungo circa venticinque metri, tra la Rocca e san Faustino fu atterrato.

La prima torre che si trova a destra di chi guarda Porta Fiorentina, è la Torre della Rocca; probabilmente presso la torre pentagonale, verso san Francesco, era la Torre sopra la porta di Strada del Castello, nel 1220 è citata nella pergamena n° 1046 «Turris que edificata est super portam Strate ipsius Castri».

Nel 1228 viene scritto sulla pergamena n° 1085 «Strata et turris Comunis Viterbii», nel 1230 «Quedam turris, ubi est Porta Comunis Viterbii in Castro S. Angeli in contrata S. Petri», pergamena n° 1098 e nel 1234 «Turris supra Portam Strate», pergamena n° 1117.

Alla Torre della Rocca ne segue un’altra distinta come la torre dietro san Faustino. Il della Tuccia riferisce che nel 1458 si cominciò ad innalzarne una alla Rocca e si presero i sassi da una che non svolgeva più il suo scopo di difesa e allora si «cominciò a scarcare una torre, che stava dietro la chiesa di S. Faustino».

Il 30 Gennaio 1575 «Prete Michel’angelo de la Cosella canonico di San faustino ha un horto la sù a S. faustino, presso a’ le mura de la Città, dove è un Torrone sopra le mura, nel quale desidera con buona gratia, et authorità nostra fare un pò di palombara, e renderà anco qualche ricognitione a’ la Communità se vi pare», così dalle Riforme. La richiesta d’uso di una torre delle mura per la realizzazione di una piccionaia era assai consueta e veniva spesso accordata.

Il 18 Dicembre 1758 il priore ed i canonici della Chiesa dei santi Faustino e Giovita ravvisarono la volontà al Consiglio comunale di demolire la torre, presso la chiesa, perché risultava pericolosa e minacciava una probabile improvvisa caduta.

Nel trimestre Aprile Maggio Giugno 1760 ai priori si ricorda:
«Essendo pochi giorni sono giunte a nostra notizia, che questo Sig.re Orioli avesse occupata la torre contigua alle mura castellane in vicinanza della Chiesa di S. Faustino, con avervi dentro la medesima torre fatto fabbricare una stanza, e dentro avervi anche fatta fare una scala ascendente in sino alla sommità di detta torre, ed altro, come meglio potranno far riconoscere, credessimo nostro debito di farlo intimare a demolire tutti i lavori ivi fatti con inibirlo ancora a non proseguire i lavori suddetti, stante che il tutto era seguito senza nostra notizia, e senza ordine alcuno de’ Tribunali Superiori di Roma.
Ora resta all’Ecc.ze Vostre di proseguir gli atti suddetti. Se bene poco prima di dimettere il nostro possesso ci è stata consegnata lettera della Sacra Congregazione per l’informazione al memoriale presentato dal medesimo Sig. Orioli, come meglio potranno intendere dalla stessa lettera.
Verte in Sacra Congregazione del Buon Governo la causa con questi Sig.ri Bussi per la pretenzione di dovere la Comunità riparare il supposto imminente pericolo di un certo Casalino contiguo alle mura castellane in Contrada Belvedere [zona Porta Bove - Torre di Sassovivo] come meglio saranno ragguagliate dal Segretario.
Sarà similmente pensiero dell’Ecc.ze Vostre di far riconoscere le mura castellane nella parte del barbacane ritenuto a livello da Felice Zenti per esserci stata fatta istanza per parte delle Monache di S. Rosa di far riattare alcuni scavi che ultimamente si sono osservati sotto le dette mura con qualche pericolo delle medesime».

Si tratta di un Francesco Orioli, omonimo del famoso storico fisico archeologo che nacque nel 1783, il quale aveva preso in enfiteusi, nel 1759, dal Capitolo di san Faustino alcuni orti contigui alla chiesa stessa. In mezzo a tali orti vi era una antica torre che il medesimo riteneva compresa nel canone annuo e, avendola vista in rovina, aveva ritenuto bene restaurarla e coprirla col tetto e realizzarvi una scala al fine di potervi riporre gli attrezzi della campagna.

Si dichiarò, comunque, disponibile a pagare alla Comunità il canone che era giusto pagasse, stabilito poi in cinque giuli, questo per chiudere la controversia amichevolmente.
Poco oltre l’imbocco di Via Giuseppe Signorelli, aperto nel 1941 per collegare con la città il nuovo Quartiere del Pilastro, intitolato fino al 1946 Francesco Carnevalini, si trova un torrione a pianta tonda del quale trovo notizia nel 1457, «Facemmo principiare un torrione tondo sotto li fossi della rocca, dove si congiunge il muro della porticella dallato di fori», così scrive della Tuccia. La porticella era un antico ingresso alla città ubicato verso la Trinità.

Viene appresso alla torre tonda, una torre dimezzata della sua altezza ed un’altra ancora, coperta da un tetto ad un solo spiovente, è nominata nel 1459 quando vi si pose una guardia di vedetta.

E’ detta Torre della Trinità o di papa Pio VI, perché si vuole che vi abbia dormito quel papa venuto di passaggio in Viterbo il 21 Febbraio 1798, dando la benedizione al popolo dal loggione della chiesa.
Francesco Cristofori scrive che «circa il MCCCLIV Angelo Tavernini, Tesoriere Papale del Patrimonio, fece restaurare quel tratto di muro castellano, che da Porta Bove va sotto il convento degli Agostiniani della SS. Trinità. […] coll’Avv. [Giuseppe Ferdinando] Egidi nel vignolo adiacente alla torre [Bove], ritrovammo uno di detti stemmi del Tavernini, quasi completo, cioè due campi, inquartati uno azzurro ed uno d’argento».

Al Consiglio generale del 3 Marzo 1599, che leggo sulle Riforme, si discusse su una parte di mura cadute, «li Padri della Trinità hanno fatto sapere alli Signori che la muraglia della Città minaccia ruina dentro, et fuora del luogo loro, che riesce nel barbacane, che era dei Menicozzi, et hoggi è di m. Antonio Antonazzi, et havendoci li Signori mandato il Sig. Cap. Pietro Jacomucci m.ro [maestro] di strade ha referto, che detta muraglia era in quel punto cascata a’ terra, che può esser circa 40 canne di muro, però consiglieranno quel che si debba fare».

Il Consiglio stabilì che «l’opera si faccia perfettamente» ed emise il bando per offrire il lavoro al miglior offerente.

Nel Luglio e Agosto 1599 ai priori si ricorda che «Havemo pagati Scudi uno a quattro opere cioè dui hanno fatta la fossa e dui hanno rimessa S.me 25 di calcina alla Trinità per la fabrica della muraglia della città dico scudi 1».

E ancora nei Ricordi dei priori del Maggio e Giugno 1600 viene annotato che «Sia compra some trenta di calcia da Gaspare Maffucci per scudi venti cinque di pauli e gliene fu fatta bolletta cioè some quinici per la muraglia delli frati della Trinità e some quin[d]ici per la fabrica della Cappella, ma perché il detto Gaspare non ha potuto cominciare a tempo aciò non restassimo di murare per non avere calcia navemo presa da m° Cesare Pollastri per la ciera perciò le Signorie loro potrano solecitare il detto Gaspare che cocha e le some quin[d]ici che furo prese per la Capella le signorie loro le potrano manare alla muraglia e per il torione che minaccia rovina lì al barbacane del Vereschi e il detto venitore è obligato a sue vetture condurla, le Signorie loro potranno solecitare m° Domenico del fattore che finischa la detta ciera».

Nei Ricordi dei priori di Luglio e Agosto leggo:
«Si è presa dal figliolo di m° Agnelo della Mina some quaranta di calce alla fornace, parte è stata portata per la muraglia della città al orto de frati della Trinità, et parte al torrione al barbacane del Vereschi».

Nel Consiglio comunale dell’8 Aprile 1601 si fa presente ai consiglieri che «Devono anco sapere che le muraglie della Città, da più bande minacciano rovina, che quando non ci si proveda con il presto s’incorrerà in qualche spesa importantissima, et provedendosi adesso si farebbe con spesa assai minore, come si è visto per esperienza, che è occorso per il passato in quel pezzo che rovinò verso l’orto della Trinità. Però consiglieranno quel che li pare sia espediente».

Allora il Consiglio ordina che «Monsignore Ill/mo vice legato et Signori Conservatori, insieme con il sig. maestro di strada et dui Cittadini vadino vedendo le muraglie della Città, et dove trovono che sia bisogno di risarcirle ci si ripari et si spenda quello fa di bisogno con haverne licenza da Roma, bisognando».

«E’ stato dato», in data 21 Ottobre 1601, lo traggo dalle Riforme, «alli Signori questo memoriale che se gli legge […] Ill/mo Mons/re Ill. signori Conservatori e signori Consiglieri. Li Padri della santissima Trinità devotissimi onori delle ss.vv. le supplicano si degnino farli gratia di lasciarli fabricare un Colombaro in sù una torre della muraglia della Città, che rispondono nel loro convento, che lo ricevevano per gratia singularissima, et loro non mancaranno di pregare il nostro signore Iddio per la loro salute».

Alla votazione risultarono ventiquattro palle bianche e quindici nere, la supplica fu accordata e la piccionaia fu allestita. Ma dopo appena quindici mesi, il 19 Gennaio 1603, i frati di sant’Agostino chiedono che la Comunità conceda loro «un torrione di quelli, che stanno nell’horto di detto Convento per fabricarvi una colombara come per loro memoriale», la Comunità ritenne opportuno concedere la torre ai frati col lapidario patto però che «non ne habbia mai a’ sentir danno nessuno».

Il 15 Ottobre 1603 il Consiglio generale venne a conoscenza del pessimo stato delle mura riferito da una commissione appositamente nominata, «Le muraglie incontro alla vigna di fenitiani et un torrione incontro alla vigna de’ frati della Trinità nelle quali bisognerà spendere centocinquanta scudi» spesa da sostenere il più presto possibile per non incorrere in ben più gravi danni.

Il 30 Settembre 1638, per l’approvvigionamento dell’acqua, leggo nei Ricordi dei priori:
«Item si trova che li Signori del Maggistrato passato Aprile, Maggio e Giugno hanno fatto un ordine o’ licenza alli padri della Trinità alle Monache di S. Agostino e‘ Parrocc[h]ia di S. Faostino che si metta al condotto loro dentro il condotto della Roccha riservato il consenzo di Monsignor Illustrissimo Gonfaloniere il quale troviamo che à dato il consenzo condizionato cioè purchè le cose narrate siano vere e’ si possino fare e’ perché le cose esposte non sono vere ne si possino fare essendo state altre volte proebite dal Consiglio si ricorda alle Signorie Vostre acciò che provedino per benefizio pubblico e’ non resti la Communità priva delle sue raggioni, che ha sopra a’ detta Acchua di detti condotti. Con danno Ancora dalla fonte della Roccha si ricorda il negozio di sali della Porticella tante volte ricordato per scravio di coscienza commune restando sotto la Communità di migliaia di scudi.
Item si ricorda che nelle mura della città sopra alla Colomba è rovinato un pezzo della muraglia et è necessario di rifarla accio non rovini il restante».

Nel quarto trimestre 1691, i priori, rivolti ai loro successori, li avvertirono della caparbietà dei frati Agostiniani a non voler rispettare certi accordi presi, infatti «Dà i Sig.ri Conservatori del trimestre Gennaio, Febbraio e Marzo dell’1690 fù promesso alli PP. della S.ma Trinità di poter scaricare un Torrione fin al piano delle mura della città, come anche toglier via certi merli in condizione però che dovessero riaggiustare e risarcire come in detto decreto, e perché li Suddetti PP. non hanno mai adempiuto alla condizione anzi essendo stata fatta instanza perché parte della città che si riducessero in Pristino lo scaricato da medesimi e stata fatta la negazione, gli si ricorda acciò che faccino proseguir avanti o per Giustizia, o per accordo la detta Causa».

Nonostante il trascorrere di alcune decine d’anni, i frati restarono sempre caparbi. Infatti, nel trimestre Aprile Maggio Giugno 1779, per i priori del trimestre successivo, ecco un avviso per ricordare un dovere a carico dei frati della Trinità:
«Da questi Padri Agostiniani è stata fatta fare una Fabrica sopra le Mura Castellane contigua al loro Convento, con alcune finestre: onde non essendo potuto a noi riuscire di ultimar questo affare stante le lusinghe di alcuni di quei Religiosi; così si degneranno le Eccellenze Vostre di fargli stare a ragione».

Ma la lotta è dura e ai priori si ricorda, nel quarto trimestre 1779, «Questi Padri Agostiniani si sono esibiti di far l’obbligo del mantenimento delle Mura Castellane inserviente d’appoggio alla loro fabrica; non intendendo però di far porre le ferrate nelle finestre di essa fabrica».

E queste grate saranno motivo di discussione, tanto che nel seguente primo trimestre del 1780 «Riguardo alla fabrica fatta sopra le Mura Castellane spettante a questi Padri Agostiniani non c’è potuto riuscire di tirargli al sentimento dell’apposizione delle ferrate nelle finestre fatte in dette mura; e perciò non è ancora seguito l’obbligo per il mantenimento di dette mura».

Nel trimestre Gennaio Febbraio Marzo 1781, i priori, quasi sconsolati, annotano «Non ci è riuscito di ultimare la causa con i Padri Agostiniani per la fabrica da loro fatta sopra le Mura Castellane, onde l’Eccellenze Vostre insistino per il disbrigo, mentre detti Padri con citazione Camerale vanno prolungando l’accesso che dovrebbesi fare al loro Convento».

Una lapide posta nel corridoio superiore della Chiesa della ss. Trinità riferisce:
Pius VI pont. max. / Gallorum Republica cogente / Roma pulsus captivusque / Viterbium transiens / in hac domus parte substitit hospes / IX Kal. mart. MDCCXCVIII / postridie a podio in plateam verso / suplici plaudenti populo / benedictionem impertivit / sodales augustinenses / anno centesimo ab augusti exulis obitu / aedibus redemptis instauratis.

Nel libro Dante e Viterbo, Francesco Cristofori scrive:
«Il muro, che fiancheggia i due angoli esterni della torre [di Porta Bove], rivela la costruzione ordinaria, a pietre di concio, connesse con calcina viva, del secolo XIII. Una parte di detto muro, fra questa porta e le rupi della salita detta “del Pilastro”, o per vetustà, o per alcuna delle frequenti alluvioni, che funestano di tanto in tanto il nostro territorio, crollò per un tratto non breve circa il 1880, mi pare, e venne malamente restaurata, secondo il sistema moderno a pietre di tufo connesse con calce usuale».