Viterbo STORIA
Alberto Minissi

Viterbo 20 gennaio 1944 

Sebbene Viterbo fosse stata velocemente superata dalla linea del fronte, più di qualsiasi altra città a sud della Linea Gotica subì danni gravissimi a causa dei quasi 800 bombardamenti aerei che la colpirono fra l'estate del '43 e il giugno del '44. 

Il suo volto antico, frutto della millenaria sequenza di stili, e la struttura urbanistica, organica e straordinariamente integra, ne uscirono sconvolti. Le perdite umane e le distruzioni le valsero nel '59, il giusto riconoscimento di "città mutilata dalla guerra". 

La sequenza ininterrotta e violenta di attacchi mirava al grande aeroporto occupato dai tedeschi, al nevralgico nodo stradale sulla Cassia con le diramazioni verso il mare e alle stazioni ferroviarie.

Furono però colpiti inestimabili tesori d'arte e di storia come le chiese di S. Francesco, S. Sisto, e della Verità, il quartiere di Piano Scarano, Porta Fiorentina, Porta Romana e non fu risparmiata nessuna zona della città. Quando, la guerra finì e si poté tracciare il triste bilancio, 600 case erano state distrutte dai bombardamenti, 300 gravemente danneggiate, 1500 colpite più lievemente.

E pesante fu il bilancio dei morti: 1071 in provincia di cui ben 245 in città.

La Chiesa di S. Francesco distrutta dalle bombe

Nelle incursioni aeree alleate che misero Viterbo in ginocchio, si possono distinguere, a grandi linee, tre fasi: estate '43, gennaio-febbraio 44', maggio-giugno '44. Proprio il 29 luglio '43, alle 14.00 circa, mentre i più stavano tranquillamente riposando nel caldo pomeriggio, risuonò nel cielo della città il fragore delle prime bombe cadute sull'aeroporto e, poco dopo, il suono delle sirene che avrebbe teoricamente dovuto avvertire in anticipo del pericolo.

Un'enorme nuvola di fumo si levava dai depositi di carburante, oscurando il cielo. Sgomento e paura, ma nessun morto. Viterbo entrava così nel vivo della guerra senza essere che virtualmente predisposta a subire attacchi che andarono crescendo di intensità.

Volantino gettato su Viterbo dagli aerei americani

Il primo bombardamento sull'abitato fu nella notte di ferragosto del 1943 quando alcune bombe, malgrado la fortissima reazione contraerea della divisione tedesca Erman Goering, di passaggio per Viterbo, colpirono la zona tra Piazza Fontana Grande e S. Leonardo arrecando modesti danni. 

Ma un giorno rimane drammaticamente scritto nella storia di Viterbo, il 17 gennaio 1944.

La Chiesa di S. Sisto e Via Garibaldi distrutte dalle bombe

Alle 13.15, ora di massimo affollamento nella zona tra le stazioni di Porta Fiorentina e Porta Romana e la Chiesa di San Francesco, una violenta incursione miete numerose vittime tra i cittadini e i pendolari che non hanno via di scampo, provocando oltre duecento morti e qualche centinaio di feriti.

A questa incursione seguirono 5 mesi di calvario in cui la città e la provincia furono martellate da bombardamenti e mitragliamenti; il transito lungo le strade, spesso funestato da morti, costituiva un costante pericolo. Si univa all'orrore della guerra la difficoltà di approvvigionamento e quindi il continuo assottigliarsi delle razioni distribuite con le tessere annonarie. In questo stato di precarietà, aggravato dal problema dei senza casa e degli sfollati, ci si avvia all'ultima fase dei bombardamenti.

Dopo la mezzanotte del 25 maggio '44, circa 70 bimotori inglesi "Wellington", attaccarono la città. Per la prima volta in Italia gli inglesi usarono bombe da due tonnellate: fu un'ora di incubo per i viterbesi rifugiati nei sotterranei mal protetti o addossati ai muri maestri delle loro case, coll'orecchio teso a carpire il sibilo delle bombe.

In questa e nelle incursioni incessanti dei giorni seguenti vaste aree della città furono ridotte in macerie. Particolarmente colpita la zona compresa tra Piazza Fontana Grande, Porta Romana e Porta della Verità. Proprio in quei giorni furono sbriciolati antichissimi monumenti come il complesso monumentale di Santa Maria in Gradi, la Cattedrale e i magnifici palazzi gentilizi che avevano sfidato i secoli.

Gravi furono le perdite umane cui seguì l'esodo in massa che lasciò Viterbo muta e deserta. Il 5 e 6 giugno, in pieno giorno, fu la volta dci bombardieri americani.

Fino al 7 giugno sulla città volteggiarono aerei che mitragliavano le colonne in ritirata. Non si sapeva se i tedeschi avrebbero resistito in città o ripiegato a Nord. Poi, all'alba del 9 giugno giunsero le prime pattuglie americane. Nella notte i tedeschi si erano ritirati.

La provincia di Viterbo, se si escludono alcuni scontri nei dintorni di Monte Romano e Bagnoregio, non fu quindi teatro di rilevanti battaglie. I bombardieri costrinsero infatti i tedeschi ad abbandonare il primitivo piano di attestarsi sulla linea Civitavecchia-Viterbo-Terni, sfruttando a mo' di baluardo i rilievi dei Monti della Tolfa e dei Cimini. Tuttavia sia le truppe tedesche sia poi gli alleati scelsero la piana intorno a Bolsena come sede per gli alti comandi e lo stazionamento delle truppe a riposo.

La presenza a Bolsena del quartiere generale del comandante del Corpo di Spedizione Alleato in Italia, Maresciallo Alexander, condusse nella Tuscia fra il giugno e il luglio del '44 illustri personaggi come il Maresciallo Tito, Sir Winston Churchill, il ministro sovietico Bogomoloff ed il Re d'Inghilterra Giorgio VI, padre di Elisabetta II.

Questi, rispettando i canoni del "turismo bellico" caro agli inglesi, apprezzò moltissimo Bolsena e Viterbo, visitando qui la Chiesa del Gesù dove nel 1272 era stato proditoriamente assassinato Enrico di Cornovaglia, suo antenato.

Con l'arrivo delle truppe americane i viterbesi cominciarono a tornare. Ciascuno cercava, dove era stata la sua casa, qualche frammento della vita passata e tutti furono subito intenti a sgombrare le macerie, ad abbattere i muri pericolanti e poi a ricostruire, mattone per mattone, pazientemente, la casa perduta.

Il Giornale del Mattino del 7 dicembre 1945 scrive che durante la guerra, a Viterbo, l'allarme aereo era suonato 785 volte.

L'ingegnere capo V. Franceschi, con il resoconto finale redatto nell'anno 1960 per istruire la pratica per il riconoscimento di “Città mutilata”, dichiarò: “Si certifica che la città di Viterbo ha subito le seguenti percentuali di distruzioni e danneggiamenti alle case di abitazione, chiese, scuole, uffici pubblici, in seguito agli eventi bellici del 1943-1944”. 

Questi i numeri: case di abitazione 60%; edifici di culto 100%; edifici scolastici 100%; edifici pubblici 100%.

Il sindaco Domenico Smargiassi, poi, completò il rapporto indicando in 1096 le vittime dei bombardamenti aerei precisando che “Al numero di tali morti si deve aggiungere che da recenti scavi eseguiti nelle zone di Viterbo colpite dai bombardamenti aerei sono state rinvenute altre salme di sconosciuti; è quindi da presumere con fondatezza l'esistenza di un altro numero imprecisato di cadaveri insepolti”.

Dopo i pesanti bombardamenti l'unica ferrovia funzionante è la Roma Nord: grandi sono le difficoltà di comunicazione per lo stato delle strade e la mancanza di macchine. Ne consegue un approvvigionamento scarso e incostante, anche se l'economia prevalentemente agricola del viterbese, consentiva alla popolazione condizioni di vita migliori di quelle offerte dalle città più grandi. In tutti rifiorisce la speranza, la voglia di risorgere e di vivere. Si comincia ad ipotizzare un quadro di ricostruzione della città.

A distanza di tempo vediamo che le cose sono andate in modo molto diverso da quello che prospettava il Piano Regolatore dell'architetto Piraino che sembrava mirare ad una soluzione unitaria e proiettata verso sbocchi futuri della ricostruzione, né il successivo Piano Regolatore Salcini-Smargiassi darà ordine ad una urbanizzazione condotta, in realtà, senza grandi direttive generali, né prospettive organiche ad ampio raggio.

 

Marzo 2016

tratto dal sito https://sites.google.com/site/famigliaminissi/bombe-su-viterbo

 

 

 

 

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