Enrico di Cornovaglia

Enrico di Cornovaglia, in inglese Enrico d'Allemagna per le relazioni con la Germania del padre (Haughley, 2 novembre 1235 – Viterbo, 13 marzo 1271), era figlio di Riccardo di Cornovaglia, Re dei Romani, e nipote del Re Enrico III d'Inghilterra.

Nato nel castello di Haughley (facente parte della contea di Suffolk), essendo cugino sia di Enrico III che di Simone V di Montfort si ritrovò suo malgrado immischiato nella Seconda guerra dei baroni. Si schierò con i realisti e fu tra i prigionieri fatti a Lewes nel 1264, ma venne in seguito rilasciato.

Il 5 maggio 1269 presso il Castello di Windsor Enrico sposò la nobile Costanza di Béarn, i due non ebbero figli e l'erede al titolo paterno passò al suo fratello minore Edmondo di Cornovaglia. Nel 1268 gli era stato chiesto di andare dalla Sicilia, dove si trovava insieme ai combattenti dell'ottava crociata, in missione in Guascogna, per pacificare la regione, che viveva in una sorta di anarchia. Partì allora con Filippo III di Francia e Carlo d'Angiò al seguito del corteo funebre che riportava in Francia i resti di Luigi IX, morto da crociato in Tunisia.

Il 13 marzo del 1271, durante una lunga sosta del corteo a Viterbo, mentre stava assistendo alla messa nella chiesa di San Silvestro, venne improvvisamente raggiunto dai cugini Guido e Simone di Montfort il giovane, i quali desideravano vendicarsi su di lui dell'affronto subito dal re d'Inghilterra Enrico III, che aveva ucciso loro sia il padre che il fratello nella battaglia di Evesham, mutilando successivamente i loro cadaveri.

Enrico fu brutalmente ucciso con ferite da spada mentre cercava di rifugiarsi sull'altare, in un delitto che provocò anche alcune vittime innocenti (i due chierici che assistevano il celebrante)[1] e che, per l'efferatezza e per la profanazione del luogo sacro, destò molto scalpore in tutta Europa, anche perché proprio in quei giorni si stava ancora svolgendo a Viterbo il celebre, lunghissimo conclave che portò all'elezione di Gregorio X dopo ben 1006 giorni di Sede vacante.

Dante Alighieri riprese l'episodio con una parafrasi per indicare Guido di Montfort tra gli omicidi. Egli parla del cuore di Enrico riprendendo una trattazione di Giovanni Villani, come esso fosse ancora sul Tamigi, e sul quale colasse (l'espressione è ambigua e può significare sia che il cuore è venerato, sia che non è ancora vendicato, perché il Montfort non fu mai punito per quell'omicidio). Infatti il Re d'Inghilterra avrebbe ottenuto il cuore del cugino da Filippo III di Francia, che aveva portato via da Viterbo i resti di Enrico[2], e l'avrebbe quindi messo in un'urna dorata su una colonna del Ponte di Londra.

  1. ^ Cesare Pinzi, Storia della Città di Viterbo, Tip. Camera dei Deputati, Roma, 1887-89, lib. VII, pagg. 282 e segg. Il testo del Pinzi è fondamentale per questa vicenda, che viene riportata con ricchi richiami bibliografici.
  2. ^ C. Pinzi, op. cit., pag. 285.

Da Wikipedia

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Simonetta Saffiotti Bernardi - Enciclopedia Dantesca (1970)

 

Enrico di Cornovaglia. - Figlio di Riccardo di Cornovaglia, re di Germania, imperatore designato, e della sua prima moglie Isabella contessa di Gloucester; fu nipote di re Enrico III d'Inghilterra.

Di ritorno dalla crociata in Tunisia, cui aveva partecipato con il re Luigi IX di Francia, E. si recò al seguito di Carlo I d'Angiò in Viterbo ov'era in corso il conclave per l'elezione del successore di Clemente IV; si suppone che E. volesse trattare con il nuovo papa circa l'incoronazione imperiale del padre.

E in Viterbo, il 12 marzo 1271, mentre ascoltava la Messa nella chiesa di S. Silvestro, fu trucidato, secondo la tradizione popolare al momento dell'elevazione dell'Ostia, da Guido di Montfort, vicario di Carlo I d'Angiò in Toscana, il quale voleva vendicare la morte del padre Simone, caduto combattendo contro la casa reale inglese nella battaglia di Evesham (1265).

Nonostante lo sdegno suscitato nei contemporanei da questo delitto sacrilego, il Montfort, che aveva agito con la complicità del fratello Simone e del suocero Ildebrandino di Pitigliano, e sotto la tacita protezione del re angioino (cfr. Villani VII 39), poté fuggirsene impunemente e senza subire gravi conseguenze; solo il re Edoardo I d'Inghilterra, cugino di E., perseguitò tenacemente l'assassino, finché, su istanza di Carlo II d'Angiò, non lo perdonò interdicendogli per sempre il soggiorno in Inghilterra (1280).

Il cadavere di E., dopo lo scempio fattone dal Montfort, fu portato in Inghilterra ove fu sepolto nell'abbazia cisterciense di Hailes nel Gloucestershire, mentre il suo cuore, racchiuso in una teca d'oro, fu, secondo il Villani (loc. cit.), posto " in su una colonna in capo del ponte di Londra sopra il fiume di Tamigi ".

Il ricordo dantesco dell'episodio non si distacca dalla narrazione del cronista: egli presenta l'assassino, Guido di Montfort, isolato nell'enormità del suo delitto, come colui che fesse in grembo a Dio / lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola (If XII 119-120); è tuttavia probabile che il Tamigi voglia indicare la città di Londra nel suo insieme.

Questa versione infatti la troviamo sia in Guido da Pisa che in Benvenuto e nel Serravalle, i quali, staccandosi dalla lettera del testo dantesco, sostengono che il cuore di E., racchiuso in un vaso d'oro, era stato posto nella mano della statua del principe nell'abbazia di Westminster, con l'iscrizione " Cor gladio scissum do cui consanguineus sum " indirizzata quindi al re Edoardo I da cui la vittima chiedeva vendetta. E questo motivo della vendetta non compiuta si ritrova in alcuni commentatori che fanno derivare il si cola da ‛ colare ' dando al passo il significato " sanguina ancora " (Mattalia) per la mancata vendetta; v. COLARE.

 
Bibl. - Davidsohn, Storia II II 93-95, 107, 134, 260; P. Toynbee, A biographical notice of D. in the 1494 edition of the ‛ Speculum Historiale ', in " English historical Review " aprile 1895.

 da Treccani

 

 

 

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