Villa San Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino

Compie cinquant’anni il “Karisoke Research Center” fondato nel 1967 in Rwanda da Dian Fossey.

Da bambina coltivò il sogno di dedicare la sua vita agli animali, finalmente nel 1966 salì su un volo che la portò in Africa, dove rimase a studiare e a difendere i gorilla fino alla sua tragica morte.

Nata a Fairfax in Virginia il 16 gennaio 1932, poco dopo la sua famiglia si trasferì a San Francisco in California. Dian Fossey fin da piccola amò moltissimo gli animali, tanto che poi frequentò la Facoltà di Veterinaria dell’Università della California, ma lo scoglio di materie quali fisica e chimica, per le quali non aveva attitudine allo studio, la costrinsero ad abbandonare il progetto accademico. Si iscrisse perciò al “San Josè State College” laureandosi nel 1954 in Terapia occupazionale, ed iniziò a lavorare presso il Dipartimento di Terapia Occupazionale nell’ospedale di “Kosair Crippled Children” di Louseville (Kentachky), prendendosi cura di bambini disabili. Tuttavia la mente e il cuore di Dian erano ancora irresistibilmente attratti dal mondo degli animali, continuava a leggere libri sull’argomento, ed in particolare rimase impressionata dall’ opera dello zoologo ed antropologo George Schaller “The year of the gorilla” (“L’anno del gorilla”), il racconto della spedizione nel Cameron e nel Congo fatta dall’autore per studiare dal vivo i gorilla delle foreste. Ad un tratto le fu chiaro di che cosa avrebbe dovuto occuparsi: studiare i gorilla africani, e contemporaneamente salvarli dal rischio di estinzione.

Dopo aver messo faticosamente da parte del denaro, finalmente nel 1963 partì per un safari in Africa, dove rimase sei settimane. Fu un’ esperienza che la segnò profondamente, sia perché conobbe da vicino i gorilla, sia perché in Tanzania strinse amicizia con il paleontologo ed antropologo Louise Leakey e con sua moglie Mary. Dian manifestò a Leakey il suo grande desiderio di studiare i gorilla, anche se non aveva una preparazione scientifica specifica, ma alla fine del safari fu costretta a tornare in America. Tuttavia Leakey, positivamente impressionato dalla caparbietà di quella giovane donna, non si dimenticò di lei così nel 1966 le propose di tornare in Africa per studiare i gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei), che vivevano nei pressi del massiccio Virunga in Rwanda, ricerca supportata da un finanziamento della “National Geographic Society” e della “Wilkie Foundation”. Il sogno di Dian finalmente si avverava. Arrivata in Rwanda pose il suo campo-base all’interno del “Volcanoes National Park” (“Parco Nazionale dei Vulcani”) nei pressi del Virunga, e cominciò con grande entusiasmo e determinazione la sua attività di etologa. Nel 1967 fondò nella provincia di Ruhengeri il “Karisoke Research Center”, per studiare la vita e i comportamenti dei gorilla nel loro habitat naturale.

Nel 1970 il “National Geographic Magazine” per documentare l’attività della studiosa inviò in Rwanda il fotografo Bob Campbell, che divenne suo stretto collaboratore nonché suo compagno per tre anni. Le foto da lui scattate ed i video girati hanno permesso di far conoscere al mondo il lavoro di questa intrepida pioniera a contatto quotidiano con i gorilla, le sue coraggiose battaglie contro i bracconieri, mossi dall’avidità del guadagno anche per procurare esemplari di gorilla agli zoo europei (crudeli ed inutili istituzioni), e contro altri individui senza scrupoli che per interessi economici legati al turismo distruggevano l’habitat naturale, mettendo in pericolo la sopravvivenza dei gorilla. Battaglie combattute con tutte le sue forze, mentre il governo del Rwanda si mostrava poco disposto ad assecondare le richieste di aiuto di Dian.

La studiosa si rivolse anche alla Comunità Europea, perché modificasse le leggi riguardanti la cattura degli animali. Questa preziosa documentazione di immagini realizzata da Campbell contribuisce a mantenere viva la memoria della “Signora dei gorilla”, come era chiamata, che con caparbietà divenne davvero la massima esperta nella conoscenza di questi Primati. Dian scrisse un libro autobiografico dal titolo “Gorillas in the mist” (“Gorilla nella nebbia”), tradotto anche in italiano, che tutti gli zoologi e gli zoofili dovrebbero leggere, perché la sua vicenda dimostra la passione vera per gli animali, la costanza nello studiarli, il coraggio nel difenderli, l’affetto e il reciproco, pacifico, rispetto che riuscì ad instaurare con i gorilla di montagna, fino ad allora erroneamente considerati poco inclini all’amicizia con l’essere umano. Come lei stessa raccontò e scrisse, quando iniziò le sue osservazioni dei gorilla da vicino, questi per un lungo periodo furono diffidenti nei suoi confronti, perché avevano esperienza dei fucili, delle trappole e dell’aggressività dei bracconieri, che seminavano sempre morte.

Ma la sua presenza assidua e discreta, il suo starsene seduta in silenzio ad osservarli, il suo guardarli con viso sereno e sorridente, comunicarono agli animali intenzioni pacifiche e pian piano non ebbero più paura di lei. Meraviglioso fu il giorno in cui per la prima volta un gorilla le venne vicino e le toccò la mano, facendole capire che la considerava un’amica.

Nei lunghi anni che trascorse in Rwanda, Dian riuscì a stabilire contatti strettissimi con i gorilla, ad ognuno diede un nome tenendo conto del suo carattere e delle sue peculiari caratteristiche, ognuno studiò, a tutti donò affetto e da loro lei stessa lo ricevette. Più di una volta proprio Bob Campbell la ritrasse abbracciata affettuosamente ai gorilla, grandi e piccoli, in teneri atteggiamenti di amore materno. E’ di Dian la frase “I feell more confortable with gorillas than people. I can anticipate what a gorilla’s going to do, and they’re purely motivated” (“Mi trovo più a mio agio con i gorilla che con le persone. Posso prevedere ciò che un gorilla sta per fare, ed essi sono motivati da pure intenzioni”).

Tomba di Dian Fossey (a destra), tomba del gorilla Digit (a sinistra)

Un pensiero che colpisce, e che fa riflettere anche sull’infanzia e sulla giovinezza difficili che Dian aveva vissuto, tanto da indurla a proiettare sugli animali il suo bisogno di ricevere e di dare affetto. Infatti i suoi genitori avevano divorziato quando lei aveva 6 anni, la madre si era risposata, trascurandola e non sostenendola né moralmente né materialmente durante gli studi universitari, il patrigno era sempre stato affettivamente molto freddo nei suoi confronti, e suo padre, diventato alcolizzato, si era suicidato nel 1968.

Il trauma dell’abbandono affettivo (tecnicamente “sindrome da abbandono”) la perseguitò per tutta la vita, intensa ma difficile fu anche la relazione con Bob Campbell, che non durò. Donna dal carattere forte, durante la sua permanenza in Rwanda dovette spesso scontrarsi con persone prive di scrupoli, e grande fu il suo dolore quando nel 1977 fu ucciso senza pietà il gorilla Digit. Era una persona mossa da buone intenzioni a favore degli animali, animata da un grande coraggio nel difenderli, generosa nel sacrificarsi, pronta a denunciare i maltrattamenti che i gorilla subivano, e a contrastare i malintenzionati. Tutto questo ad alcuni dava terribilmente fastidio.

La vita di Dian fu tragicamente stroncata la sera del 26 dicembre 1985 mentre si trovava nella sua capanna, a colpi di panga, una sorta di machete che i bracconieri usavano per uccidere i gorilla, lei e i suoi amati animali accomunati da uno stesso destino. L’assassino non fu mai identificato, ma è chiaro che doveva trattarsi di qualcuno che la voleva togliere di mezzo per poter agire indisturbato nei suoi atti illeciti. C’è chi ha fatto perfino l’ipotesi che il governo del Rwanda fosse in qualche modo coinvolto nell’omicidio, anche perché le autorità locali di polizia non si impegnarono a fondo nel ricercare il colpevole, ma addossarono la responsabilità, senza nessuna prova concreta, ad uno studente americano che Dian aveva ospitato, il quale però aveva già lasciato il Rwanda rendendosi irreperibile.

Dian riposa nel “Volcanoes National Park”, la sua semplice tomba è contrassegnata da una lapide su cui si legge “No one loved gorillas more, rest in peace, dear friend, eternalluy protected in this sacred ground for you are home where you belong” (“Nessuno ha amato di più i gorilla, riposa in pace, cara amica, eternamente protetta in questa terra sacra, la tua casa è il luogo al quale tu appartieni”). Accanto a lei c’è la tomba del gorilla Digit, nato nel 1965 e ucciso nel 1977, una vicinanza che rende evidente a tutti la follia della crudeltà umana, che ha ingiustamente privato entrambi della vita, ma anche la bellezza, se così si può dire, di condividere il sonno eterno accanto ad un animale che le fu vero amico.

Nel 1988, a circa tre anni dalla morte di Dian, per ricordarla in America uscì il film “Gorillas in the mist” del regista Michael Apted, e con la brava attrice Sigourney Weaver nel ruolo della primatologa. Dopo la morte della studiosa è stato istituito un fondo che da lei prende il nome, il “Dian Fossey Gorilla Fund International”, destinato a sovvenzionare le attività di protezione dei gorilla. Raccogliendo l’eredità lasciata da Dian, il suo grande amore per gli animali e l’assiduo studio dei Primati, il “Karisoke Research Center” ha continuato la sua attività e le sue battaglie in favore dei gorilla, e alla fine dello scorso settembre ha festeggiato con gioia il suo cinquantesimo anno di vita.

Da segnalare, inoltre, che da molti anni la zoologa italiana Veronica Vecellio si è trasferita in Rwanda vicino al massiccio del Virunga, proprio dove operò la Fossey, per continuare lo studio dei gorilla di montagna. Lavora per il “Dian Fossey Gorilla Fund International” ed è manager del “Gorilla Program” nel “Karisoche Research Center”, che si occupa anche della formazione in loco di studenti e della lotta antibracconaggio sull’esempio di Dian. La biografia di Dian Fossey dimostra che le battaglie a favore dei diritti degli animali sono sempre dure da combattere, ieri come oggi, ma che di fronte alle difficoltà, alle intimidazioni, alla violenza, od anche all’indifferenza, non ci si può tirare indietro. All’inizio degli anni ’70 la situazione dei gorilla di montagna era disperata, a causa del bracconaggio ne rimanevano solo circa 300 esemplari, ma gli sforzi compiuti da Dian, e le attività di salvaguardia che proseguirono dopo la sua morte grazie ad altri studiosi, e che tutt’ora continuano, hanno permesso di salvare questi animali (oggi ci sono circa 800 esemplari).

Ciò dimostra che bisogna avere il coraggio di seminare anche su campi irti di spine, di perseguire i propri giusti intenti anche quando molti mostrano indifferenza, o minacciano, o tentano di impedire, perché prima o poi buoni frutti spunteranno. Molte sono oggi le zoologhe e gli zoologi che, seguendo l’esempio della Fossey, portano avanti lo studio dei gorilla e di altri animali, con la sua stessa dedizione e determinazione. La speranza è di arrivare presto al giorno in cui, non solo in Africa ma nel mondo intero, Italia compresa, non sarà più necessario scontrarsi con l’insensibilità di molti, con la grettezza di chi pensa solo agli interessi economici, con la prepotenza di chi considera gli animali alla stregua di oggetti, con l’indifferenza delle istituzioni. Un giorno in cui, finalmente, non sarà più necessario lottare fino a perdere la vita, per difendere il sacrosanto diritto alla vita degli animali.

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