Viterbo STORIA
Mauro Galeotti

Le carote furono prodotte anche da Camillo Tosoni, questo è un suo eccezionale suo vasetto, aveva il negozio al Corso Vittorio Emanuele n° 11/h, oggi Corso Italia, Tosoni nel 1925 vinse a Livorno un premio per tale prodotto. (Collezione Mauro Galeotti)

Mi piace ricordare, lo afferma Italo Arieti noto cultore della gastronomia locale, che le suore di santa Rosa coltivavano e curavano la preparazione delle famose Carote di Viterbo condite in un particolare bagno aromatico e che, come scrive Giuseppe Signorelli, in dialetto viterbese erano dette fanfaluche o pastinache. 

Erano queste, carote speciali, di color viola la cui cultivar è andata ormai perduta. Avevano un formato più grande delle carote normali e le foglie erano larghe e verdognole, striate di rosso.

Si dice che crescevano abbondantemente attorno al Lago di Bolsena e che erano cibo per nutrire i cavalli.

Non si conosce l’anno di origine da cui derivi questa ricetta viterbese, si sa, lo scrive Arieti, che nel 1467 l’agostiniano frate Cristoforo, del Convento della Trinità, pagò un bolognino di dazio per portarle a Roma e che vennero definite le più gustose dal Platina (pseud. di Bartolomeo Sacchi) nel 1487.

Un anno dopo i Conservatori di Roma chiesero ai Vitorchianesi «qualche carota per posserla confectare» e offrire ai «forestieri che adcaschano alla nostra mensa». So che Attilio Carosi ha ritrovato nella Biblioteca degli Ardenti una ricetta, in un manoscritto datato 25 Novembre 1827.

L’Almanacco e notiziario della città e provincia di Viterbo per l’anno 1837 così riferisce «Viterbo […] fa un certo commercio di radici rosse condite “Daucus carota” che gli stranieri trovano molto preziose».

Il prodotto fu, infatti, realizzato e diffuso commercialmente anche dal Caffè Schenardi, veniva messo in particolari vasetti di ceramica e all’Esposizione circondariale agricola industriale del 1879, tenuta a Viterbo, nella allora ex Chiesa di san Francesco, venne premiato per la particolarità del gusto.

In una pubblicità del 1926 trovo che le carote sono prodotte e distribuite dalla Ditta Stefano Petretti, con sede in Piazza Vittorio Emanuele, la quale aveva anche ricevuto la medaglia d’oro all’Esposizione industriale di Firenze del 1911.

Lo slogan era «Il contorno preferito, l’antipasto di etichetta».

Le carote furono prodotte anche da Camillo Tosoni, che aveva il negozio al Corso Vittorio Emanuele n° 11/h, il quale nel 1925 vinse a Livorno un premio per tale prodotto. 

Altri commercianti di carote furono: la S.V.A.L. / carote di / Viterbo, così leggo su un vasetto che ho; i fratelli Ernesti, in Piazza delle Erbe che sui vasetti in terracotta, imprimevano in una mezzaluna, sempre di terracotta, la scritta Specialità carote / F.lli Ernesti / Viterbo e in basso una piccola stella; il droghiere Giovanni Battista Ciardi, al Corso Italia n° 27, tutti usavano come contenitori vasetti di ceramica.

Ciardi utilizzava quelli realizzati a Tuscania, ed era attivo ancora negli anni ‘70, sui suoi vasetti faceva scrivere con vernice nera Carote di Viterbo / drogheria / Giovanni Ciardi / Tel. 33060, in alto al di sopra della scritta era il leone di Viterbo.

Ultime produttrici delle carote di Viterbo sono state le Distillerie Viterbium verso gli anni ‘80. Fondate nel 1906, erano dirette da Bizzarri & C. avevano sede in Via san Lorenzo 6/a, poi in Viale Trento 1, avevano ricevuto in premio la medaglia d’oro alla 1ª Mostra regionale di Roma nel 1923.

Tra i liquori prodotti erano: China ferruginosa, Cordial Viterbium, Vecchia Strega, Gran Vigor, Cognac, Vermouth. Fra i nomi famosi che hanno gustato le carote sono Giuseppe Garibaldi, i Savoia, re Umberto in esilio in Portogallo e Benito Mussolini.

La preparazione delle carote consisteva nel tagliare le stesse, dopo averle fatte bollire in una pentola, a fettucce in senso longitudinale. 

Dovevano essere né troppo cotte, né troppo crude, poi venivano seccate e immerse in una salsa agrodolce, formata da aceto nero forte e zucchero. L’utilizzo poteva essere fatto solo trascorsi almeno quindici giorni.

Ovviamente chi voleva poteva personalizzare il gusto unendovi: cannella, chiodi di garofano, noce moscata e a piacere anche cioccolata, pinoli, uvetta, semi di anice e canditi di limone o di arancio.

Le carote venivano gustate accompagnate al bollito sia di carne che di pesce.

Ma non voglio finirla qui, infatti, riporto l'articolo sempre sulle carote che ha scritto Patrizia Labellarte quattro anni fa.

Rappresentano la tradizione culinaria viterbese. Molti illustri personaggi del passato, da Mazzini, Mussolini sino ai Savoia hanno potuto assaporare la loro genuinità e squisitezza: le “pastinache” o meglio ancora conosciute come carote viterbesi.

Dal color viola e forma attorcigliata a spirale, queste particolari carote venivano coltivate dai nostri avi. Ed esattamente una particolare cultivar color viola delle comunissime carote o “daucus carota var. sativa“, della famiglia delle Ombrellifere, di cui si conoscono numerose varietà di colore (bianco, rosso, giallo, viola), e di forma (corte, lunghe, cilindriche, coniche, a trottola), preparate e conservate in un bagno aromatico.

Oggi però queste carote colore viola, sono divenute introvabili. Il perché lo illustrano gli agronomi esperti, i quali spiegano che coltivando nel raggio di 800 metri delle carote gialle si ottiene la degenerazione delle altre cultivar e in special modo di quelle viola.

L'originalissima ricetta delle carote viola dolci in bagno aromatico risale al 1467, nel Libro delle spese del Convento della SS. Trinità di Viterbo, dove sono riportate nelle spese sostenute dal frate Cristoforo. Mentre è del 1827, l'anno in cui è datata una certa ricetta di queste carote che il solerte dottor Attilio Carosi ha ritrovato fra i tanti documenti della Biblioteca degli Ardenti di Viterbo.

Per molti anni queste carote erano preparate prevalentemente dalle famiglie aristocratiche di Viterbo e conservate in artistici vasetti di terracotta dei quali si conservano ancora alcuni esemplari che andrebbero raccolti come testimonianza del costume e delle tradizioni locali. Successivamente gli Schenardi, proprietari dell’omonimo famoso Caffè, si diedero alla confezione di queste carote, perfezionandosi al punto da ottenere il primo premio all’Esposizione di mostarde e carote tenutasi in S. Francesco a Viterbo nel 1879.

Successivamente anche il droghiere Giovan Battista Ciardi si dedicò alla produzione di questi vasetti, durata fino a dieci anni fa, quando iniziò appunto l'inquinamento della cultivar.

Anche le suore del Convento di santa Rosa ne curavano la coltivazione e la preparazione.  

Tra i produttori delle “Pastinache”, è stato anche il signor Zolla, che consegnò le ultime sementi ad un frate di Vitorchiano, pregandolo di preservare questa qualità di prodotto orticolo. Purtroppo questo non avvenne, per cui nella nostra zona di origine sono scomparse. Grazie ai documenti, agli scritti del passato oggi si è in grado di risalire alla ricetta prelibata di queste carote che erano riservate quasi esclusivamente all'accompagnamento del bollito di carne e pesce.

Per prepararle occorreva tagliare le carote a fette longitudinali, farle seccare al sole e lasciarle a bagno in aceto per alcuni giorni, quindi farle insaporire a caldo in una salsa agro-dolce, composta di aceto, zucchero, chiodi di garofano, noce moscata e, a seconda dei gusti, con aggiunta anche di cioccolato, pinoli, uvetta e canditi.

La conservazione avveniva in recipienti di coccio tenuti coperti semplicemente con un panno o, nel caso di lunga conservazione, in piccoli vasetti sigillati. Di recente le carote viterbesi sono ritornate alla ribalta grazie alla famiglia di un noto professionista Francesco Pasquini dell’Azienda Vita Nova, una delle poche ed ultime a custodirne gelosamente il seme e che pazientemente riesce ancora a raccoglierne la quantità sufficiente per mantenere la tradizione casalinga di questo piatto.

Non meno interesse ha Luca Ingegneri, titolare dell’Azienda agricola La Cisterna di Vetralla in Località Marchionato, che ha realizzato e messo in vendita le Carote di Viterbo con l’amore e la saggezza che nasce da un cuore innamorato delle nostre tradizioni alimentari. Difficile la ricerca dei semi delle carote color viola, quasi scomparsi, ma Luca ce l'ha fatta, ne ha trovati, piantati e raccolti per ridare al palato la carota adatta ad arricchire i bolliti.

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