La Fiera a La Quercia nel 1900
(Archivio Mauro Galeotti)

La Quercia STORIA

L'amico Gianfranco Ciprini, querciaiolo, o meglio cerquarolo, di La Quercia detta popolarmente La Cerqua, massimo conoscitore di quel meraviglioso villaggio, a due chilometri da Viterbo, mi invia, con la solita gentilezza che lo distingue, le notizie sulle fiere che animavano il Campo Graziano, unito a La Quercia.

L'area ormai ha modificato notevolmente il suo aspetto originale, infatti, dove un tempo nitrivano i cavalli, muggivano le vacche e i tori, ragliavano i somari, è un bel prato alberato, con giochi per i bambini, le panchine, il campo di basket, di bocce, una pista di pattinaggio e le abitazioni, tante, troppe.

Una realtà molto differente, sconvolgente, specie se ripenso a quando ero ragazzo e andavo alla fiera, la mia fiera era già motorizzata, ossia, gli animali venivano trasportati sul luogo con i camion, ma un tempo le mandrie raggiungevano Campo Graziano a piedi, guidate sapientemente dai butteri che, col lungo bastone in mano, riuscivano a guidare e dirigere, nelle giuste direzioni, decine e decine di capi di bestiame.

Oggi, l'ho detto, nessun nitrito, nessun muggito, nessun raglio, vince il gridare gioioso dei bambini suoi loro giochi, interrotto dal rombo di qualche moto o di qualche auto che distrattamente transitano in quel luogo, molto spesso ignari che lì c'era la vita di decine e decine di contadini, di allevatori, di mediatori.

Un passato che alcuni dimenticano, ma che appassionati studiosi come Gianfranco Ciprini, fanno diventare presenti con le ricerche pubblicate, perché non si perda la memoria.

Gianfranco grazie!

Mauro Galeotti


Le fiere di bestiame della Madonna della Quercia a La Quercia


di Gianfranco Ciprini


In un libro intitolato “Notizie istoriche  sull’origine delle Fiere nello Stato Ecclesiastico” scritto da G. Monti nel 1828 si legge:  

“… Nella gran piazza innanzi a questo Santuario vi sono in simmetrica forma molte case, con una fontana nel mezzo, e con altre case intermedie, presso delle quali si trova il gran campo Graziano, che presenta varj punti di colline ed un lungo fontanile da una parte.

Il perfetto piano regolatore della Quercia

VT159  La Quercia part.  Catasto Gregoriano, A. S.  VT - 1870

Nelle botteghe sotto le descritte case sono situati tutti i Negozianti, che due volte l'anno concorrono alla fiera, come in detto campo nelle stesse circostanze si fa vendita di Bestiame di ogni sorta. Di antichissima istituzione è questa fiera.

Federico Il Imperatore nel 1240 la concesse alla città di Viterbo...

Un'altra poi fu accordata per la festa di Pentecoste, ed ambedue ebbero varie, e diverse epoche.

Si osserva che la S. M. di Giulio II, nel 1503,  stabilì, che la fiera di Settembre si celebrasse nel campo Graziano, franca da ogni dazio, e gabella, da durare Otto giorni prima della festa della Natività di Maria Santissima, ed otto dopo.

Leone X nel 1513 credendo più opportuno tempo di fiera nella Pasqua di Pentecoste soppresse quella di Settembre, e la stabili per 15 giorni innanzi, e dopo Pentecoste, colli medesimi privilegi.

Paolo III nel 1534 restrinse la fiera di Pentecoste a giorni Otto innanzi e dopo, e ripristinò quella di Settembre, restringendo il tempo anche a questa fino alli cinque giorni avanti, e dopo la Domenica fra l'ottava della Madonna.

Reclamando però la città, che in  tanto breve spazio di tempo non si potevano effettuare i contratti, mancando anche il tempo per ritirare le merci, prima di spirare la franchigia la prorogò di altri tre prima, e dopo, ed in tutto sedici giorni.

Gregorio XIII con suo breve delli 9 Settembre 1579 confermò le suddette fiere colla variazione del principio, e termine, ordinando che si celebrasse quella di Pentecoste quattro giorni innanzi la festa per terminare dodici dopo, e così con lo stesso turno quella di Settembre nella domenica appresso la Natività.

Bando ddella Fiera del 1847


Eletto in Pontefice Clemente VIII, nell’anno secondo del suo Pontificato con breve delli 3 Giugno 1593, ordinò, che la fiera di Settembre avesse principio il giorno 12 del detto mese, e terminasse il giorno 4 Ottobre festività di S. Francesco, colle solite esenzioni, e privilegi, accordando di più ai negozianti di poter lasciare le merci invendute nei magazzini dei Padri Domenicani da una fiera all'altra sotto la loro cura, e custodia, bene inteso che ad ogni collo vi fosse posto esteriormente un bollo, e che se fuori di dette epoche lo avessero levato, fosse assoggettata la merce al dovuto Dazio.

Clemente XIV con suo breve delli 31 Agosto 1772  confermò tulle le disposizioni di Clemente VIII, tanto in ordine alla durata delle medesime, ed ai privilegi, quanto al permesso da ritenersi dai Religiosi in deposito le merci da una fiera all'altra. 

In queste fiere, che prima della sistemazione delle dogane ai confini dello Stato non erano regolate dai sistemi, e leggi di finanza, a pochi Dazi erano sottoposte le merci, e solo signoreggiavano per franchigia i pesi comunitativi .

Ora però restando ferme le dette esenzioni, sono sottoposte al vincolo delle assegne, ed assistite da un competente ministero dl finanza che vi si porta espressamente da Roma.

 

 

 

Foto e cartoline  Fiera fine 1800 inizio 1900

(Ringrazio sentitamente Mirio Marini,amico fraterno da tempo nella pace del Signore,  Mauro Galeotti , Valerio Giulianelli e Mauro Ciprini per avermi messo a disposizione le loro collezioni)

La fiera non è cresciuta dai primi tempi di concorso di negozianti, ma si mantiene con un sufficiente numero, e segnatamente di Ebrei, per ogni sorta di tessuti, come vi concorrono quasi tutti quelli di Viterbo lasciando per qualche tempo le botteghe di città.  

Reca altresì grandissimo vantaggio agli abitanti dei luoghi circonvicini ed a tutti quelli del Patrimonio, della Sabina e Comarca che vi portano le tele, i comestibili, ed altre picciole  manifatture.

 

Cartolina  Fiera fine 1800 inizio 1900

Superbo poi e di molto riguardo è il mercato di bestiami di ogni sorta che si forma nel Campo Graziano.

 Cartolina della Fiera del 1900

I Toscani vi fanno acquisto ai cavalli, ed anche di bestiame vaccino. Sono considerevoli i negoziati che vi si fanno dai nazionali, tanto nelle vendite, che nei cambj di bestiame, e dal felice risultato di questo commercio, tante volte dipende quello delle merci.

Cartolina della Fiera del 1910

Cartolina della Fiera del 1910

Questo campo così ricoperto da ogni sorta di bestiame da masseria, in mezzo a compratori, e venditori, di diversi colori vestiti, da varie capanne appositamente fatte dai vivandieri, fuori delle quali chi beve, chi mangia in piedi, o seduto in crocchio di uomini, e donne, presenta un colpo di vista sorprendente, particolarmente nel primo giorno dell'apertura della fiera, seconda festa di Pentecoste, essendo gli altri due delle consecutive Domeniche molto scarsi, e di poca considerazione, e così in tutto si osserva minore quella di Settembre. (G.. Monti- Notizie Istoriche sull'origine delle fiere dello stato Ecclesiastico-1828) 

 Foto della Fiera alla fine dell'800

Foto dell'ingresso al Villaggio de La Quercia durante la Fiera alla fine del 1800

Questo è, in linea di massima, lo sviluppo delle grandi fiere di merci e bestiame che si svolgevano alla Quercia fino a che nel 1978 non fu decretata la morte della fiera del bestiame; oggi le fiere di merci sono ridotte a mercatini rionali di infima categoria.

In quegli anni il Comune di Viterbo riuscì a fare ciò che non era riuscito negli anni precedenti: a trasferire la fiera a Viterbo e… a farla morire. Ci furono delle reazioni da parte di don Sante e di alcuni altri cittadini, ma poi le fiere ridotte a semplici mercatini rionali via via si estinsero. Ci provò anche la VII Circoscrizione che non riuscì a salvare le Fiere ma ottenne che Campo Graziano, si trasformasse in parco pubblico!!

 Foto della Fiera alla fine dell'800

Ci sono però da fare alcune osservazioni a quanto scritto dal Monti, ricavate da molti altri documenti consultati.

Da una lite tra il Comune di Viterbo ed il Convento della Madonna della Quercia, circa la libertà dal dazio della “Foglietta” [nome dato a circa mezzo litro di vino] e della “porchetta” risulta che:

è vero che Leone X con un breve datato XII gennaio 1516 aveva spostato la fiera di Settembre a Maggio e aveva permesso che fosse fatta sia a Campo Graziano come a Viterbo, ma successivamente volle con un altro breve del 3 agosto 1520 che la fiera fosse effettuata solamente a Campo Graziano:

“LEO P.P. X

Dilecti Filii Salutem, & Apostolicam Benedictionem.

Licet per alias nostras Litteras  in forma  Brevis Sub  data. XII  Januarii  MDXVI.

Quod Nundinas per decern dies Kalendis Septembris singulis annis juxta concessionem Julii Secundi Vobis concerssas non per decem dies, sed per quindecim ante Festum Pentecostes inchoandas, & per quindecim dies post ipsum Festum finiendas non solum in ista nostra Civitate, verum etiam in campo Gratiani prope Ecclesiam Sanctae Mariae de Quercu, & alias juxta  feriem  Litt­eratum Julii praefati prorogaverimus concesserimusque;

Tamen ut nuper Nobis  per homines exponi fecistis;

Intelleximus , quod hujusmodi Nundinae si sicut praemittitur celebrentur non in utilitatem , sed maximum damnum redire noscuntur;

Nam dum Mercatores hac nancta occasione, quia  sine solutione Gabellae Merces in Civitatem ipsam afferre posse cognoscunt etiam ex longinquis partibus  advenctas non Nundinarum grascia;

sed ut Viterbii toto anni tempore eas vendant, his diebus in ipsam Civitatem immittunt, & sic fraus sit, & damnum Gabellisvestris ingeratur;

Proinde super hoc de aliquo opportuno remedio providere dignaremur humiliter supplicari fecistis.

Nos itaque indemnitati Vestrae procedere volentes hujusmodi  supplicationibus inclinati harum feriem dictas Litteras earum tenores, & continentias praesentibus pro sufficienter expressis habentes;

uctoritate Apostolica tenore praesentium statuimus, & ordinamus, quod de caetero perpetuis futuris temporibus dictae Nundinae non in Civitate Viterbien.

Sed in dicto Campo Gratiano, et ejus districtu, & per septem dies videlicet per duos ante , et quinque post dictum festum singulis annis dumtaxat celebrentur
;

Ita quod omnis, quae tempore Nundinarum hujusmodi in dicto campo, & illius Districtu deferentur, libere & absque alicujus Gabellae solutione, deferri, rendi, & inde asportari possint, ea vero, quae ex dicti nundinis aliunde advecta in istam Civitatem asportari
contigerit, vino, & animalibus vivis exeptis;

In quibus concessio alia facta locorum habeat solitae Gabellae subjaceant, & pro omnibus illis cujuscumque generis Merces ipsae, seu usualia fuerint debita Dohana solvatur, & solvi debeat.

Praedictis Licteris, & aliis in contrarium non obstantibus quibuscumque.

Datum Romae apud S. Petrum sub anulo Piscatoris die 3 Augusti MDXX, pontificatus Nostri Anno 8.

Spesso ci furono liti tra il Comune di Viterbo ed il Convento della Quercia per la libertà delle fiere  da ogni tassa comunale, e sempre i frati riuscirono a spuntarla tanto che le Fiere della Quercia erano “libere e franche“ come quelle di Farfa e di Senigallia.

A tal proposito esiste, in un volume dell’archivio della Basilica, una nota del 29 aprile del 1775 in cui è scritto:

“…Noi sottoscritti e richiesti per la verità attestiamo anche col mezzo del nostro giuramento, che in occasione delle due fiere dette della Quercia che si fanno per la festività delle Pentecoste e rispettivamente per la festa di S.Matteo [21 settembre] di ciascun anno precedentemente dette feste e quando entra la franchigia, è stato sempre solito dalli padri dell'ordine di san Domenico del convento sotto detto titolo della Madonna Santissima della Quercia d’innalzare sopra il campanile della loro chiesa un’antica bandiera coll’arme di detto convento e coll’immagine della Madonna Santissima esponendola in tal forma alla pubblica vista di tutti, per denotare detta franchigia, ritenendola così inalzata, e non levandola se non doppo e immediatamente terminata la franchigia medesima e tutto ciò possiamo testimoniare per averlo veduto con li nostri propri occhi e per aver anche inteso dire ai nostri maggiori essersi in tal forma sempre praticato..  [firmato]  Antonio Butij, Pietro Volpini, Benedetto Missini, Giacomo Martinozzi, Agostino Bracci, Gio.Francesco Rezzesi. F. Maria Borgassi “. (A.S.M.Q. vol. 506)

 

Cartolina della Fiera del 1900

 I privilegi delle fiere furono scolpiti, il 28 dicembre del 1625, in due cartelli alla base del campanile sotto l’orologio; in essi è scritto:

L'iscrizione sul campanile

L'iscrizione sul campanile

La fiera che si dice di Settembre comincia libera ai 19 di detto mese et dura tutto il giorno di S. Francesco, che è alli 4 di Ottobre, come appare dal Breve di Clemente VIII spedito alli 3 di Luglio del 1598, senza differenza alcuna intorno alle franchigie et esenzioni delle due fiere di Maggio e di Settembre.Tanto Gregorio XIII come Clemente VIII nelli loro amplissimi brevi vogliono che solo e nessun altro possa essere giudice competente se non Mons. Vescovo di Montefiascone o di Bagnorea o l’illustrissimo auditore di camera “, nel cartello di sinistra

e:

“La fiera che si dice di Maggio comincia libera quattro giorni avanti la Pentecoste et dura 12 giorni doppo, non vi computandoci i giorni feriali in honore di Dio e dei Santi, come ampliamente consta per concessione dei Romani Pontefici et ultimamente per Breve di Gregorio XIII di felice memoria, spedito ai 9 di Settembre 1579 nell'anno ottavo del suo pontificato“ in quello di destra.

 

Nel 1845 , il  giornale “L’Abum“ si interessa delle Fiere e scrive:

"…In due stagioni in cui la campagna è più gioconda, e più moderata l'atmosferica temperatura, questo villaggio acquista rapidamente e temporariamente un'af­fluenza di gente anche di men prossimi paesi, formasi si ricco emporio di variato commercio, che rappresen­ta una città improvisata.                                               

Cartolina della Fiera del 1900

Ciò avviene nei 15 giorni successivi al dì di Pentecoste, e nei 15 successivi alla festa di s. Matteo ai  21 settembre, chiamato perciò la prima epoca Fiera di Pentecoste, la seconda di s. Michele.

Cartolina della Fiera del 1900


In que’ giorni un immenso numero di buoi, vacche, cavalli, asini, porci, capre e pecore forse di 40 o 50 mila
cuopre tutta la collinetta e la valletta del pra­to della Quercia alle sponde d’un bel rivo, un grandio­so fontanile, ed in parte all'ombra di grandi alberi.

Il locale ribocca di bestiame e di popolo in continuo movimento onde per le progressive e variate accidentali­tà non potrebbe disegnarsi esattamente dal più abile paesista.

I fondachi sono pieni di pannine, seterie, oreficerie, chincaglie, oggetti di vestiario, lavori metallici, cordami e più altre specie di merci mentre in sulla piazza i saltimbanchi si attirano i maravigliabili campagnuoli, ed il mondo elegante co' suoi cocchi si aggira a frui­re di una campestre libertà, e spesso a spargere lampi di lusso, di bellezza e di galanteria.

 

   Foto della Fiera del 1900

Frattanto l’avidità del guadagno de' commercianti, il vapore dì bacco che trasparisce dalle faccie volgari, la varietà delle fisionoinie, le grida de' venditori, gli urti della folla ondeggiante  formano una scena, animatissima, variabilissima, piacevolissima…”. (tratto dall’Album. Roma anno XII p.306-307- 1845)  

Cartolina della Fiera del 1910

 

Cartolina della Fiera del 1910


Altre notizie sulle fiere le troviamo ancora nell’Archivio Storico della Madonna della Quercia:

“...Fu già arricchita questa santa casa [Chiesa della Madonna della Quercia]... con thesori spirituali e temporali e molti romani pontefici quali non contenti d’essere venuti personalmente a riverir quivi la gran Madre di Dio come apparisce nelle croniche del convento volessero allettare i popoli ancora a far l’istesso col mezzo d’una pubblica fiera da celebrarsi due volte l’anno nel Campo Gratiano attorno detta chiesa e convento facendo liberi et esenti da ogni genere di gabelle e pesi tutti quelli che vi si condurranno con qual si voglia sorte  di mercantie , animali et altre cose soliti a negotiarsi e mercantarsi in simile fiere come ampliamente appare da più brevi apostolici spediti sotto diversi tempi dalle felici recordi di Sisto IV, Giulio II, Leone X, Clemente VII, Paolo III, Pio IV, Pio V, Gregorio XIII e Clemente VIII sommi pontefici della gran madre chiesa universale, concedendo a dette fiere diversi privilegi confermati poi dal detto Clemente VIII … “. (Vol. 107 c.2)

“…Con dette concessioni dunque furno introdotti le fiere nel Campo Gratiano vicino la chiesa e convento si celebrano doi volte l’anno cioè una otto giorni avanti e otto giorni doppo la festa della Pentecoste e l’altra dalli 12 di settembre per tutto il giorno della festa di s. Francesco 4 d’ottobre come appare da suddetti brevi". (Vol. 107 c.3v )

Ma per commodità maggiore di mercanti negotiatori et altri come anco  per utile di detto convento furno conceduti  da padri diversi siti attorno detta chiesa  a livello a 3a generatione mascolina ad effetto di edificarvi botteghe o case  come  ne appariscono pubblici istrumenti  ne libri di detto convento , quali essendo stati fabbricati di mano in mano e ridotto il Campo Gratiano quasi in forma d’una terra habitabile per il numero di tanti alberghi vi si fanno hora solennemente e con gran concorso dette fiere…” . (Vol.107 c.11v)

Le memorie sono del notaio Biaggio Bassi, scritte il 17 maggio 1657.

 

La pianta delle botteghe nel 1749
(A.S.M.Q. Vol. 108)

Il notaio, nel fare l’elenco delle botteghe in fiera giunto alla n° 198 scrive:

“HOSTARIA GRANDE

Questa è l’hostaria grande appigionata con parte del prato oliveto et horto ivi contigui a Britio di Silvio per pigione di scudi 80 di moneta l’anno.

Non è soggetta ad altra giurisdittione e dominio che il medesimo convento e padri della chiesa della Madonna della Quercia, è libera et esente da ogni e qualsivoglia gabella peso e servitù e particolarmente dal pagamento del quatrino della foglietta non solo nel tempo delle fiere ma in tutto l’anno e stà sempre aperta per commodità di tutti quelli che vogliono hospitarvi, fu dotata di questo benefitio e privileggio da diversi sommi pontefici romani e specialmente dalla felice memoria di papa Gregorio XIII per un suo breve…

E di poi confirmato et ampliato dal felice ricordo di papa Clemente Ottavo per altro suo breve… e di questa immunità et esentione della medesima hostaria il sopradetto convento e padri sono stati sempre come sono di presente in quieto et pacifico possesso e da monsignore A.C. specialmente deputato per l’esecutione delle cose contenute et ordinate in detti brevi ne hanno ottenuto più sentenze favorevoli assieme con il mandato di mantenimento particolarmente nell’anno 1653 per gli atti del Trotti e se bene la Comunità della  città di Viterbo e suoi offitiali hanno preteso che detta hostaria fosse soggetta al pagamento della gabella del quatrino della foglietta imposta dalla felice memoria di papa Sisto V in virtù del chirografo e bolla sopra ciò spediti con tutto ciò  detta pretensione si è resa vana perochè detti chirografo e bolla non comprendono in modo alcuno la detta Hostaria come privilegiata et esentata da altri sommi pontefici perché se l’intentione del medesimo Sisto V fosse stata diversa haverla fatta espressa mentione in detta bolla della derogatione degli esenti e liberi dal che ne segue la conclusione indubitata che detta Comunità e città di Viterbo… non hanno mai acquistato come non gli compete attione di sorte alcuna in detta hostaria e suoi conduttori et affittuarij tanto in tempo di fiere come in qualsivoglia altro, ne alcun giudice può esser giudicato in contrario stante la clausola sublata et il decreto irritante di detti bravi anzi che li medesimi chiesa convento e padri e da loro dipendenti per il continuato e pacifico possesso di tanti e tanti anni dell’immunità at esentione di detta hostaria hanno prescritta la libertà di non pagare detta gabella a meno di non soggiacere ad altra servitù o peso". (vol.107 ) 

 

Il campo della Fiera e l’“Hosteria Grande” nel 1656
(A.S.M.Q. Vol. 107)

Anche Giuseppe Signorelli, uno dei più grandi storici viterbesi, si interessa delle fiere della Quercia e, quando fa riferimento al breve di Leone X del 12 gennaio 1516 [e non 1513 come scrive il Monti], scrive:“il Comune [di Viterbo] adducendo a motivo che veniva defraudato del dazio, ne chiese ed ottenne la riduzione a soli 8 giorni (2 maggio 1520 – perg. 858 Com.- Marg. I c.260t) e più volte cercò di trasferirla in città fra le proteste dei frati (Riforme XLV f.64t- 68; LII f.38-42t; LXIV f.22)“.

Poi quando facendo riferimento a papa Paolo III, che concesse che la fiera si effettuasse due volte l’anno sia a maggio come a settembre, scrive:

“… 8 giorni prima e dopo la Pentecoste e cinque innanzi e dopo la domenica successiva alla Natività della Madonna… (Riforme XLII f. 341 - Bandi I n.263 - Bolla del 28 gennaio 1544).

Giulio III confermò ciò il 4 settembre 1550, come da attestazione del 4 settembre del cardinale di Carpi; ed ugualmente Pio IV il 22 marzo 1560

(A.S.M.Q perg. 45. – Riforme LXII f.89)

Al presente [1940] ha luogo in primavera nell’ultima domenica di maggio e dì successivi, e nell’autunno dal 20 settembre in poi…”.

(tratto da “Viterbo nella storia della Chiesa” - vol. II parte II p.36 e seg.) 

I ricordi di Teresita Pelliccioni, oltre a ricostruire l’atmosfera delle fiere degli anni trenta- quaranta, ci fanno rivivere il clima di quel periodo:

”Rievochiamo, ora, brevemente queste memorabili giornate, sempre contraddistinte da un tempo splendido, specialmente a maggio, salvo qualche acquazzone in settembre, foriero dell’incipiente autunno.

Arrivavano alla Quercia, da tutte le parti dell'Italia Centrale ed altre, proprietari, commercianti e contadini, vestiti nella più svariate fogge dei costumi dei paesi di provenienza.

Arrivavano con tutti i mezzi di trasporto allora a disposizione quali: bighe, cavalli, carri trainati da buoi, asini e in tempi più moderni col trenino della Roma Nord.

Il campo veniva aperto al mezzogiorno del sabato per l'affluenza del bestia­me nell'area ad esso destinata, ripartita in tanti spazi chiamati "chiusini; ma la giornata vera e propria della fiera era la domenica.

Il bestiame arrivava, logicamente, a piedi non come oggi che viaggia con tutta comodità su appositi autocarri.

Esso era riunito in grandi mandrie che già da alcuni giorni precedenti transitavano per le varie strade che circon­dano la città di Viterbo.

Nelle ultime ore antecedenti all'inizio della fiera questo bestiame si accalcava nel Viale Trieste dando luogo ad uno spettacolo da Far West.

Qui infatti si mescolavano, pecore, buoi, maiali, cavalli e asini, bestie che in mezzo a tale confusione si mantenevano più o meno tranquille.

Non era raro il caso che qualche torello, insofferente dl questa confusione, uscisse dai ranghi e prendesse la corsa attraverso i campi o, peggio, in direzione della città.

A proposito, ho un ricordo personale che vi voglio descrivere.

Una volta uno di questi torelli, imbizzarrito, fuggì alla cavezza e di corsa prese la direzione di Viterbo, imboccò il corso affollato di gente, con il parapiglia che ciascuno può immaginare, e si fermò in Piazza del Comune, sbattendo con le corna sulla porta dell'Ufficio postale che, a quei tempi, si trovava sull'omonima piazza al pianterreno della prefettura.

Per fortuna dall'altra parte  della stessa piazza vi era il comando dei Vigili del Fuoco, alcuni dei quali si precipitarono a bloccare l'incauto animale.

Passata la paura, ricordo che poi a Viterbo vi fu, per alcuni giorni un gran ridere, per il torello che si era recato alla posta per spedire... una lettera alla sua bella!!

Ritornando alla nostra fiera, ricordiamo la fase più importante della manifestazione: cioè quella della compra-vendita, che iniziata sempre con lo intervento di un sensale, si concludeva con una stretta di mano impegnativa  per  ambo i contraenti.

Intanto vediamo che cosa avveniva in paese.

Sulla piazza del Santuario e vie adiacenti erano installate molte bancarelle con ogni sorta di cibarie tra cui primeggiavano, a delizia di noi ragazzini, castagne secche, fichi secchi, prugne, visciole, nocciole e noccioline americane.

Per delizia degli adulti, filetti di baccalà, mortadella, frittura di pesce e l'immancabile immortale porchetta.

Erano anche esposte mercanzie, scarpe, attrezzi di ogni genere.

Prima del desinare, chi poteva, e non erano pochi, andava alla messa di mezzo giorno, rito per questa volta rumoroso e distratto in quanto i partecipanti (o fieraroli) non riuscivano certo a raccogliersi nella preghiera, con quella mente tanto presa dagli affari, dal denaro, insomma dai propri impel­lenti interessi del momento.

Venuta l'ora del desinare, eccetto i ricchi che potevano recarsi in trattoria, ciascuno tirava fuori dal proprio "canestro" le cibarie portate da casa, le disponeva in una nitida salvietta che metteva sulle proprie ginocchia e li mangiava con tanto gusto, non dimenticando di dare una occhiata al bestiame od alla bancarella.

Le bettole erano affollatissime ed il biondo vino brillava nei'1quartaroni" i quali si riempivano e si svuotavano con incredibile rapidità. A metà pomeriggio incominciava lo sfollo dei mercanti ed a sera quello del bestiame e delle bancarelle. Rimaneva qualche ritardatario, ma a notte tutto era finito.

Restavano gli zingari che, immancabili, avevano per tutta la giornata tormentato la gente con i loro giochi, con l'insistenza a voler leggere la mano a ragazze e giovani donne ed infine con l'esercizio precipuo del loro mestiere che era quello di sfilare il portafoglio a qualche ingenuo contadino. Comunque anche gli zingari concorrevano a dare una nota di indimenticabile folclore alla fiera della Quercia.

Dopo la 2ª guerra mondiale le fiere andarono a diminuire di tono e di importanza…”.