Viterbo STORIA
Stefano Aviani Barbacci

La Corvetta cilena “Rosa de los Andes” affronta nel Pacifico le navi spagnole

Gli anni delle indipendenze nazionali dei Paesi latinoamericani videro il Cile ricorrere a navi corsare per contrastare la minaccia portata alla giovane repubblica dalla flotta spagnola.

Una di queste ebbe grande successo nell’attaccare, tra il 1819 e il 1820, navi e presidi nemici nel Pacifico e lungo tutta la costa occidentale dell’America meridionale, con ciò contribuendo anche al successo del moto indipendentista di Simón Bolívar in Colombia.

Celebrata oggi come un simbolo dell’indipendenza, questa imbarcazione si chiamò Rosa de los Andes, con un riferimento alla nostra Patrona storicamente interessante e che vale la pena di approfondire. La “Historia de la marina de Chile”, di Carlos López Urrutia, ce la descrive come una Corvetta di 400 tonnellate, dalla struttura robusta e dalla considerevole potenza di fuoco per una nave della sua classe: 36 cannoni da 18 e 12 libbre, distribuiti su due batterie.

Acquistata in Inghilterra, salpò nel 1818 dalla foce del Tamigi per Valparaíso dove si reclutò un composito equipaggio di marinai e fanti di marina cileni, francesi e irlandesi. Comandante della nave fu il capitano inglese (poi naturalizzato cileno) John Illingsworth, un veterano delle guerre napoleoniche. Pare che la Corvetta già si chiamasse Rose e se questa circostanza è vera se ne ricava una coincidenza sorprendente considerato il nome col quale fu poi ribattezzata.

Chi avesse letto “Santa Rosa viterbese sulle Ande: una santa bambina nella transizione del nuovo mondo verso l'età moderna” (qui pubblicato in data 07/06/17) ricorderà che Rosa de los Andes identificava in Cile la nostra Patrona. Una conferma ci viene da Los Andes, città fondata nel 1791 col nome di “Villa Santa Rosa de los Andes” a motivo della missione francescana di Curimón, già stabilita sotto la protezione di Santa Rosa de Viterbo per l’evangelizzazione della regione andina.

  

Il selvaggio Paidahuen domina tra fertili campi coltivati la Valle dell’Aconcagua 

Il contesto geografico è la Valle dell’Aconcagua, 150 km a nord di Santiago del Cile, di particolare rilevanza per la storia di quel Paese e che gli studiosi cileni considerano come la culla della loro nazione, il crogiuolo dove si realizzò quel “cruce de sangres y símbolos” (di cui scrive l’antropologa Sonia Montecino) dal quale scaturì, prima ancora dell’emancipazione dalla Spagna, un popolo nuovo dalle caratteristiche spiccatamente meticce: il popolo cileno.

La Parroquia de Indios a Curimón è documentata dal 1583 (o dal 1585). I nativi erano i bellicosi Picunches e il Paidahuen, sull’opposta riva del Rio Aconcagua, era la loro collina sacra. Di lì osservavano il movimento degli astri nonché il cammino di chi risaliva il corso del fiume diretto al valico della Cordigliera. Oggi è un frammento di territorio selvaggio, disseminato di piante spinose, sassi ed enigmatici petroglifi, nel mezzo di un territorio fertile coltivato a vigne e frutteti.

Tra il 1620 e il 1696 la missione di Curimón divenne il Convento de Santa Rosa de Viterbo e, da qui, una più numerosa comunità si adoperò a percorrere la regione andina per combattervi le persistenze idolatriche del culto indigeno (culto oracolare e culto sacrificale). Fu dunque nel ‘600 che Rosa da Viterbo dovette affermarsi come Rosa de los Andes, vale a dire la Patrona delle montagne, un titolo che oggi si attribuisce alla cilena Teresa de Auco, di recente canonizzazione.

Chi scrive ha avuto modo di riconoscere, questa estate, molteplici tracce di questo passato: non solo il convento, che di Rosa accoglie una significativa statua della fine del ‘600, ma anche un dipartimento della valle, una strada (a Los Andes) e una frazione di 15 case a lei titolati. Dopo il terremoto del 1965 Curimón non ha più ospitato religiosi e, nel 1971, il governo cileno ha acquisito il Convento de Santa Rosa de Viterbo come “monumento storico di interesse nazionale”.

 

L’Ejercito Libertador, valicate le Ande, arriva al convento di Santa Rosa de Viterbo

Se oggi la chiesa è pericolante, il chiostro e i locali connessi sono accessibili e accolgono un museo d’arte coloniale. Una fraternità di “terziari” del posto (titolata a Santa Maria degli Angeli) se ne prende cura e quando lo abbiamo visitato si concludeva un ritiro spirituale. Abbiamo chiesto a una gentile signora di poter vedere la statua della nostra Patrona e ci ha colpito ascoltare dalle sue parole che la si chiama affettuosamente “Rosina”, proprio come ancora si sente dire nella nostra città.

Posto lungo il percorso del Paso de la Cumbre (sul Camino Real del Oeste), il convento accolse gli ufficiali dell’Ejercito Libertador (patrioti argentini ed esuli cileni) che nel 1817 avevano valicato la Cordigliera per suscitare il moto indipendentista anche in Cile. Protesse, dunque il riposo di José de San Martin e di Bernardo O’Higgins, i padri della patria dell’Argentina e del Cile. Qualche vecchio cimelio (sciabole e fucili) e un ingenuo dipinto ci ricordano ancor oggi quei fatti.

Si racconta che l’avanguardia dei patrioti fosse stata invitata ad un lauto banchetto approntato presso il Paidahuen da gente del posto, temendo però un inganno si decise di riparare nel Convento de Santa Rosa de Viterbo. Era il 2 Febbraio 1817. Andato deserto il ricevimento, si chiamò quel luogo “el Cariño Botado” (la cortesia rigettata). Sconfitti i realisti a Chacabuco (il 12 Febbraio), i patrioti finanziarono loro stessi (con una trattenuta di 1/3 dagli stipendi) l’acquisto della nave il cui nome sarebbe stato: Rosa de los Andes.

Dunque, la presenza della Rosa viterbese a Curimón abbraccia anche l’epoca in cui il Cile divenne una nazione. Che Rosa avesse avuto parte nelle contese politiche del suo tempo lo sanno bene i Viterbesi che ne ricordano l’esilio a Soriano e la ferita da freccia nell’assedio del 1243. Un’eroina, dunque, anche in senso “civico”. E questo non fu dimenticato nelle Americhe, dove la predicazione francescana ne fece un modello di battagliero coraggio e (come si usava dire) di “espíritu varonil”.

Ciò non stona affatto col nome Rosa de los Andes attribuito a una Corvetta che era stata acquistata col denaro raccolto da patrioti ed esuli che proprio nel convento di Rosa da Viterbo avevano trovato un rifugio e che divenne poi un simbolo della libertà del Cile.

PER APPROFONDIRE

Chiara Aviani Barbacci, Stefano Aviani Barbacci. “Santa Rosa viterbese sulle Ande. Una santa bambina nella transizione del nuovo mondo verso l'età moderna”, 07/06/2017.

http://www.lacitta.eu/storia/28856-santa-rosa-viterbese-sulle-ande-una-santa-bambina-nella-transizione-del-nuovo-mondo-verso-l-eta-moderna.html

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