Centeno frazione del Comune di Proceno STORIA
Micaela Merlino

La dogana pontificia a Centeno, in cui Galileo Galilei dovette sopportare un periodo di quarantena nel 1633

Il famoso matematico, fisico, astronomo e filosofo Galileo Galilei, nato a Pisa nel 1564, nel corso della sua travagliata esistenza di scienziato si recò per ben sei volte a Roma.

La prima volta vi giunse nel 1587 all’età di 23 anni, per convincere il Gesuita Cristoforo Clavio del Collegio Romano a fargli ottenere un incarico come matematico in una prestigiosa Università.

La seconda volta partì da Firenze il 23 marzo 1611 e vi giunse il 29 successivo, ospite dell’Ambasciatore di Toscana.

Galileo Galilei

Tra la fine di Novembre e gli inizi di Dicembre del 1615 si recò per la terza volta a Roma, per cercare di impedire la condanna della teoria eliocentrica copernicana da parte della Chiesa Cattolica.

La quarta volta partì per Roma il 10 aprile 1624, giungendovi il 23 successivo e restandovi fino ai primi giorni di Giugno.

In questo lasso di tempo fu ricevuto sei volte da Papa Urbano VIII (Maffeo Barberini), ma nonostante i ripetuti tentativi non riuscì a far revocare la condanna della dottrina copernicana. Dal 1624 Galileo aveva iniziato a scrivere un trattato di cosmologia al quale lavorò fino al 1630. La struttura dell’opera dal titolo “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, è appunto una conversazione intrattenuta da tre personaggi sulle due principali teorie cosmologiche, quella tolemaica e quella copernicana.

I difensori della teoria copernicana sono due amici di Galileo, all’epoca già defunti da alcuni anni, il fiorentino Filippo Salviati e il veneziano Gianfrancesco Sagredo, mentre un terzo personaggio è di fantasia, Simplicio, così chiamato perché in modo semplicistico è assertore della teoria tolemaica.

Galileo intraprese il quinto viaggio verso Roma il 3 Maggio 1630, per ottenere dal Papa il permesso di stampare la sua opera, ma non riuscì nel suo intento, cosicchè il 26 Giugno ripartì per Firenze.

L’imprimatur fu accordato nel 1632, ma l’Inquisizione vigilava attentamente, e poco dopo Papa Urbano VIII si pentì di aver accordato il permesso, tanto che il 25 luglio 1632 proibì di continuare a stampare il libro.

E’ a seguito di questi eventi che di lì a poco Galileo fu costretto ad intraprendere un nuovo viaggio. Infatti, il 23 settembre 1632 l’Inquisizione gli ordinò di recarsi a Roma, per comparire entro il successivo Ottobre davanti al Commissario Generale del Sant’Uffizio.

Lo scienziato era ormai avanti negli anni e non godeva di buona salute, cosicché in suo favore intervenne l’Ambasciatore di Toscana Francesco Niccolini, che cercò di dissuadere il Papa dal proposito di imporre a Galileo un tale incomodo.

In una lettera che il Niccolini scrisse ad Andrea Cioli, Segretario di Stato del Granduca di Toscana, si viene a conoscenza della sua opera di mediazione intrattenuta con il Cardinale Ginetti al quale fece presente “...la sua età di 70 anni, la poca sanità, ed il pericolo della vita a mettersi in viaggio, ed in quarantene fuori della sua piccola camera, e fuor d’ogni comodità”. Ma gli fu risposto che Galileo sarebbe potuto giungere a Roma “pian piano in lettiga e con ogni suo comodo”. Costretto dunque all’obbedienza, il 20 Gennaio 1633 Galileo partì in lettiga da Firenze alla volta di Roma.

Tuttavia a complicare il viaggio, già tormentato dai disagi fisici e dalla preoccupazione di doversi presentare davanti all’Inquisizione, intervenne anche il fermo che gli fu imposto quando raggiunse il confine con lo Stato Pontificio. Infatti, nel 1633 in Toscana imperversava una epidemia di peste, perciò lo Stato Pontificio aveva preso delle misure di sicurezza per difendersi dal contagio: impedire ai viaggiatori di entrare senza sottoporsi a controlli sanitari.

Galileo dovette sopportare un periodo di quarantena, durante il quale fu verificato il suo stato di salute per escludere un eventuale contagio, e permettergli così di continuare il suo viaggio. La lettiga dello scienziato fu fermata a Centeno, una piccola frazione del Comune di Proceno (VT), che si trovava lungo l’antica via Francigena e dove aveva sede la Dogana Pontificia, perché qui passava il confine tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana.

C’erano la stazione di posta, la locanda, il carcere e il lazzaretto. Stando a quanto scrisse Galileo stesso in una delle sue lettere, il forzato soggiorno a Centeno fu sgradevole, sia per l’umile alloggio che gli fu riservato, sia per il vitto assai scadente, perché tutti i giorni dovette accontentarsi di mangiare uova.

L’edificio della Dogana Pontificia è ancora esistente, mentre l’antica stazione di posta ospita ora un ristorante.

Nonostante l’oblio causato dal trascorrere del tempo, la “Società Italiana di Fisica” ha voluto ricordare il soggiorno del grande scienziato apponendo una targa commemorativa nella cui iscrizione si legge: “In Memoria / di Galileo Galilei/ (1564-1642)/ rinnovatore della scienza / che obbligato dalla inquisizione a presentarsi a Roma, / dovette soggiornare in questo umile luogo / “i giorni della sua contumacia e quarantena”/ dal 23 gennaio al 10 febbraio 1633 / a causa della epidemia di peste presente in Toscana / (a cura della Società Italiana di Fisica)”.

Finita la quarantena, Galileo riprese il viaggio e il 13 febbraio 1633 giunse a Roma.

Il processo cominciò il 12 aprile davanti al domenicano Vincenzo Maculano, un secondo interrogatorio si svolse il 30 aprile, poi ne seguirono altri fino a quello conclusivo del 21 Giugno.

In tutti Galileo si difese dall’accusa di aver avvalorato la teoria eliocentrica copernicana nella sua opera “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, affermando sempre di aver voluto presentare le ragioni della teoria tolemaica e di quella copernicana senza propendere per quest’ultima, in obbedienza alla proibizione che la Chiesa gli aveva imposto già dal 1616.

Come è noto, il 22 Giugno nella Sala Capitolare del convento domenicano di Santa Maria Sopra Minerva Galileo si trovò ancora faccia a faccia con i Cardinali inquisitori. Tra questi è da ricordare Laudivio Zacchia, già Vescovo di Montefiascone e Corneto dal 1605, che dal 1626 era stato elevato a Cardinale, il quale però non sottoscrisse la sentenza di condanna comminata a Galileo.

Lo scienziato abiurò, gli fu proibita la stampa della sua opera “Dialogo sopra di due massimi sistemi del mondo”, fu condannato al carcere e alla recita settimanale per tre anni dei sette salmi penitenziali. Mentre a Centeno Galileo era stato costretto ad un disagevole soggiorno coatto a causa della pestilenza, ora dopo la condanna la Chiesa voleva infliggergli la dura detenzione nel carcere del Sant’Uffizio.

Fortunatamente intervenne l’Ambasciatore di Toscana Niccolini, che riuscì a convincere il Papa a riservare allo scienziato un trattamento più clemente. A seguito di tale concessione Galileo per alcuni mesi fu agli arresti domiciliari nel Palazzo dell’Ambasciatore a Trinità dei Monti. Quindi Urbano VIII gli permise di trasferirsi a Siena nella casa dell’Arcivescovo Ascanio Piccolomini.

Ma i travagli e gli spostamenti dello scienziato non erano finiti, perché poco tempo dopo il Papa, per mettere fine alle dotte discussioni scientifiche che l’Arcivescovo incoraggiava in Galileo, gli ordinò di ritirarsi nella sua villa di Arcetri vicino Firenze, con l’obbligo di ricevere soltanto le visite autorizzare dei familiari.

Scampato alla peste del 1633, sopravvissuto alla dura Inquisizione che lo minacciò di tortura, animato sempre da vero amore per la scienza ma amareggiato per l’abiura, segnato nel profondo dell’animo dalla precoce morte dell’amata figlia suor Maria Celeste (al secolo Virginia), avvenuta il 2 Aprile 1634, Galileo si spense in solitudine nel suo esilio domestico l’8 Gennaio 1642.