Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino

Il 31 Luglio la Chiesa Cattolica commemora Sant’Ignazio di Loyola, nato in Spagna nel 1491, morto il 31 Luglio 1556 e canonizzato il 12 Marzo 1622. Da uomo d’armi e di mondo si convertì ad una vita di fede autenticamente cristiana.

Furono la violenza di una battaglia e le sue conseguenze vissute in prima persona, gli eventi che portarono Ignazio di Loyola ad una radicale conversione. Nato nel 1491 nel castello di Loyola nei pressi della città di Azpeita in Spagna, ultimo di tredici fratelli, la sua fanciullezza fu rattristata dalla prematura morte della madre.

Da ragazzo sperimentò la vita lussuosa e lasciva di corte, diventando paggio del suo parente Juan Velasquèz de Cuella tesoriere del Regno di Castiglia. Ma nel 1517 si arruolò nell’esercito, dedicandosi alla vita d’armi. Pochi anni prima, nel 1512, i Castigliani avevano conquistato il Regno di Navarra, ma proprio nel 1517 era diventato re di Navarra Enrico d’Albret che con l’appoggio del re di Francia Francesco I voleva combattere per riconquistare la libertà della sua terra. Nel 1521 la Navarra si sollevò contro il dominio castigliano. Il Vicerè di Pamplona Antonio Manrique de Lara lasciò la città, ma il 17 Maggio fu aggredito lungo la strada mentre cercava di raggiungere Alfaro.

Parte dei soldati castigliani, tra cui lo stesso Ignazio, si chiusero nella fortezza di Pamplona tentando di resistere, ma il 20 Maggio 1521 la città fu assediata e in quel frangente Ignazio fu ferito alle gambe. Il valoroso soldato sperimentò nella sua carne, e nel suo intimo, non solo le conseguenze più immediate della sorte avversa, cioè il dolore fisico causato dalla temporanea menomazione, ma anche un angoscioso e umanissimo senso di limite.

Trascorse un lungo periodo di convalescenza nel castello di famiglia a Loyola, e per rendere meno penosa la sua forzata stasi iniziò a dedicarsi alla lettura di testi religiosi, tra cui soprattutto quelli che narravano la vita di Gesù, ed anche di grandi Santi. Ne rimase talmente colpito che maturò in lui un forte desiderio di conversione: rinunciare a tutto ciò che era stato, e che era, per diventare un “uomo nuovo” seguendo Cristo.

Avendo un ardente desiderio di visitare in prima persona i luoghi in cui visse Gesù, ristabilitosi in salute affrontò un viaggio verso la Terra Santa, ma poco dopo fu costretto a tornare in Spagna. Deciso a consacrare la sua vita a Dio, entrò nel monastero di Manresa in Catalogna e qui iniziò a coltivare una intensa vita spirituale, dedicandosi assiduamente alla preghiera e alla contemplazione, ed ebbe anche esperienze mistiche poiché in alcune visioni gli si manifestò la Vergine Maria, alla quale da quel momento in poi dedicò sempre una intensa venerazione.

Il 15 Agosto 1534 Ignazio insieme a sei suoi compagni, tra cui Francisco de Javier (futuro S. Francesco Saverio) diedero vita alla “Società di Gesù” intenzionati a condividere una intensa vita spirituale cristiana, facendo voto di castità e di povertà, e rendendosi disponibili ad annunciare il Vangelo al mondo come missionari.

Il nuovo Ordine fu ufficialmente approvato il 27 Settembre 1540 da Papa Paolo III con la Bolla “Regimini militantis”, e Ignazio ne divenne primo Superiore Generale. Molti anni più tardi nel 1554 S. Ignazio scrisse le “Costituzioni Gesuite”, e tra il 1553 e il 1555 dettò il racconto della sua vita a Padre Goncalves de Camara, che però fu custodito nella massima segretezza per quasi due secoli.

Dal 1522 a Manresa aveva iniziato a scrivere in spagnolo gli “Esercizi Spirituali”, cioè come li definì lui stesso “ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente e altre operazioni spirituali (…) tutti i modi di disporre l’anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzazione della propria vita per la salvezza dell’anima”. Tale opera fu da lui terminata molti anni più tardi, nel 1535 a Parigi. Poi volle che il testo fosse tradotto in latino ed affidò il lavoro ad Andrè Freux.

La prima edizione degli “Esercitia Spiritualia” fu proprio quella in latino del 1548, tredici anni dopo la fine della loro stesura; la prima in spagnolo avvenne invece nel 1615, e quella in lingua italiana solo nel 1911. Come lui stesso spiegò, agli Esercizi “sono assegnate quattro settimane, corrispondenti alle quattro parti in cui si dividono gli esercizi: nella prima si considerano e si contemplano i peccati; nella seconda la vita di Cristo nostro Signore fino al giorno delle Palme incluso; nella terza la Passione di Cristo nostro Signore; nella quarta la Risurrezione e l’Ascensione, aggiungendo i tre modi di pregare.

Nelle intenzioni di S. Ignazio gli “Esercizi” erano (e sono tutt’ora) un’esperienza spirituale di preghiera e meditazione che per prima cosa doveva indurre il praticante a liberarsi dalla schiavitù del peccato purificando la sua anima e il suo cuore; poi doveva indurlo a riflettere sul Mistero della Salvezza operata da Cristo attraverso la sua morte e Risurrezione, per arrivare infine ad essere con tutto sé stesso “In Cristo e per Cristo”, in una relazione viva e vivificante, massima aspirazione dell’autentico cristiano come già aveva insegnato S. Paolo Apostolo. Ma gli “Esercizi” sono anche un percorso spirituale personalizzato, tengono conto dell’individualità di ciascuno, del suo modo di essere, delle sue necessità, delle sue possibilità e soprattutto rispettano i ritmi del cammino spirituale, che è diverso da persona a persona.

Questa tensione continua verso Dio attraverso la preghiera e la meditazione, è ben riassunta dal motto che S. Ignazio volle per il nuovo Ordine religioso da lui fondato,“Ad maiorem Dei gloriam”: l’uomo deve compiere tutto per la maggiore glorificazione di Dio, e tale glorificazione può essere attuata solo se l’uomo sa discernere il bene dal male, e se sa scegliere coscientemente sempre il bene, che avvicina a Dio. Papa Paolo III con la Bolla “Pastoralis Officii” del 31 Luglio 1538 raccomandò a tutti la pratica degli “Esercizi Spirituali”. S. Ignazio di Loyola è esempio della potenza della Grazia di Dio, che in mezzo ad una vita disordinata e peccaminosa dona la vera luce.

Come anche molti altri Santi hanno raccontato, quella luce divina che irrompe riflette le sembianze esteriori e interiori dell’uomo deturpate dal peccato. La conversione è anche, si può dire, presa di coscienza di un modo di essere che, guardandolo riflesso nello “specchio di Dio”, si percepisce come profondamente sbagliato. E’ un “rientrare in sé” come fece il c.d. “figliol prodigo” dopo aver sperimentato il fallimento, è autentica volontà di cambiare e di non tornare più indietro.