Viterbo STORIA
Alessandro Gatti

La Chiesa di santa Maria in Gradi nel 1721

Le contorte vicende di intrighi e rapporti di convenienza tra patrizi romani e viterbesi con il papato. La sfortunata sorte del Prefetto Giacomo di Vico, il suo ruolo di rilevanza giocato nella storia di Viterbo e la volontà dei Viterbesi di rispettare il suo desiderio d’esser sepolto a Santa Maria in Gradi assieme alla sua famiglia.

Papi a Viterbo: epilogo

Nel  1254, Papa Rinaldo di Jenne saliva al soglio pontificio sotto il nome di Alessandro IV, la di cui elezione fu possibile grazie al favore dei patrizi romani. Non era un caso infatti, che il patriziato di volta in volta, a seconda delle circostanze e delle convenienze, appoggiasse o osteggiasse il papato.  Ai tempi di Alessandro IV vi erano la famiglia degli Annibaldi, suoi sostenitori, che si vedeva contrapposta al Brancaleone, loro acerrimo nemico e fautore della causa ghibellina.

Tra il 1430 ed il 1435 la situazione non era tanto diversa e Viterbo, trovandosi questa proprio al centro del Patrimonio di San Pietro, era un terreno di conquista assai ambito per la sua vicinanza a Roma. Stavolta sulla scena delle scaramucce tra papato e patriziato, romano ed orvietano, v’erano le famiglie dei Monaldeschi, dei Cervareschi e dei Colonna. Ai danni di quest’ultimi si muovevano le incalzanti ire di Papa Eugenio IV, da quando era venuto meno l’appoggio politico ai Colonna da parte di Papa Martino.

La ricetta per comprendere siffatto marasma storico politico, risiede nei meccanismi contorti delle influenze, dei clientelismi e delle parentele che andavano a instaurarsi tra papato e patriziato. La contrapposizione tra guelfi e ghibellini si risolveva in una alternanza di scopi contrastanti. Quello che contava realmente, per i patrizi, era fare in modo che al soglio pontificio stesse un Papa, per sangue ed obiettivi, a loro vicino. Quello che contava realmente per il Papa era far collimare gli interessi del Patrimonio di San Pietro con quelli dei patrizi che di volta in volta lo sostenevano.

La vendetta dei Colonna e degli Orlandi contro i Viterbesi

Colonna, assieme agli Orlandiscesero da Soriano con le loro truppe in armi sui territori di Toscanella e Viterbo e depredarono considerevoli quantità di bestiame. A motivare il loro atto vi era la vendetta poiché Viterbo aveva dato appoggio fermo al Patrimonio di San Pietro.  In realtà questi patrizi volevano riacquisire tutti i privilegi che avevano al tempo di Martino e che il nuovo Papa aveva loro sottratto. La controversia tra Colonna e Papa porterà quest’ultimo, nel 1434, a fuggire a Firenze.

Intelligentemente i Viterbesi aspettarono le truppe dei Colonna nei pressi di Vetralla, da dove essi sarebbero dovuti passare per condurre i capi di bestiame rubati fino a Soriano. Quando lo scontro avvenne i Viterbesi ebbero la meglio, ma vennero poi sconfitti dall’enorme stupore che li sopraffece. Ad un tratto si palesò infatti all’orizzonte il Prefetto Giacomo di Vico che loro credevano amico nella causa comune.

Il tradimento di Giacomo di Vico ai danni dei Viterbesi ed il tradimento di Papa Eugenio IV ai danni del di Vico

Il rovescio della sorte colpì alla sprovvista i Viterbesi che si trovarono costretti a lasciare che l’onta subita non venisse vendicata e che il bestiame cadesse nelle mani di quei signori avversi al pontificato romano.

Giacomo di Vico,  fu prefetto di Roma, Signore di Civitavecchia, Tolfa Nuova, Vetralla, Vico,  Caprarola, Carbognano, Vignanello e Santa Severa.Uomo spietato e senza scrupoli, apparentato con Michelangelo Attendolo, Antonello Ruffaldi e Rinaldo Orsini, si rivolse più volte contro il papato e a Viterbo detenne un ruolo importante ed influente.

Quel colpo di mano ai danni dei Viterbesi, costò caro assai al Prefetto. Egli ebbe riposto eccessive aspettative nell’amicizia coi Colonna che non seppe arrecargli gli sperati benefici. Proprio mentre il di Vico s’apprestava a rendere i capi di bestiame ai Colonna e a rapire 128 fra quegli intrepidi Viterbesi, Papa Eugenio IV concludeva un’alleanza strategica coi Colonna. Nepi, Soriano, Orte, Mugnano e Chia, assieme ad alcune terre in Umbria e Romagna ritornavano così in mano al Pontefice ed il prefetto Giacomo di Vico si ritrovava ad aver oltraggiato i Viterbesi, il Papa e a non avere più l’appoggio dei Colonna che si erano riappacificati con la Chiesa di Roma.

La disgrazia dell’intrigo che quel coacervo di serpi aveva lanciato contro il di Vico vedrà il suo culmine quando Papa Eugenio manderà all’inseguimento dello sventurato prefetto il Barone romano  Niccolò della Stella; noto come il Fortebraccio.

Niccolò della Stella detto “Il Fortebraccio” ed il ruolo di Giovanni Vitelleschi nella gestione delle controversie tra Papa e patriziato

Fortebraccio puntò dritto su Vetralla e venne presto raggiunto dal prelato, nonché nobile condottiero, Giovanni Vitelleschi da Corneto, vescovo di Recanati.  Come se non bastasse anche alcuni nobili locali, come il Conte Everso di Anguillara, videro uno spiraglio di opportunità nel dare appoggio alla causa guelfa e sopraggiunsero numerosi a stringere in una morsa il povero quanto sprovveduto Giacomo di Vico.

Giacomo di Vico provò dunque a trincerarsi a Civitavecchia, dopo aver abbandonato Vetralla al suo destino, ma anche qui non tarderà ad addivenire l’impeto dell’assedio delle truppe del Vitelleschi. Quest’ultimo rappresenta per la storia una ulteriore testimonianza di come le alleanze e le fazioni siano solite formarsi sotto l’egida del solo comodo e dell’infingarda convenienza.

Tanto Papa Martino, quanto Papa Eugenio seppero avvalersi dell’ardimento di questo chierico che, più che alla causa di Dio pareva votato alla causa delle armi.

Per quanto concerne le vicende che contrapposero il Papa ai baroni romani, il Vitelleschi giocò un ruolo cruciale nel difendere il Patrimonio di San Pietro ed ora non sembrava volersi tirare indietro nel portare a termine il lavoro lasciato in sospeso con l’ultimo della stirpe dei di Vico.

Il revanscismo di Giacomo di Vico e l’appoggio a questi dei Senesi

Quando oramai anche Civitavecchia era spacciata, Giacomo di Vico riparò a Siena e cercò alleanza vantaggiosa coi Senesi, amici del Ducato di Milano e contrapposti con Firenze e Venezia alleate del Papa. Vuoi per ricompensare i Senesi, vuoi per l’ardimento dell’animo assetato di vendetta, il di Vico accettò di esser riarmato e rifocillato e alla testa di 400 mercenari partì per riparare all’oltraggio dei guelfi e del Pontefice traditore.

Giacomo di Vico riuscì dapprima a riappropriarsi dei suoi possedimenti, ma l’ardore del Fortebraccio fu tale da riconquistare al più presto Vetralla e fomentare i Viterbesi ad assediare Vallerano. La strategia dei Senesi aveva funzionato: il Pontefice aveva ritirato le sue truppe dai confini toscani per concentrarle sul Patrimonio di San Pietro, tra Roma e Viterbo.

Del povero di Vico non importò molto ai Senesi, questi avevano securizzato i loro confini e distratto la minaccia guelfa per il tempo necessario. di Vico s’era illuso di poter vincere e, sebbene questo accadde in un primo momento, il Fortebraccio seppe sfruttare al meglio le sue abilità di comando per metterlo nuovamente sotto scacco.

Ipotesi in merito agli errori strategici di Giacomo di Vico

Tutto sarebbe andato a meraviglia, per il di Vico, se non fosse che l’influenza della Chiesa di Roma, nel riecheggiare altisonante della storia, desta sempre il suo fascino ammaliante. Quello che il prefetto avrebbe potuto fare, e che non fece, riguardò il cogliere un’occasione di alleanza con il Fortebraccio.Quest’ultimo, attorno al 1433, entrò infatti in dissidio aperto con Eugenio IV perché egli negò lui un pagamento promessogli. Fortebraccio infuriato trattenne i castelli che aveva conquistato con le rispettive terre e offrì un vantaggio al Duca di Milano. Quest’ultimo vedendo le difficoltà del Patrimonio di San Pietro, mandava subito il Conte e condottiero Francesco Sforza.

Giacomo di Vico avrebbe potuto rappresentare un perno d’unione tra gli Sforza ed un Fortebraccio adirato e truffato. Avrebbe potuto rappresentare quel momento più elevato della diplomazia che per molti teorici della guerra, da Sun Tzu, a Clausewitz e Jominì, rappresenta il punto di leva decisivo per una vittoria schiacciante. Avrebbe potuto, ma non lo fece. Giacomo di Vico preferì provare a ricercare l’appoggio dei Viterbesi che lo negarono lui senza indugio alcuno.

L’intesa tra Papa Eugenio IV e Francesco Sforza e l’esecuzione di Giacomo di Vico

Nel frattempo, siamo attorno al 1434, il Papa chiese ed ottenne un’intesa con Sforza che cedette e venne messo a difesa di Viterbo. Intanto il Patriarca Vitelleschi stava risolvendo i tumulti di Roma e si apprestava a riconquistare i domini della Chiesa.  Adesso andava mettendosi male anche per il Fortebraccio la cui sorte, vedendolo isolato contro il papato, non gli serberà la vita.

Anche Giacomo di Vico accolse la sua sorte, tra le braccia tenere della morte,  il 28 settembre 1435. In questa data, sulla piazza di Soriano, di Vico venne decapitato dal Vitelleschi. I Viterbesi ci tennero, nonostante tutto, a rispettare il volere del prefetto Giacomo di Vico d’esser seppellito nella Chiesa di Santa Maria in Gradi assieme alla sua famiglia. Stando a quanto riportato da fonti non certe, nello stesso anno il Fortebraccio cadeva durante una battaglia contro le truppe papaline a Serravalle o Colfiorito.

 

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