Viterbo STORIA
Mauro Galeotti

 

Pianta di Viterbo degli inizi del XVIII secolo,
a destra è Porta Faul, a sinistra la Rocca Albornoz col fossato che la circonda.
La carbonara, ossia il fossato, era al di qua delle mura castellane,
dove oggi è Via del Pilastro

Parlando con il professore Alessandro Finzi della Chiesa di santa Maria della Carbonara ha incuriosito il termine "carbonara", cos'era la carbonara? Era un fossato profondo almeno due metri e mezzo e largo quattro, serviva a difendere la città da eventuali attacchi nemici ed era a ridosso delle mura castellane, difese, altresì, anche da antemurali. Leggo nella storia di Viterbo manoscritta (1611) di Domenico Bianchi (1537 - dopo 1615):
«Oltre le dette mura [di Viterbo] è anco cinta [la città] di antemurali, sopra li quali sono alcuni giardini, latinamente detti pomerii e dal volgo chiamati Barbacani i quali, secondo le croniche, furono cominciati a fare l’anno 1228».

Secondo qualcuno a dare il nome alla chiesa della Carbonara era la presenza in loco di "una carbonaia, o carbonara, ossia di uno dei tanti fossati che anticamente si scavavano a ridosso della cinta muraria, a scopo difensivo, e si riempivano di materiale combustibile per darvi fuoco in caso di attacco nemico".

Forse il nome carbonara può derivare dal lavoro dei carbonai che per fornire carbone, svolgevano il loro lavoro fuori le mura, evitando che il fumo delle loro carbonaie infastidisse gli abitanti della città. Un po' come i vasai che avevano i loro forni fuori le mura cittadine.

Le carbonare sono sparite tutte, ma sicuramente Via del Pilastro è a copertura di una carbonara, in questo tratto di mura sono rimasti gli antemurali e avanti ad essi... la carbonara è coperta dall'asfalto della strada.

Comunque sia queste sono le notizie strappate qua e là sulle carbonare viterbesi, tratte dal mio libro sulla storia di Viterbo "L'illustrissima Città di Viterbo" del 2002.
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Per aumentare la difesa della città, chiunque era autorizzato a scavare nelle carbonare, che consistevano in una specie di trincea, attorno alle mura. Chi avesse impedito ciò era colpito da un’ammenda di sessanta soldi.
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In merito alle carbonare i proprietari dei terreni, che si trovavano nel raggio di mezzo miglio dalle mura, dovevano scavare intorno alla città, per difesa, fossati larghi quattro piedi e profondi sei. Inoltre, le strade che li oltrepassavano dovevano essere costruite sopra di essi verso le mura.
Era consentito scavare le carbonare per aumentare la loro profondità e quindi la difesa della città; nessuno poteva opporsi allo scavo, era comunque proibito estirpare i cespugli spinosi ed i rovi che si trovavano nel fossato, pena dieci soldi.

Venivano scavate a spese delle contrade. Ad esempio la carbonara delle Pietrare era posta a carico degli abitanti della Contrada di sant’Angelo i quali, nel 1291, in fase di ampliamento, ordinarono i lavori a Gianni Zono. Doveva essere profonda due metri e mezzo e larga quattro.
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Venivano eletti, ogni sei mesi, quattro persone del popolo ed un notaio che dovevano soprintendere alla manutenzione delle mura, avevano l’obbligo di visitare le mura ogni mese provvedendo al rifacimento ove necessitava. Sempre ogni sei mesi dovevano essere eletti gli ufficiali che avevano il compito di mantenere funzionali le carbonare. 

Gli ufficiali erano: due del popolo, due de granditia e un notaio. Entro il primo mese dall’incarico il podestà e quattro ex priori dovevano far pulire e riparare quelle carbonare che ne avessero avuto necessità, pena venti libbre agli ex priori.
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Nelle carbonare era proibito scagliare frecce, pena quaranta soldi di ammenda e sopra ai barbacani era vietato il pascolo, che era consentito solo a capre e pecore, pena venticinque soldi.
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I Viterbesi resistettero assai bene e così dopo una cruenta lotta, Federico si vide sfumare la vittoria, dovendo così accettare le condizioni del papa. In merito alla disputa il cronista della Tuccia nella sua cronaca scrive, all’anno 1243, che Federico II «menò tutte le genti sue contro la città di Viterbo. Li Viterbesi introrno in terrore e per potersi meglio defendere, fecero carbonare e steccati sopra il piano de’ Tornatori, che circondava dalla porta di S. Lucia, ove già fu il castello di S. Angelo, sino alla porta di pian scarlano dal lato di fora che girava 1507 passi, dalla rocca alla porta di Valle 231 passi e murorno tutte le porte, salvo la porta di Bove, alla quale fecero un ponte levatore, e la porta di Salciccia, e la porta dell’Abbate, e impirno d’acqua li fossi della porta di Piano».
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«L’imperatore mandò subito uno grandissimo exercito. Et sentendo li Viterbesi sì facta cosa, ferno carbonare e steccata sopra lo piano Tornatori, che circundava el castello di Sancto Angelo, in fine al muro del piano di Scarlano; cioè dalla porta di Sancta Lucia in fino al piano di Scarlano dal lato di fuore le mura sopra la porta di Valle, che girava mille cinquecento sette passi, da longa dalla porta di Valle IIcXXXI [231] passo; e murarno le porte di Viterbo salvo la porta di Bove e la porta di Salcicchia e la porta dell’Abate».

Quindi i Viterbesi realizzarono steccati e carbonare che andavano da Porta di santa Lucia verso Porta di Valle dalla quale erano distanti duecentotrentuno passi per raggiungere Porta di Pianoscarano per un totale di 1507 passi. Così facendo avevano anche protetto l’ingresso, ancora aperto, della Valle di Faul che comunque era ben difesa dai soprastanti Colle del Duomo e Colle della Trinità. 
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Da porta Bove, fino a Porta di Valle, furono costruiti nel 1243, durante l’assedio di Federico II, le carbonare e uno steccato, a difesa della imboccatura dell’attuale Valle di Faul rimasta aperta. La sectio tertia, alla rubrica 2 dello Statuto di Viterbo del 1251, stabilisce che queste carbonare e lo steccato non dovevano essere mai riempiti, cinquanta libbre di multa erano comminate ai contravventori, «Statuimus quod carbonarie nove utiles de sticcatu, scilicet a pertusa Vallis usque ad carbonarias, que sunt extra portam Bovis, nullatenus repleantur».
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Durante l’assedio di Federico II, nel 1243, questo tratto di mura fu assai impegnato per la difesa della città tanto che i Viterbesi si videro costretti ad erigere da Porta di Pianoscarano sino a Porta di santa Lucia una lunga sequenza di carbonare e steccata, ma non sicuri del risultato, scavarono sotto terra cunicoli che dalla città conducevano nei campi esterni alle mura per sorprendere ed offendere il nemico alle spalle.

Mi piace riportare, con le parole di Francesco d’Andrea, una descrizione dell’attacco all’imperatore Federico II, che mi sembra di particolare interesse.
«Poi che lo imperatore vidde li dicti fanti [erano più di seimila provenienti da Firenze, Pisa, Pistoia, Pietrasanta, Siena, Lucca e Arezzo], comandò che fussero trovati assai legni per fare castelli di legnami et anche ponti per posser rompere le steccata; et fe’ fare XXVI castelli et ponti et una manganella, la quale posero ad Sancto Pavolo [Paolo, verso la Strada Signorino]; per la qual cosa li Viterbesi di novo rinforzorno le steccata, et ferno maggior fossi et fecero una buffa [una macchina per lanciare le pietre] grande et una piccola, et si le pusero nel piano sopra Sancta Maria della Ginestra, et continuo gettavano nel castello di Sancto Lorenzo et nel campo de l’imperatore; et fecero molte manganella et altri edifitii et molti pulzoni con le teste di ferro, con li quali rompevano le castella di legno, et ferno molti graffioni [uncini di ferro] o veramente petre lupo [piè di lupo] con le rustiche di legno, con li quali pigliaveno li castella et li gettavano in terra; et fecero più vie sotto terra, onde escivano ad offendere li nimici. 
Et fore delle carbonare fecero le steccate, acciò che le castella di legno non si potessero acostare, ficcandoci assai passoni de legno; et sparsero assai tribuli de ferro, acciò che intrassero nelle piante delli piedi delli inimici appiede e a cavallo».
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Sempre nello Statuto è disposto che le carbonare esistenti presso Porta san Pietro detta pure portam Salciccle fino a Porta di san Sisto, dovevano essere mantenute della stessa ampiezza. Inoltre era previsto che dovevano essere collocate catene alla porta per un migliore controllo dei passanti, per evitare l’uscita o l’ingresso dalla città di animali rubati e per proteggere i beni in essa conservati.
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Gli Statuti di Viterbo del 1237 e del 1251 stabiliscono che era proibito ampliare le carbonare che erano state realizzate tra Porta san Pietro e Porta di san Sisto.
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Dal già più volte citato Niccolò della Tuccia, cronista viterbese vissuto nel XV secolo, trovo all’anno 1245:
«In quel tempo li viterbesi fecero le carbonare intorno alla chiesa di Santa Maria in Gradi, di comandamento del Cardinal Raniere Capoccia».

E dalle cronache dell’altro cronista Francesco d’Andrea leggo:
«1245. In quell’anno li viterbesi ferno le carbonare intorno ad S.ta Maria in Grada de comandamento de Mons.re Ranieri Cardinale». Era pure il tempo della guerra con Federico II che motivò ancor più tale realizzazione.

Le carbonare furono, infatti, costruite intorno al complesso monastico per meglio difenderlo dagli assalti dei nemici, ma non impedirono di certo le sventure atmosferiche. Infatti, nel 1246, quando i lavori di costruzione erano sul punto finale, un nubifragio si abbattè sul tempio e sulla città. Fu tale la violenza con cui si manifestò, che distrusse buona parte del convento senza risparmiare la chiesa, la quale rimase danneggiata alquanto gravemente.
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Le mura da Porta di san Sisto a Porta della Verità furono costruite nel 1095 assieme al fossato.
Lo Statuto del 1251 stabilisce che le carbonare, che vanno da Porta di san Sisto a Porta di san Marco, dovevano essere ampliate e portate alle dimensioni della carbonara che era a Porta di san Marco.
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Nella zona tra San Sisto e la Verità esisteva una cava di peperino come riferisce la sezione quarta, rubrica 188, dello Statuto di Viterbo del 1251 che prescriveva a tutti i pietrai di estrarre la pietra da taglio, esclusivamente nelle cave aperte tra la Porta di san Sisto e quella di san Matteo dell’Abate, al fine di rendere più profondi i fossati, o meglio le carbonare, esistenti a difesa della città.
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Lo Statuto di Viterbo del 1469 stabilisce che era vietato scavare e gettare oggetti nelle carbonare che si trovavano lungo il tratto di mura che va dalla Porta di san Matteo dell’Abate alla Porta di santa Lucia.
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Porta Murata si trova nel tratto di mura edificato nel 1208, presso il Piano del Tignoso o dei Tornatori che si estendeva fino all’attuale Chiesa della Trinità, ma Mario Signorelli dice che in atti da lui consultati si trova già nel 1206. Niccolò della Tuccia la vuole invece eretta nel 1215 e ciò risulta in un elenco delle porte dello stesso anno col nome di Porta di Capo di piaggia. E’ citata nello Statuto di Viterbo del 1237 allorquando si ordinò al podestà di convogliare le acque nelle carbonare ivi esistenti in Vallis Pectinarii et Rianensis.
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Lo Statuto di Viterbo del 1469 stabilisce che si dovevano ripulire le carbonare che si trovavano tra Porta di Capo di Piaggia fino a Porta di santa Lucia a spese dei proprietari dei terreni, pena venti soldi.
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Il tratto di mura tra Porta Murata e Porta Fiorentina era protetto da un fossato. In un’ordinanza del 1230 si stabiliva che per concessione dei sindaci, dei castellani e dei quattro preposti alle fortificazioni, si doveva realizzare una strada, sul margine delle carbonare, larga dieci piedi. In sostanza la strada era tra le mura e il fossato, più avanti, al suo posto, furono realizzati i barbacani, poi demoliti nel 1885 - 1886.

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