Viterbo STORIA Il maestro Bartolomé Esteban Murillo, rappresenta, senza ombra di dubbio, santa Rosa da Viterbo inginocchiata ai piedi della Vergine
di Alessandro Finzi

 

Particolare del quadro di Bartolomé Esteban Murillo in cui si vede santa Rosa sul masso che si solleva per la predicazione

I nostri lettori ricorderanno il felice esito della dimostrazione che il famoso quadro del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, opera celeberrima e capolavoro assoluto del maestro seicentesco Bartolomé Esteban Murillo, rappresenta, senza ombra di dubbio, santa Rosa da Viterbo inginocchiata ai piedi della Vergine, e non santa Rosalia da Palermo, come erroneamente indicato in seguito ad un gravissimo cambio di attribuzione, avvenuto nel lontano 1982, ad opera dell’allora direttore del Museo del Prado, Don Ignacio Angulo Sánchez.

Riportiamo il dipinto tanto per ricordarlo ed ammirarne nuovamente la perfezione formale e la grazia della giovane Rosa, scalza ed in abito francescano. Sullo sfondo, a sinistra, è raffigurato l’evento della pietra che si solleva per formare un pulpito miracoloso per la predicazione della Santa viterbese che rappresenta uno degli argomenti decisivi in favore di Rosa.

 

Il lavoro, pubblicato sulla rivista internazionale multilingue Collectanea Franciscana, col titolo di: Santa Rosa de Viterbo y el cuadro de Bartolomé Esteban Murillo, mi è stata recentemente richiesto da Pablo Hereza, Capo del Dipartimento per la Gestione dei Beni Museali della Direzione Generale dei Beni Culturali di Siviglia che sta compilando una bibliografia ragionata di tutte le opere del Murillo.

Riportiamo integralmente la traduzione delle lettera che da un lato conferma la solidità delle argomentazioni proposte, in particolare in virtù dell’impostazione iconografica contrapposta a quella semplicemente bibliografica, dall’altro fornisce un’interessante informazione sullo stato  ancora fluttuante del confronto di opinioni della critica mondiale circa la definitiva attribuzione del soggetto nel quadro del Murillo.

Dice la lettera: “Estimado Alessandro, ho letto il suo saggio e non mi resta che felicitarmi per la rigorosa e completa dimostrazione della sua ricerca. In realtà la confusione è nata con la più antica critica murillesca che ha costantemente segnalato il soggetto come “santa Rosalia” pur rilevando che l’abito era quello dei francescani. Angulo [n.b. ricordiamo che oltre che direttore del Museo del Prado, questi era anche considerato un autorevolissimo esperto di Murillo] era estremamente prudente nei suoi giudizi, e veramente non riesco a capire il suo errore, anche se è certo che, in questo caso, si è lasciato trascinare dalla confuse opinioni che dalla critica più antica di Calvert si sono mantenute fino ad oggi.

Fino alla lettura del suo articolo, non avevo approfondito la questione iconografica delle due sante e, nelle mie schede, avevo raccolto solo tutte le opinioni esistenti in materia, perché intuivo che mancava qualche elemento essenziale per consentire l’attribuzione alla santa viterbese, l’abito appunto.

Con il suo articolo la questione risulta definitivamente chiarita. Per buona sorte.

In questi giorni ho potuto consultare solamente due agiografie, quella di Alegre (Granada, 1670, con una più che discreta incisione) e quella di Guzmán (Valenza, 1673, senza incisione).

Per ultimo, forse conosce l’altra opera in cui la critica è rimasta dubbiosa, per quanto non nell’attribuzione del Museo (Worcester Art Museum), e che, nelle mie schede, assegnerò definitivamente alla santa di Viterbo. Spero che sia d’accordo con la mia attribuzione. Accludo un’immagine e ricordo che esistano dubbi se l’opera sia di Murillo o di un suo allievo.

Un saluto cordiale.  Pablo”

Questo riconoscimento è importante perché proviene da un esperto del settore ed è un passo ulteriore verso il riconoscimento definitivo e universale che l’attribuzione del soggetto del quadro a s. Rosalia è stato quanto meno un grossolano errore, pur non cancellando i molti e forse troppi indizi che supportano il sospetto che non si sia trattato che di un diversivo per dare credito alla Santa palermitana a danno del legittimo tributo di gloria che spetta alla santa viterbese.

Ad ogni modo nell’opera di Pablo Hereza, che sarà la pubblicazione più recente e documentata in materia, Rosa da Viterbo uscirà vincente su tutta la linea. Hereza fa presente, infatti, nella sua lettera, che anche a proposito del quadro del Museo di Worcester in Massachusetts esistono tentativi di attribuire il soggetto a s. Rosalia, per quanto ufficialmente la titolazione sia ancora a santa Rosa.

Di questo tentativo non eravamo a conoscenza, ma i nostri lettori viterbesi ricorderanno che abbiamo segnalato un caso analogo a proposito del quadro di Sebastián Gómez del Museo Abarca a Salamanca, dove la didascalia del dipinto indica ancora santa Rosa da Viterbo, ma nella guida del Museo appare già l’insinuazione che si tratti di santa Rosalia da Palermo.

Ed ecco la bellissima

 immagine del quadro americano, conservato a Worcester, che Pablo Hereza ha avuto la cortesia di inviarmi.

 

Ammirate! Difficile immaginare qualcosa di più bello, più intenso e più pieno di fascino dello sguardo profondo di Rosa. Ho risposto a Hereza che non sembra che si possa attribuire ad un allievo un dipinto che manifesta chiaramente l’ispirazione e la tecnica del grande maestro sivigliano. Comunque l’importante è che lo studioso spagnolo indicherà nel suo studio che il soggetto rappresenta santa Rosa da Viterbo, spazzando via ogni ulteriore equivoco.

L’immagine della santa Viterbese con una rosa in mano non è frequente. Probabilmente Murillo si è ispirato ad una vita di santa Rosa di autore anonimo e databile agli inizi del cinquecento, una copia del quale è oggi conservato nelle biblioteca Colombina del Duomo di Siviglia. Il libro, di cui abbiamo parlato in altra occasione, presenta, infatti, un incisione molto stilizzata, ma simile, nell’impostazione, al soggetto del quadro.

Hereza informa di aver incominciato a studiare le biografie di Rosa. Queste sono documenti importanti perché consentono di capire e analizzare quanto il pittore ha raffigurato. Per esempio, mai nessuno aveva interpretato la figurina di Rosa che predica sulla roccia che si è sollevata dal suolo, come si vede chiaramente nello sfondo del quadro con Rosa inginocchiata ai piedi della Vergine. Questo semplicemente perché sembra che molti critici d’arte non abbiano avuto il buon senso di studiarsi prima la materia e dunque non conoscessero questo miracolo che è tipico e unico, e dunque caratterizzante, di santa Rosa, senza possibilità di equivoco. 

Fra queste biografie viene ricordata, come consultata da Hereza, quella del frate minore Juan Alegre, di cui riportiamo qui due pagine del Folio1. Osservate la curiosità dell’immagine a sinistra: partendo dal basso troviamo un’iscrizione che ricorda Rosa, l’iscrizione è avvolta sul gambo di una rosa da cui sorge Rosa che regge in mano una rosa. Potete immaginare qualcosa di più barocco dell’alternarsi visivo del nome della Santa e di quello del fiore? Non meno elaborato è il titolo: “Compendio della prodigiosa vita del fiore dell’Italia Rosa da  Viterbo del terz’ordine del N(ostro) S(anto) P(adre) S. Francesco”. Rosa, come si vede, è il fiore dell’Italia. Il fiore: dunque l’unico.

 

Ugualmente bizzarro è l’incipit. Alegre la prende da lontano; dicono le prime righe del testo: “Dal principio delle cose, quando Dio edificò il Paradiso (e pose) in esso Adamo ed in Adamo la Grazia…”. Per arrivare a Rosa, parte addirittura da Adamo, perché tutto, secondo l’autore, era dal principio nel disegno di Dio. Ma siamo nel seicento, il secolo, in Spagna, del trionfo di Rosa e della ridondanza barocca. Stupisce, in tale epoca, la compostezza formale e la forza espressiva del Murillo nelle sue magistrali raffigurazioni della gloriosa santa viterbese.

Ricordiamo che le opere conosciute di Bartolomé Esrteban Murillo che illustrano santa Rosa sono quattro: oltre le due di cui abbiamo qui parlato, esistono un quadro nella Collezione Wallace di Londra ed un disegno conservato presso la Biblioteca Reale di Torino; entrambe le opere riprendono lo stesso soggetto del più famoso dipinto del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid che qui abbiamo rivisto.

Alessandro Finzi
Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, onlus

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