Viterbo STORIA
Mauro Galeotti

 

Sai dove è questa scultura con san Bernardino, qui a Viterbo?
Leggi qui sotto, ma molto sotto!

Già nel 1417 «viene concesso un legato alle povere di Cristo nella casa di Tignoso di Palino Tignosini», così riferisce Giuseppe Signorelli.

Dopo la metà degli anni ‘20 del ‘400, san Bernardino da Siena, che venne a Viterbo nel 1426, fece venire dal Monastero di sant’Anna di Foligno alcune monache per fondare il Monastero di santa Agnese, il quale dopo la sua morte (1444) prese il suo nome. 

Fu dato loro il Palazzo Tignosi con la Torre Damiata. Sostenitrice della costruzione ed istituzione del monastero fu la contessa Angela dei Conti di Marsciano.

Sostiene lo studioso Augusto Egidi (1902 - 1965) che «La tradizione vuole che la stessa Beata Angelina da Foligno, la pia donna che aveva dettato la regola per le terziarie francescane, sia venuta tra noi, con tre compagne, a fondare la casa che, sotto il titolo di S. Agnese, riunì, nei pressi della chiesa di S. Tommaso, il primo nucleo del futuro monastero».

Prima ministra, delle monache Francescane del Terzo Ordine, e governante fu suor Clara di sant’Agnese da Viterbo.

Nel 1439 si menziona una cappella dedicata a sant’Agnese e nel 1452 papa Niccolò V riformò l’istituzione prescrivendo alle monache l’osservanza della Regola già concessa al Monastero di santa Margherita in Roma.

Nel 1459 le monache dette, sin dal 1454, le bizoche de S. Verardino, vendettero una vigna per la costruzione della chiesa ed un anno dopo fu iniziata l’erezione della Chiesa di san Bernardino.

E' il 1932... è questa una delle rare immagini della Chiesa di san Bernardino
prima dei bombardamenti del 1944

Lo ricorda anche il cronista Niccolò della Tuccia:

«nel detto mese [di giugno 1460] fu comenzata murare la chiesa di santo Bernardino […] la quale spesa ferono le bizoche [che] abitavano lì presso di limosine, che l’erano state lasciate da’ cittadini». 

Il monastero fu sottoposto alla direzione dei frati Minori Osservanti, i quali avevano avuto l’autorizzazione dal papa a celebrare, in quella nuova chiesa, le esequie per le monache.

Il primo ampliamento del monastero, verso Piazza san Carluccio, risale al 1480 per merito di suor Beatrice Farnese, figlia di messer Angelo Meo e cugina di quello che sarà poi papa Paolo III.

Fu superiora ministra, allorquando le mura del monastero raggiunsero Piazza san Carluccio, già detta Piazza san Salvatore, fino a raggiungere la valle limitrofa.

Il Consiglio comunale del 20 Maggio 1484 concesse un aiuto finanziario motivandolo dal fatto che «la devozione che il popolo viterbese aveva verso il Santo [Bernardino] e la vita esemplare delle monache, erano tali, che meritavano di essere fra tutte le altre remunerate».

Nel 1485 diciannove cardinali furono i firmatari di una Bolla di indulgenze, in favore del monastero, da concedere nelle Festività dell’Annunziata, dell’Assunta, di san Francesco, di san Bernardino, di Pasqua e nella ricorrenza della Dedica della chiesa stessa.

Nella prima metà del secolo XVI si monacarono numerose ragazze provenienti da famiglie nobili, due dai Farnese, due dai Medici, due dai Marsciano, una dagli Sforza e una dai Cibo, tre della famiglia dei Baglioni, una dai Marescotti, erano relegate nel monastero per mantenere unito il patrimonio dei loro genitori e parenti. Si ampliò nel 1508 per volere della ministra Margherita Martellacci, che acquistò una casa di Palino Tignosi. Questa casa nel 1610 fu ridotta in parte a piazza ed in parte fu incorporata al monastero ove un salone fu chiamato di Palino come ricorda Domenico Bianchi.

La Chiesa di santa Giacinta, oggi

Nel 1529, le monache, avendo ricevuto l’anno avanti un legato di mille ducati d’oro e una casa a Roma, decisero di ampliare il monastero chiedendo al Comune di poter chiudere la strada che era tra il convento e il loro mulino. Il Comune approvò la chiusura, ma chiese di aprire una nuova strada chiamata Via Pietra del pesce, tuttora esistente.

Il monastero fu ampliato prima, nel 1537, acquistando un casalino confinante, poi, nel 1563, allorquando le monache raggiunsero un numero superiore ad ottanta unità, sotto la direzione di suor Lucrezia Farnese. 

Nel 1573 erano presenti oltre cento monache, le rendite cominciarono a non essere più sufficienti per il quotidiano sostentamento e, assistite dal Minore Osservante frate Vincenzo da Roma, chiesero alla Comunità di Viterbo, di poter andare a mendicare in città. Fu accordata loro la licenza, però solo per quattro coppie di suore. Ma, anche dopo tale concessione, i miglioramenti furono assai scarsi.

Da una nota del 1581 si sa che il monastero utilizzava, per il sostentamento delle monache, 146 libbre di carne la settimana, che era una quantità assai scarsa, visto il numero delle rinchiuse. Le monache furono addirittura costrette ad indebitarsi per oltre mille scudi e a sospendere il pagamento dei censi restando private anche dell’assistenza religiosa.

Ebbero clausura rigorosa dal 1461, che fu confermata in perpetuo nel 1612 e nel 1939, ed inoltre ebbero la facoltà di professare la Regola di santa Chiara, così si chiamarono Clarisse.

La chiesa nel 1687 venne ricostruita sotto la direzione dell’architetto lombardo Giulio Spinedi, la spesa fu di milleduecento ducati d’oro. Nel 1746 morì in odore di santità madre Chiara Olimpia Rosa Meniconi, nobile viterbese.

Santa Giacinta Marescotti. Stampa del sec. XVIII con lastra di rame

Il 22 Febbraio 1802 venne a visitare il corpo di santa Giacinta l’arciduchessa Marianna d’Austria sorella di Francesco II. Il 3 Settembre 1857 papa Pio IX fu ospite del monastero. Leggo dalla Memoria in occasione della sua venuta:

«Dopo il pranzo alle ore 5 e mez(zo) pomeridiane il Santo Padre si degnò recarsi a piede [proveniente dal Vescovato] nel vicino Monastero di S. Bernardino accompagnato dall’Emo Vescovo dai Magistrati e dalla sua Corte; ed entrato in Chiesa e visitato il SS. Sagramento recossi per la porta esterna al Monastero ed alla Cappella ov’è custodito il Corpo di S. Giacinta: quindi ascese al coro superiore, ove assiso in trono ammise al bacio del piede le Monache, il Deputato, e due Religiosi dell’Ordine. Salì poi alla cella ove morì S. Giacinta, e vi pregò brevemente».

Andrea Scriattoli ha eseguito un disegno di una scritta posta sul soffitto della cella di santa Giacinta «I(n) Domino co(n)fido 1614», ossia una frase della Santa: Signore confido in te.

Santa Giacinta Marescotti. Stampa del sec. XVIII con lastra di rame

Con manifesto del 30 Gennaio 1935 viene pubblicato l’elenco delle persone e degli enti pubblici che hanno contribuito alla spesa per la realizzazione del pavimento con «marmette pressate della Chiesa e dell’edicola di S. Giacinta; rinnovazione dei gradini esterni e di quelli degli Altari; balaustra in noce massiccio; bussolone con tre porte di accesso; ripulitura della facciata e delle pareti interne».

Il comitato promotore era presieduto da Romolo Bastianini.

Nel 1944 la chiesa fu distrutta in buona parte dalla guerra, il corpo di santa Giacinta fu salvato grazie alle suore che lo portarono nei sotterranei del monastero.

Sebbene fosse possibile ricostruire la chiesa, perché recuperabile in più parti, si può ben vedere in alcune foto che ho pubblicato, non ci fu la volontà e quello che fu risparmiato dalla guerra lo distrussero inspiegabilmente gli uomini.

Dovettero passare vari eventi prima di giungere al 21 Gennaio 1960, ossia al giorno dell’inaugurazione della nuova chiesa dedicata non più a san Bernardino, ma a santa Giacinta.

Il tempio, costruito su disegno dell’architetto viterbese Rodolfo Salcini, ha la facciata in peperino e presenta, sopra l’ingresso, una finestra quadra con rosone stellare in rame, alla sommità è il campanile a vela che sostiene tre campane.

Sull’architrave dell’ingresso è scolpito in rilievo: S. Hyacinthae de Mariscottis.

La chiesa, per le linee troppo stridenti, risulta un vero affronto architettonico nell’ambiente in cui si trova.

Tra gli artefici della ricostruzione è d’obbligo ricordare padre Celestino (Gerardo) Grassotti dei Frati Minori il quale offrì tutta la sua opera. Per l’occasione è stata scolpita l’epigrafe posta a destra di chi entra:

Sopra le stesse fumanti macerie / del vetusto tempio / all’apostolo senese S. Bernardino / dedicato / che conobbe i palpiti del cuore ardente / di S. Giacinta Marescotti / distrutto dalla furia dei bombardamenti / della guerra 1940-44 / l’opera tenace di padre Celestino Grassotti / l’arte mirabile dell’architetto Rodolfo Salcini / la munificenza delle autorità governative / hanno fatto sorgere / questa luminosa chiesa / S.E. l’arciv. Adelchi Albanesi / vescovo di Viterbo / la consacra a Dio in onore di S. Giacinta / oggi 21 Gennaio 1960 / le suore dell’annesso monastero / plaudendo ricordano.

Il campanile antico era a torre e fu bombardato la notte fra il 27 ed il 28 Maggio 1944 subendo la sorte di cui fu protagonista la chiesa. Nel 1941 aveva tre campane la maggiore con l’anno illegibile, la mezzana del 1763 e la piccola del 1786.

I nomi delle campane sono santa Giacinta, san Bernardino e santa Elisabetta.

La facciata della distrutta Chiesa di san Bernardino aveva sopra l’ingresso una grande finestra rettangolare e sul timpano era il simbolo del santo titolare, il sole col monogramma di Cristo IHS, vi era anche lo stemma del vescovo Urbano Sacchetti.

All’interno è interessante la cupola con le costole disposte a raggiera con numerose vetrate istoriate e con l’anello della lanterna luminoso. Le vetrate furono eseguite dalla Ditta Giuliani di Roma e messe in opera nel 1962. L’altare maggiore, in marmo bianco, è curvilineo perché segue la linea dell’abside, la tavola poggia sopra un cubo in peperino con su scolpita una stella a quattro raggi. Sospeso in aria è un moderno Crocifisso bronzeo arricchito dalla vetrata nello sfondo che raffigura santa Giacinta in preghiera.

Sul pavimento, in corrispondenza della cupola, sono le parole in ottone: Mel in ore Jesus in aure melus in corde iubilus.

I due altari laterali furono eseguiti dall’artista viterbese Fausto Fiorucci, la Via Crucis è opera dello scultore Giacomo Vincenzo Mussner di Ortisei in Val Gardena e fu offerta da Franco Ricci di Viterbo.

Sull’altare a destra è la statua di san Bernardino dello scultore di Ortisei Mussner, in quello di fronte a sinistra è la statua di sant’Antonio da Padova col Bambino realizzata in carta pesta ad opera di Luigi Guacci di Lecce, nato l’8 Gennaio 1871 e morto il 12 Giugno 1934.

Nel transetto destro è l’altare con la statua della Madonna in gesso, mentre nel transetto sinistro e la statua del Sacro Cuore, opera del Mussner.

Sulla parete a sinistra della navata, per chi entra, si apre la Cappella di santa Giacinta ove è conservato il corpo in una urna barocca di legno dorato. La santa quando morì fu tumulata nella sepoltura centrale, davanti all’altare maggiore ad opera del convertito Francesco Pacini, senza cassa e con legate alle braccia due maniglie, una in piombo posta dalle monache ed una in argento posta invece dai parenti della santa con l’iscrizione Suor Giacinta Mariscotti.

Nel 1692 fu riesumato il corpo di Giacinta e, ricomposto, fu collocato in una cassa.

In seguito (1727?) fu racchiuso nell’odierna urna di legno con alla sommità lo stemma dei Francescani tra due putti e la scritta in latino: Corpus / S. Hiacinthae / de Mariscottis, Corpo di santa Giacinta Marescotti e in basso gli emblemi delle famiglie Ruspoli e dei Marescotti.

Nel 1940 fu ingrandita l’apertura che immette alla cappella collocandovi una grande cancellata di ferro, per renderla meglio visibile ai fedeli.

Tra i papi che vennero a pregare dinanzi a santa Giacinta ricordo Benedetto XIII Orsini nel 1727, Gregorio XVI, Cappellari nel 1841, Pio VII nel 1815, Pio IX, Mastai Ferretti nel 1857 visite ricordate nelle epigrafi conservate nel monastero.

Mi piace riportare quanto scrive un anonimo, nel 1875, in una nota di quadri esistenti nelle chiese viterbesi:

«Chiesa di S. Bernardino - Nell’altare a sinistra entrando trovasi il quadro rap(presentante) Santa Giacinta Marescotti; a sinistra di chi guarda il quadro, trovasi scritto il nome dell’autore Sigismundus Rosa pin. il 1726. Trovasi ancora in discrete condizioni, meno qualche screpolatura alla base. Non ha per cornice che un semplice regolo. Altezza m. 3.17, larghezza 1.83.

Nel terzo altare a destra entrando, il quadro rap(presenta) la Pietà, della medesima grandezza della Santa Giacinta. E’ ben conservato. Autore da studiarsi. Questo quadro ha di buono l’intonazione del colore».

Nell’uscire dalla chiesa a sinistra della cappella della Santa è murata l’iscrizione:

L’eminentissimo principe di S. Romana Chiesa / cardinale Francesco Bracci / concittadino insigne di S. Giacinta / nello splendore della sacra porpora / coronò il 31 Gennaio 1960 / le solenni celebrazioni della ricostruita chiesa / le monache riconoscenti / ricordano la fausta data.

Il chiostro è nominato nel 1526 e la tradizione vuole che san Bernardino, ospite del monastero, abbia fatto sgorgare l’acqua da un pozzo asciutto, lo ricorda la lapide:

Ospite Bernardino al pozzo rese / l’acqua e nel coro sacrifici offrio’, / memore il chiostro il nome poi ne prese.

Nel 1558 vi si trova una fontana, presso l’orto, che ha sostituito quella precedente da far risalire al ‘400, e che fu ristrutturata all’inizio del 1600, come scrivo appresso.

La fontana è costituita da una vasca alta una quindicina di centimetri da terra caratterizzata da un largo bordo utilizzato come gradino.

Un balaustro, posto sopra un basamento tronco-conico, ornato con foglie d’acanto, porta scolpito uno stemma con banda accompagnata in capo da un grifone. Sopra è la coppa circolare che al centro ha una scultura composta di quattro angeli, dotati di bocchettone, che sorreggono una torre a tre palchi con quattro porte, merlata alla ghibellina. 

Sull’alto è un cannello che getta acqua. Sulla torre è scolpito S. Irene Bagliona f.f., ossia Suor Irene Baglioni fece fare, al secolo Diana Baglioni la quale fece eseguire la cuspide della fontana agli inizi del XVII secolo.

La torre è la caratteristica dello stemma dei Baglioni che è così descritto in araldica:

alla torre di tre palchi, il primo finestrato con una porta e due feritoie di lato, il secondo e il terzo finestrati.

All’interno la distrutta Chiesa di san Bernardino era decorata con stucchi di stile barocco, vi si conservavano numerose importanti opere, come: sopra l’ingresso di una porta un Ecce Homo in affresco con la figura del solo busto del Cristo, con le braccia incrociate, che ho in una foto del 1910 circa; un altro Ecce Homo tra san Francesco e san Girolamo ben visibile in una foto del 1910 circa; una Pietà con la Vergine e Maria Maddalena ai piedi di Gesù in lunetta, anche questa la vedo in una foto (1910 circa) della mia raccolta.

Secondo Andrea Scriattoli le tre opere anzi dette furono eseguite da Gabriele di Francesco Zacchi, nato a Viterbo probabilmente verso il 1439, il quale si firma, in quella dell’Ecce Homo tra i santi, Gabriel Francisci pinxit 1483. Vi era anche un affresco cinquecentesco, posto nel coro, con l’immagine di sant’Agnese.

Nel cortile era l’affresco, raffigurante san Francesco che dà la regola, con sant’Agnese inginocchiata e altri santi francescani, gli uomini alla destra di Francesco e le donne alla sinistra. Vi era anche un quadro con l’Annunciazione che è già assai danneggiato e strappato, in una foto del 1910 circa.

Questi affreschi furono distrutti dai bombardamenti del 1944. Il pittore Gabriele, operante sin dal 1473, era figlio del viterbese Francesco d’Antonio Zacchi, detto il Balletta (1407? - Viterbo prima del 1476).

Vi era anche un quadro raffigurante la Morte di santa Giacinta attribuito al romano Giuseppe Passeri (1654 - 1714).

Pitture del XVI secolo si potevano ammirare nel coro, ridotte però, già verso il 1915 in «deplorevole stato di conservazione».

Nella parte bassa di una pittura raffigurante san Francesco nell’atto di ricevere le stimmate era scritto Soror Ursula Sforza ministra fieri fecit MDIL.

La chiesa è meta ogni anno, prima del trasporto della Macchina di santa Rosa, dei Facchini di santa Rosa. Le suore donano a quest’ultimi una foglia colta dalla pianta di santa Giacinta come auspicio di un buon trasporto. La foglia si presenta con una curiosa spina al centro. Si racconta che un giorno d’Inverno santa Giacinta, camminando sul terreno dell’orto a piedi nudi, chiedesse al Signore una penitenza per ricordare la Passione. 

Dal suolo ecco spuntare una pianta che aveva una spina su ogni foglia. In realtà la pianta non è nient’altro che del Ruscus hypolossum detto Ruscolo maggiore e la spina è morbida e non punge.

Piazza della Morte

Sulla facciata del palazzo al n° civico 1 di Piazza della Morte è il monogramma di Cristo nel sole.
Al 4 è in bassorilievo, ricavata su peperino, l’immagine di san Bernardino, nell’atto di predicare da un pulpito ove si trova inciso il suo simbolo.
Il largo avanti a questa immagine era detto Piazza san Bernardino e il nome della piazza è apparso alla fine di Dicembre 1999 con le lettere dipinte in nero su una base di intonaco.
Secondo un manoscritto di anonimo dell’800, che ho, la piazza era detta «anticamente della Pescheria».

Al n° civico 5, è il portale del Monastero di san Bernardino, a sinistra è lo stemma in peperino del vescovo di Viterbo cardinale Urbano Sacchetti (1683 - 1699) così descritto in araldica: d’argento a tre bande di nero.

A destra è, in peperino, il sole con la sigla IHS di san Bernardino, il portale del XVI secolo ha sull’arco a sesto acuto ancora un IHS nel sole.

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

chi è on line

Abbiamo 1249 visitatori online

 

 I libri

di Mauro Galeotti

 

Cartonato - pag. 246 - euro 25,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it

Cartonato - pag. 808, a colori
da euro 120,00 a euro 80,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it