Il Palazzo papale nel 1860 (Archivio Mauro Galeotti) 

I restauri della Loggia papale di Viterbo 
Simonetta Valtieri

Saggio pubblicato su: Memoria e restauro dell’Architettura, a cura di M. DELLA COSTA e G. CARBONARA,  Saggi in onore di Salvatore Boscarino, Ex Fabrica, Franco Angeli, Milano 2005.

I lavori di restauro della Loggia Papale di Viterbo (fig.1), da quello più noto degli inizi ‘9001 a quello più recente degli anni ’80, consentono di mettere a confronto i diversi approcci verso un importante monumento (istanza culturale, disegni di progetto, tecniche di esecuzione), che rispecchiano i mutamenti culturali avvenuti nel corso del XX secolo, e offrono anche l’opportunità di ragionare sull’uso delle tecnologie “innovative” e sulle loro conseguenze.

Infatti nel più antico restauro della loggia è precocemente fatto uso del conglomerato cementizio armato2, brevettato in Francia e le cui prime normative europee risalgono agli anni 1902-19033, gli stessi dell’intervento viterbese.

La trave immessa nella Loggia Papale, poggiata sulle spallette ai due lati estremi delle polifore e nascosta all’interno della “trabeazione”, doveva servire a scaricare gli esili sostegni delle colonnine in peperino dal peso della muratura soprastante, ma, nel tempo, proprio il peso di questa trave ha condotto ai dissesti riscontrati nel 1956 e ai conseguenti restauri, ancora più pesanti e irreversibili, degli anni ’80.

Realizzato in peperino viterbese, il fronte loggiato (in origine replicato sul retro con affaccio sulla valle di Faul) presenta un ordine di 8 colonnine binate che accolgono archi intrecciati ad ogive trilobate (fig. 1).

Il fronte esterno ha raffigurati in formelle di peperino sulla parete muraria sovrastante la “trabeazione”, in alto, gli emblemi della chiesa (infule episcopali e chiavi) e, più sotto, il simbolo imperiale del Prefetto di Vico (l’aquila) e l’arme dei Gatti (scudi a fasce); nella “trabeazione” compaiono riproposti i simboli della chiesa, sopra i riquadri dove si alternano lo stemma della famiglia Gatti e l’emblema di Viterbo (il leone con la picca). Gli emblemi presenti nel registro sommitale sono originali solo nei due elementi in corrispondenza della spalletta sinistra (riconoscibile dal tratto più scuro nel disegno di progetto – fig. 1), come testimonia anche lo stato della loggia che precede i lavori (fig. 5); gli altri sono stati immessi riprendendoli dalla fascia della “trabeazione” sottostante alle mensole.

La loggia, che fa parte del palazzo vescovile annesso alla Cattedrale di S.Lorenzo e ampliato come residenza di Papi4, è collocata a destra della monumentale scala aerea5 che dalla piazza consente di accedere alla Sala del Conclave (fig. 3) e poggia su una volta a botte con cinque arconi “sostenuta” da un grande pilastro poligonale che al suo interno indirizza le acque in una cisterna (fig.4).

Prima dei restauri la loggia si presentava tamponata (fig. 5), probabilmente a seguito degli interventi sollecitati al Rettore del Patrimonio nel 13256 da papa Giovanni XXII, residente ad Avignone, essendo iniziata la decadenza del complesso da quando il palazzo aveva perso il ruolo di residenza pontificia (1281).

Nella Relazione dei lavori di restauro pubblicata nel 19037, il riempimento della muratura che occludeva le polifore viene visto in funzione di consolidamento strutturale della loggia, in quanto «le colonnine binate che sostengono la trabeazione non sono sufficienti, per il materiale di cui si compongono e per lo spessore, a sopportare il carico da cui sono gravate…».

In realtà le esili colonne, del diametro di circa 15 cm, che nel prospetto attribuiscono alla loggia un senso di trasparenza (fig. 1), sono raddoppiate sul retro da una ulteriore fila, in un sistema binato e trabeato (fig. 2), che presenta lo stesso spessore del muro soprastante (fig. 7), e quindi in grado di assorbirne il carico. Va rilevato che per la maggior parte esse sono realizzate estraendole con taglio di falda e pertanto risultano percorse da lesioni longitudinali.

E’ probabile comunque che la tamponatura delle arcate, riaperta dai restauri, fosse dovuta all’esigenza di una diversa destinazione d’uso del vano della loggia, come dimostra la presenza delle monofore visibili prima dei restauri dell’inizio ‘900 (fig. 5).

La loggia era policroma; nella Relazione del 1903 è descritta la presenza di tracce di colore e oro specialmente nella trabeazione8, testimoniata anche dal Pinzi9 nelle dorature dell’epigrafe e nelle ocre rosse gialle e turchine su alcune sculture della “trabeazione”.

I primi risultati delle indagini10 fanno ritenere il vano originariamente scoperto e il fonte verso la valle privo di facciata (fig. 4), in quanto di esso si era conservata la muratura coeva solo per l’altezza corrispondente a quella di un parapetto (0,88 cm). Ma poi il ritrovamento delle basi delle colonnine e di altri elementi architettonici testimonierà l’esistenza del suo fronte verso la valle11.

L’idea di liberare dalle superfetazioni aggiunte il palazzo dei papi, a iniziare dal perimetro esterno della Sala del Conclave - la cui facies medievale era stata occultata dagli interventi tardocinquecenteschi che avevano coinvolto tutta la piazza su cui affaccia anche la Cattedrale, che fu dotata di una nuova facciata 12 – risale alla fine dell’800, in sintonia con il revival neomedievalista del periodo.  

La nuova attenzione posta verso il medioevo (tra l’altro particolarmente importante per la storia di Viterbo) si riconnetteva al fenomeno di risveglio delle storie e delle identità locali, che era seguìto all’Unità nazionale.

Dopo che le indagini del 1897, sollecitate dallo storico viterbese Cesare Pinzi, avevano accertato la conservazione di finestre originali nel palazzo dei papi, si decise di portare alla luce le sue strutture medievali, affidando il progetto di restauro a Paolo Zampi, architetto dell’Opera del Duomo di Orvieto13.

Mentre si lavorava alla Sala del Conclave, nel 1900 furono chiesti al Ministero della Pubblica Istruzione i finanziamenti anche per il ripristino della Loggia, su un progetto di restauro redatto da Giulio De Angelis14, direttore dell’Ufficio Tecnico Regionale15 (fig. 8).

Prima dell’elaborazione del progetto per la Loggia (1902) erano state fatte eseguire prove sulla resistenza del peperino dal Laboratorio per la esperienza sui materiali da costruzione della R. Scuola d’applicazione per gl’Ingegneri di Torino. L’indicazione dell’uso di una trave in c.a. nel restauro, probabilmente viene proprio dalla Scuola di Torino, in stretto contatto con le esperienze francesi, che stavano sperimentando le applicazioni del “nuovo materiale”. Quest’ultimo non poneva «i pericoli che possono derivare dalla dilatazione del ferro» e consentiva più facilmente di «poter affidare ai fianchi della trave stessa le pietre di rivestimento, tanto interno quanto esterno, della trabeazione»16.

Nella relazione del 1903 è indicato che la posizione a posto della trave (fig. 9) «che dovrà avere la lunghezza di metri 12,15, l’altezza e la larghezza rispettivamente di metri 1,30 e 0,25, non potrà effettuarsi se non scomponendo, con la massima cura, tutta la parte superiore della loggia e quindi, a suo tempo, ricomporre tutto in opera, adoperando, per quanto sarà possibile, il materiale antico, specialmente per ciò che si riferisce al paramento decorato»17. Le dimensioni della trave, una volta realizzati i lavori, nella pubblicazione di Pietro Guidi, che porta a compimento i lavori nell’agosto del 1904, risultano leggermente diverse nella lunghezza (12,10 metri) e soprattutto nello spessore (0,35)18.

La realizzazione del restauro fu affidata a Giovanni Nottola, presidente della cooperativa degli scalpellini viterbesi, che pose mano alla scomposizione della loggia, «asportando e numerando i conci e le pietre della intera trabeazione ad una ad una; e non appena la ditta G.Gabellini di Roma ebbe compiuta la costruzione della trave in cemento armato, tutti i conci, le pietre e le sculture tornarono con scrupolosa regolarità al loro posto primitivo, allacciati e sostenuti dalla trave interposta, e col paramento interno ed esterno della trabeazione esattamente rintracciato e assicurato con grappe, perni di rame e colature di cemento, rifacendo accuratamente in peperino tutte le parti decorative deperite o mancanti. In tale delicato lavoro, non un solo frammento dell’antico andò negletto o disperso. Il Nottola fu fedelissimo nel riprodurre di sua mano e con identico sentimento d’arte tutte le parti delle sculture guaste o non più esistenti»19.

   Il lavoro di anastilosi, eseguito nel rimontaggio delle pietre e delle parti decorative smontate, comporterà un'integrazione delle parti ammalorate o mancanti più ampia del previsto20. Ma, anche se alla fine nel restauro prevarrà la componente del ripristino, nel progetto del De Angelis si coglie un atteggiamento “moderno” per il suo tempo, espresso nella volontà di prendere in considerazione l’istanza storica rispetto a quella estetica: «il restauro che ora si propone deve essere informato per quanto è possibile al criterio di conservare tutte le varie parti esistenti anche se in uno stato di resistenza poco o punto soddisfacente»21.  

       Va sottolineata quindi nel progettista la volontà di conservare l’autenticità della materia accompagnata dall’uso di tecnologie innovative.

   Se positiva è l’intenzione di voler far sopravvivere le parti autentiche puntando su una loro maggiore durabilità attraverso l’uso di tecniche e materiali nuovi - che si presumono affidabili ma che, in quanto nuovi, sono sperimentali – l’esperienza ha insegnato che, con il passare del tempo, si presentano problemi di incompatibilità, portando alla conseguenza che le nuove inserzioni, se non rimovibili e quindi reversibili, possono causare un peggioramento statico dell’edificio. D’altronde, per inglobare la trave in c.a., era stato necessario smontare i pezzi e rimontarli, per cui la stessa operazione aveva compromesso l’autenticità del monumento.

       A seguito dell’inserzione dell’elemento “moderno” nella loggia di Viterbo, già nel 1956 l’Ufficio del Genio Civile di Viterbo segnalava alla Soprintendenza ai Monumenti per il Lazio i problemi statici sopravvenuti: «Da saggi praticati nella trabeazione della loggia dei Papi è stata rinvenuta una trave di cemento armato relativamente recente, la cui funzione di non far gravare sulle colonne il peso della trabeazione stessa, sembra cessata»22.

       Viene effettuata una perizia, collegando i lavori alla loggia a quelli di riparazione del Duomo23 e prevedendo di smontare e ricostruire la trabeazione per ripristinare l’efficienza del trave in c.a. incluso, corredando con uno schizzo (fig. 10) un promemoria diretto al Soprintendente Carlo Ceschi. Quest’ultimo però non riterrà «tale necessità inderogabile (la costruzione di un nuovo cordolo) non presentando tale elemento architettonico menomazioni tali da ritenere un intervento del genere e così impegnativo. Tutt’al più si potranno effettuare dei modesti cunei e ripresa della stessa pietra agli attacchi che presentano delle sconnessure, previa siggillatura con malta bastarda»24.

     Solo negli anni ’80 si deciderà di intervenire nella loggia per arginare i dissesti derivati dall’inserzione della trave in c.a. avvenuta all’inizio del secolo, essendo state rilevate «numerose lesioni alle colonne binate causate dal carico in eccesso della trabeazione e nella zona di collegamento con le strutture del salone del conclave originate dallo sbandamento della facciata non più sufficientemente ancorata ai muri di spina»25.

     Nel 1983 il Sovrintendente Giovanni Di Geso commette all’ENEA l’esecuzione di analisi gammagrafiche, «al fine di individuare le strutture metalliche interne al monumento come indagini preliminari necessarie per l’intervento di restauro da effettuare»26, affidando nel 1984 alla Ditta Fondedile S.p.a. di Roma27 i lavori di restauro della Loggia Papale.

L’obiettivo è quello della eliminazione del carico in eccesso, calcolato in 800-1000 Kg al ml, derivato dalla trave in c.a. immessa nel 1902 e gravante sulle polifore: «Il peso della struttura che, peraltro, è più assimilabile a un cordolo che ad una trave poggiata agli estremi, come di fatto, invece, lavora, è calcolabile in 800-1000 kg/ml: ciò ha prodotto lesioni per lo sforzo da pressoflessione alle colonne binate. La sostituzione, anche totale delle colonne non risolverebbe, però il problema, data la snellezza eccessiva, per le sollecitazioni derivanti dal carico soprastante; né è possibile l’introduzione di un’anima in acciaio per la ridotta sezione che non permette di eseguire carotaggi. La proposta consiste nel sospendere la trave ad una funicolare: soluzione questa che permette di controllare la freccia, cosa impossibile se la si appoggiasse agli estremi in quanto sarebbe sottoposta a flessione. Lo schema statico previsto è costituito da una funicolare, cui mediante tiranti è sospesa la struttura in c.a., e da un puntone che ne assorbe la spinta: tale sistema è appoggiato tramite due piastre angolari in acciaio alla muratura in peperino in modo da formare un sistema isostatico che non provochi stati di coazione nella muratura. Quest’ultima è opportunamente consolidata mediante iniezioni di resina epossidica armate con barre di acciaio»28.

Se le intenzioni del restauro proposto nel 1956 si prefiggono, con modestia progettuale, di ripristinare l’efficienza della trave inclusa, lo schizzo che accompagna il promemoria (fig. 10) denuncia una mano “sensibile” all’architettura, e i suggerimenti di usare «modesti cunei e ripresa della stessa pietra agli attacchi che presentano delle sconnessure, previa siggillatura con malta bastarda» denotano un’assoluta assenza di “arroganza”, è quest’ultima a connotare gli interventi del periodo successivo, che denotano una cultura lontana anni luce da quella delle competenze che avevano progettato ed eseguito i restauri dell’inizio del secolo.

La scala dei disegni di progetto negli interventi degli anni ‘80 è approssimativa (1:75 c.), così pure la loro esecuzione. L’edificio è un corpo anonimo sul quale operare interventi di consolidamento (fig. 11 a-d) che non tengono affatto conto della sua originaria filosofia strutturale, già minata dagli interventi del primo Novecento.

Si propone di sospendere la vecchia trave in c.a. a una funicolare tramite tiranti, facendo assorbire la spinta da un “puntone” e irrigidendo la muratura con iniezioni di resina epossidica armate con barre di acciaio. Significativo è il nominativo della Ditta, Fondedile, appaltatrice per lavori di restauro di un importante edificio monumentale.

Se il c.a. era stata la panacea per il restauro nella prima metà del secolo, considerato da Giovannoni il mezzo che apriva vie nuove ai restauri moderni 29, enfatizzato come mezzo di rinforzo dalla carta d’Atene del 193130 - prima che le ricerche della più aggiornata metodologia della scienza delle costruzioni verificassero più utile alla staticità di un edificio in muratura operare con materiali e tecniche omogenee alla sua struttura -, la “resina epossidica” e le “barre di acciaio” costituiranno negli anni ’80 la cura dei monumenti, sempre più trascurati come testimonianza storica e identificati solo come apparenza formale.

La Loggia dei Papi ci appare oggi ancora un monumento, ma ha perso irreversibilmente la sua “sostanza” trafitta da griglie e permeata di resine (fig.11.c) e la sua durata nel tempo probabilmente si è accorciata, legandosi a quella dei materiali moderni usati. C’è da sperare solo che sia stato risparmiato sul materiale durante l’esecuzione dei lavori.

Dietro le decisioni e i progetti dei restauri degli inizi '900 compaiono personalità ricche di cultura e validi professionisti, come il Pinzi e il De Angelis, ma anche gli esecutori, gli scalpellini viterbesi della scuola di Nottola, testimoniano una notevole professionalità. Il clima culturale aveva portato, proprio in concomitanza con il recupero del Palazzo dei Papi, alla costituzione nel 1902 della Società per la Conservazione dei Monumenti - tesa a recuperare le testimonianze della storia medievale di Viterbo - la cui investitura scientifica fu conferita da Adolfo Venturi, invitato a tenere una lezione nel 190331.

In generale i disegni e la cura dei particolari dimostrano il grado di conoscenza e il conseguente rispetto delle componenti dell'architettura antica. Questo rapporto è chiaramente riscontrabile dal confronto tra i disegni pubblicati nel 1903, lo schizzo del 1956 e gli elaborati del 1983.

In questi ultimi scompare la materialità dell'oggetto architettonico, ridotto a uno schema anonimo nel quale collocare barre e iniezioni da introdurre, secondo il sistema statico prescelto, indifferente a quello dell'edificio originario.

Se al tempo dei primi restauri della Loggia e del Palazzo dei Papi, l’evento aveva permeato la città, consapevole che il ripristino di questo monumento significava il recupero della memoria di un passato importante – con la stampa di pubblicazioni per tramandare ai posteri gli interventi effettuati - e nel 1956 non si interviene - in quanto l’economia nazionale metteva in secondo piano i finanziamenti per il restauro dei monumenti -, nel 1984 i fondi esistono e vengono spesi, ma la Comunità nemmeno si accorge dei restauri32.

In operazioni di consolidamento come quello della Loggia Papale di Viterbo, il non aver considerato che un edificio in materiali tradizionali possiede una intrinseca capacità di resistenza più duratura nel tempo rispetto a quella delle costruzioni moderne e l’aver posto attenzione all'immagine architettonica trascurando la struttura originale, se può essere giustificato in Giovannoni che accettava l'uso di nuovi materiali, ritenendo non indispensabile che fossero mostrati a vista o in Gavini che li voleva occultati in quanto «il cemento offende la nobiltà dell'edificio antico»33, non è oggi più ammissibile, viste le conseguenze e le conoscenze pervenute dal mondo universitario degli Ingegneri34, da cui apprendiamo anche che l'indagine diagnostica basata su un controllo quantitativo non costituisce una garanzia di sicurezza per gli antichi edifici.

Eppure ancora oggi accade che l’edificio non sia visto oltre che come immagine anche come sostanza35 e i progettisti spesso fanno ancora riferimento alla letteratura degli anni 70-80 che riporta modelli grafici e tecniche di consolidamento perniciosi per gli edifici in muratura.

«I monumenti sono discorsi scritti in una lingua diversa (rispetto agli edifici moderni): anzitutto devono essere decifrati, e perciò è necessario conoscere quel lessico che purtroppo non è nei nostri manuali… l’intervento tecnico ha la funzione di restituire al monumento il suo stato originale; tanto riesce quanto meno modifica lo stato originale dell’opera. Un arco che si regge per il mutuo contrasto delle pietre non è più lo stesso se queste vengono perforate e inchiodate con spranghe di acciaio. A nulla vale che si sia trovato un acciaio che regga alla corrosione e garantisca che la sua presenza dentro la pietra non sarà, alla lunga, dannosa»36.

Si rende quindi necessario limitare sugli edifici antichi in muratura l’uso sperimentale di tecnologie “innovative”, i cui risultati si possono conoscere solo nel tempo e si rende indispensabile un aggiornamento professionale che abbia alla base una preparazione specifica per gli interventi su tutto il patrimonio architettonico storico, non solo quello monumentale37, e che riguarda anche la semplice manutenzione, che può essere ugualmente distruttiva38.

«Di qui – riportando le parole di Salvatore Boscarino – la necessità della conoscenza approfondita della struttura resistente attraverso la comprensione della meccanica delle strutture finalizzata al miglioramento del sistema statico generale, per cui non occorre seguire le scorciatoie proposte da schematizzazioni semplificatrici o da indirizzi generalizzanti avallati dall’uso indiscriminato dello strumento matematico e di quello che possiamo chiamare il ‘terrorismo’ informatico, proprio dei nostri tempi»39

NOTE

  1. Il tema relativo ai restauri di liberazione della Loggia Papale di Viterbo degli inizi del ‘900 è stato affrontato, in un più vasto contesto, da C.Varagnoli, La città degli eruditi: restauri a Viterbo(1870-1945), in Identità e stile. Monumenti, città, restauri tra Ottocento e Novecento, a cura di M. Civita e C.Varagnoli, collana «I Saggi di Opus», 8 (2000), pp. 117-126.
  2. Il progetto è pubblicato come eseguito nel 1903. Ufficio Tecnico per la conservazione dei Monumenti di Roma e Provincia e delle Province di Aquila e Chieti, Relazione dei lavori eseguiti dall’Ufficio nel quadriennio 1899-902, Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma 1903, pp. 257-264.
  3. Cfr. Il brevetto francese di Hennebique è del 1892; cfr. C. Varagnoli, La città degli eruditi…, cit. p.122, nota 57.
  4. Il palazzo fu ingrandito da Alessandro IV (1254-1261) rifugiatosi a Viterbo dal 1257 e sotto Clemente IV (1265-1268, sepolto a S.Maria in Gradi); il Capitano del Popolo Raniero Gatti aggiunse nel 1266 la Sala del Conclave e la Loggia, completata nel 1267. Anche Adriano V va a risiedere a Viterbo nel 1276 (è sepolto a S.Francesco), poi Giovanni XXI (sepolto nella Cattedrale). Sul palazzo cfr. C. Pinzi, Il Palazzo papale di Viterbo, nell’arte e nella storia, Agnesotti, Viterbo 1910, pp.86-102, e G.M.Radke, Viterbo. Profile of a Thirteenth-Century Papal Palace, Cambridge (Mass.)1996, pp. 248-266.
  5. Sui restauri dello scalone, successivi a quelli della loggia cfr. C. Varagnoli, La città degli eruditi…, cit. p.125.
  6. Bolla del 13 agosto 1325; fr. C.Pinzi, Il Palazzo papale di Viterbo…, cit, pp.87-88.
  7. Relazione dei lavori eseguiti dall’Ufficio nel quadriennio 1899-902, cit., p.262.
  8. Ibidem, p.260.
  9. Cfr. C.Pinzi, Il Palazzo papale di Viterbo…, cit, p.9.
  10. Ibidem, pp.260-261.
  11. l prospetto, i cui resti sono stati rinvenuti con gli scavi nella valle sottostante, era crollato con il tetto, rifatto nel ‘500 e di nuovo crollato; Cfr. C.Pinzi, Il Palazzo papale di Viterbo…, cit, pp.12, 90. C. Varagnoli, La città degli eruditi…, cit., p. 122.
  12. In periodo rinascimentale si interviene sul palazzo a partire dalla fine ‘400 con il Vescovo Settala, ma è a metà Cinquecento che esso cambia fisionimia, con i cardinali Gualterio e soprattutto Gambara (1566-76) che farà realizzare la costruzione della Vicaria sovrapposta al fronte del palazzo antico e darà una nuova facciata alla Cattedrale; cfr. C.Pinzi, Il Palazzo papale di Viterbo…, cit, pp.96-97.
  13. Cfr. C. Varagnoli, La città degli eruditi…, cit.; cfr. Ibidem, p.121.
  14. Il De Angelis, allievo di Giuseppe Mengoni, è autore di importanti opere romane come la Galleria Sciarra e di interventi di restauro in qualità di architetto-direttore del R.Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti di Roma, Aquila e Chieti; tra i restauri più importanti pubblicati, quello di palazzo Vitelleschi a Tarquinia; cfr.C.Pinzi, Il Palazzo papale di Viterbo…, cit, pp. 107-108.
  15. I lavori di restauro saranno portati a compimento da Pietro Guidi nell’agosto del 1904; cfr. P.Guidi, Il restauro della loggia e del palazzo papale di Viterbo, «Ausonia», II (1911), pp. 117-146, e La loggia e il palazzo papale di Viterbo, in «l’Illustrazione vaticana», III (1932), 5, pp.243-247.
  16. Relazione dei lavori eseguiti dall’Ufficio nel quadriennio 1899-902, cit., p.262.
  17. La spesa prevista è calcolata «in lire 5130, compreso il 20 per cento per imprevisti. Era già pronto tale progetto per essere trasmesso al Ministero, quando, verso la fine del 1992, pervenne un’ulteriore proposta da parte di quella Curia vescovile», che propose all’Ufficio tecnico di continuare a proprie spese il completamento del ripristino della Sala del conclave, che aggiunse al progetto per la loggia anche quello dell’ala del Salone; cfr. Relazione dei lavori eseguiti dall’Ufficio nel quadriennio 1899-902, cit.., p.264.
  18. Cfr. P.Guidi, La loggia e il palazzo papale di Viterbo…, in «l’Illustrazione vaticana», cit., p. 246. E’ da notare come i lavori di restauro alla loggia furono ripubblicati nel numero della rivista del 1 marzo 1932, a distanza di trent’anni dalla loro esecuzione, ma subito dopo la emanazione dalla Carta d’Atene (1931).
  19. Cfr.C.Pinzi, Il Palazzo papale di Viterbo…, cit, pp 110-111.
  20. Verranno anche sostituite quattro colonnine. Il tipo di smontaggio e rimontaggio applicato alla loggia di Viterbo era già stato sperimentato dall'Ufficio Tecnico regionale a Casamari, come si desume dalla relazione del De Angelis conservata con il preventivo dei lavori all'Archivio Centrale dello Stato di Roma; cfr. C.Varagnoli, La città degli eruditi…, cit., p.122, nota 54 e p.124.
  21. Cfr. C. Varagnoli, La città degli eruditi…, cit., p.122, nota 56.
  22. Lettera inviata il 10 settembre 1956 alla Soprintendenza dall’Ingegnere capo Virgilio Franceschi, che aggiunge”Prima di procedere alla modifica della perizia nel senso suggerito da codesta Soprintendenza con lettera n.1462 del 15.3.1956 si prega disporre per un sopraluogo per concordare il da farsi. La presente richiesta ha carattere di urgenza essendo il lavoro incluso nel programma dell’esercizio in corso“ (Archivio della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, 6466).
  23. “Promemoria per il Prof. Ceschi (URGENTE). - Perizia lavori riparazione S. Lorenzo in Viterbo (legge1089). – è compreso il restauro della loggia dei Papi. – Pregasi restituire la perizia al Genio Civile di Viterbo col visto di competenza. La perizia fu a suo tempo trasmessa senza visto, per la variante. (Si tratta di smontare e ricostruire la trabeazione per ripristinare l’efficienza del trave in c.a. che vi si trova incluso)” (Archivio della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio).
  24. Lettera del 15.12.1956 (Archivio della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio).
  25. Relazione della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio.
  26. Lettera del 28 novembre 1983 all’ENEA TIB-CASACCIA di Roma (Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, prot. 16820). L’ENEA nel mese successivo fa richiesta di nulla-osta al Prefetto di Viterbo per poter impiegare su tutto il territorio provinciale, nell’ambito degli interventi di salvaguardia del patrimonio artistico, una apparecchiatura mobile a raggi X “Girardoni” mod.MT 250/6 matr. 09/451 e di un’apparecchiatura mobile a raggi gamma Nuclear Iberica mod. NI-202 (C.R.E.CASACCIA-ROMA, 7.12.1983. prot. N° 11008).
  27. Il 4 maggio 1984 viene sollecitato l’Enel e l’Ufficio tecnico comunale di esaudire le richieste di energia elettrica e acqua per il cantiere (Soprintendenza per i beni Ambientali e Architettonici del Lazio, prot.7658).
  28. Ibidem.
  29. Giovannoni, a proposito della Loggia di Viterbo, scrive: «Come spesso avveniva nelle fabbriche medievali, le dimensioni della parete traforata, che, simile ad un merletto, formava la loggia, erano così deboli e sottili, che fino da principio dovette essersi imposta la necessità di chiuderne le arcate. Un mezzo moderno, il cemento armato ha permesso di riaprirle nella nuova costruzione: una grande trave, alta metri 1,30, fu posta al di sopra della linea degli archetti, a sostenere, nascosta nella muratura poi ricostruita intorno ad essa, tutta la struttura dell’elegantissima loggia, resa sicura ormai per questo sdoppiamento della parte costruttiva interna dalla serie di colonnine e i archetti, rimasti ad una funzione puramente decorativa». Ricordando, in nota, che nel 1906 si era restaurato con analogo sistema il rosone della cattedrale di Rheims, aggiunge «Come si è accennato a proposito dei restauri di consolidamento, i moderni sistemi costruttivi di grandissima resistenza basata sul ferro e sul cemento, col permettere di rendere stabili strutture mal ideate o mal ridotte, aprono vie nuove ai restauri moderni». Cfr. G.Giovannoni, Questioni di architettura nella storia e nella vita. Edilizia-Estetica architettonica- Restauri – Ambiente dei monumenti, Biblioteca d’arte Editrice, Roma 1929 (Ia edizione 1925), pp.150-151 e nota 1 a p. 151.
  30. Sugli interventi che hanno usato il cemento nel restauro, cfr. i due volumi Restauro e cemento in architettura, a cura di G. Carbonara, A.I.T.E.C., Roma 1981 e 1984. Anche la Carta italiana del Restauro dello stesso anno di quella d’Atene affermava che «allo scopo di rinforzare la compagine stanca di un monumento…tutti i mezzi costruttivi modernissimi possono recare ausilii preziosi e sia opportuno valersene… e che dal pari, i sussidi sperimentali delle varie scienze debbano essere chiamati a contributo per tutti gli altri temi minuti e complessi di conservazione delle strutture fatiscenti, nei quali ormai i procedimenti empirici debbono cedere il campo a quelli rigidamente scientifici» (Ibidem, 1984, p. 42). Questa posizione condurrà alla preminenza delle scienze settoriali mettendo in secondo piano l’edificio come architettura, anche se man mano si farà spazio la concezione del “restauro critico”.
  31. Sulla Società per la Conservazione dei Monumenti e sul suo carattere erudito e letterario che si applica essenzialmente al ripristino delle facciate medievali con una spiccata attenzione verso il dettaglio, cfr. C.Varagnoli, La città degli eruditi, cit., pp.126-134.
  32. Un quadro del modo di operare nel restauro nel corso degli anni ’80 è offerto da Renato Bonelli alla fine di questo decennio: «… il patrimonio architettonico italiano, già fortemente intaccato nella sua autenticità, si trova ora in grandissimo pericolo non per mancanza di mezzi finanziari, ma per eccesso di cattivi restauri. Com’è evidente, il nodo di questo grosso problema risiede nell’incolmabile dislivello qualitativo, culturale e critico, ed anche scientifico e tecnico, fra la concezione del restauro critico e la pratica dell’intervento nei suoi termini concreti. Una situazione nella quale si fronteggiano idealmente due diversi modi di trattare il problema del restauro architettonico: da un lato un sistema di concetti ed un metodo della più alta qualità intellettuale, dall’altro una comune pratica professionale immersa nell’esistente, condizionata da motivi occasionali e contingenti» (R.Bonelli, Restauro: l’immagine architettonica tra teoria e prassi, in «Storia Architettura», XI (1988), 1-2, p.13).
  33. G.Giovannoni, Sull'applicazione di mezzi costruttivi moderni ed in particolare del cemento armato nel restauro dei monumenti, in «L'industria italiana del cemento», III, 1931, 12, pp.363-367 e I.C.Gavini, Il cemento armato nel restauro dei monumenti, in «Ingegneria», II, 1923, 2, pp.30-33, citati in C.Varagnoli, La città degli eruditi: restauri a Viterbo…, cit., p. 124, nota 58.
  34. A. Giuffré, Monumenti e terremoti, aspetti statici del restauro, Roma 1988. Già P. Sampaolesi aveva messo in guardia «è necessario non lasciarsi sopraffare dalle possibilità tecnologiche in nostro possesso…Giacché un edificio sarà tanto meglio restaurato quanto più si comporterà in modo identico, anche strutturalmente, al suo comportamento iniziale…anche se tale comportamento, visto alla luce delle nostre attuali conoscenze di statica, presenta manifesti difetti e anomalie, questi ultimi non vanno “corretti” se non dove è necessario farlo ad evitare danni e dissesti irreparabili … giacché tali anomalie fanno parte integrante e documentaria dell’edificio» (Discorso sulla metodologia generale del restauro dei monumenti, Firenze 1973; cit. in G. Carbonara, Il cemento nel restauro dei monumenti, in Restauro e cemento in architettura, cit., 1984, nota 4 a p.54.
  35. S. Valtieri, Immagine e sostanza. Il problema della conservazione della forma e della struttura nell’intervento sugli edifici storici, in «Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico (PAU)», Università degli Studi di Reggio Calabria, 7 (1994), pp.5-9.
  36. A. Giuffré, Pietà per i monumenti, in Restauro e cemento in architettura…, cit., 1984, pp. 120-122. L’autore lamenta come il tema fosse trascurato dalle richieste del tecnicismo moderno, e che solo da qualche anno erano iniziate ricerche sulla modellazione matematica dei materiali in muratura.
  37. «Occorre …superare l’attuale organizzazione di laurea in architettura o in lettere e successivo diploma nelle scuole di perfezionamento, che non ha dato risultati efficienti, come è stato concordemente dimostrato. Occorre puntare, attraverso un unico corso a livello universitario articolato ad hoc, alla formazione del personale scientifico e direttivo addetto alla conservazione dei Beni Culturali contemporaneamente al riconoscimento giuridico del relativo spazio professionale» (S.Boscarino, Sul restauro dei monumenti, ex fabrica Franco Angeli, Milano 1985, p. 156.
  38. P.Fancelli, Il ripristino tra buone intenzioni e lieto fine, in «Bollettino Ingegneri», 3, 1988, pp.9-11.
  39. S.Boscarino, La progettazione del restauro architettonico tra analisi, invenzioni e conservazione, in «Palladio», VII (1994), 14, p.305.