Viterbo nel 1958, si vede il lato destro della Chiesa di sant'Antonio abate visto da Via Paradosso (Archivio Mauro Galeotti)

Viterbo STORIA
Mauro Galeotti

Il 17 gennaio è la festa di sant'Antonio abate e forse pochi sanno che a Viterbo è una chiesa a lui dedicata, una chiesa che non è più chiesa perché la sua destinazione è cambiata.

La via in cui si trova la chiesa è detta di sant’Antonio proprio per la presenza della Chiesa di sant’Antonio in Valle, sconsacrata e adibita a magazzino, attività commerciale e abitazione, che si trova al n° 48.

Per chi percorre la via a salire, è ancora visibile sulla destra la facciata semicoperta da un muro di cinta di un orto, si nota sul timpano il semplice rosone di forma circolare.

Il Ligustri, nella sua Pianta di Viterbo del 1596, la nomina S. Antonio Abbate in valle. Nel 1207 si cita un Ospedale della Confraternita di sant’Antonio.

Francesco d’Andrea scrive: «Anno Domine 1223. Fue facta grande battaglia ne la chiesa de S.to Sisto et fucci morto Goffredo, et grande pugna per Viterbo et li Brectoni perdero la torre Pretola, la quale era da canto al muro de S.to Antonio».

La stessa notizia la dà Niccolò della Tuccia che menziona la «torre Petrella che stava accanto il muro di S. Antonio». 

Più propriamente la torre era vicino alla Chiesa di sant’Antonino, come scrive Giovanni Signorelli, e ciò è chiaro anche se si considera che la battaglia avvenne a san Sisto, poco distante da sant’Antonino posta vicino al Palazzo Gatti, in Via cardinal La Fontaine.

Nel 1313 si trova ancora nominato l’ospedale e nel 1343, per testamento, gli vengono lasciati venti soldi.

Nei primi anni del 1400, ricorda Pinzi, ne presero possesso i Canonici regolari di sant’Antonio di Vienne in Francia, i quali per l’angustia della chiesa, si videro costretti, nel 1432, ad acquistare un terreno posto avanti all’ingresso della chiesa, per consentire ai fedeli di seguire le funzioni.

E’ del 1434 la richiesta al Comune, da parte del priore della chiesa, di esentare dai dazi gli abitanti di «Valle» e di concedere alcuni «casalini» per rendere più dritta la strada.

Nel 1439, poiché l’ospedale era in cattivo stato, fu posto in vendita un campo, col ricavato del quale, si pose mano a restaurare le parti in rovina. Anche Pietro Baglioni di Castel di Piero, in quell’anno concesse cinquanta ducati per la riedificazione dell’Ospedale.

Altri restauri furono eseguiti nel 1455, poi ho la notizia, riferita da Giuseppe Signorelli, che nel 1521 il pittore viterbese Valentino Pica, nepote di Valentino Pica il vecchio che morì nel 1490, vi dipinse la Cappella del Crocifisso per l’Arte dei Mugnai che l’officiava, secondo altri era invece la Cappella di sant’Antonio.

Una Fonte di sant’Antonio in Valle è nominata nel 1550. Intanto l’ospedale non oltrepassò il secolo XV, scrive Pinzi, mentre non ebbero miglior sorte il monastero e la chiesa, infatti dal precettore generale furono concessi in affitto, nel 1587, a Domenico di Catone.

La chiesa nel 1606 fu sede dell’Arte dei Fabbri, che sin dal 1471 aveva un proprio Statuto (Pietro Savignoni afferma che lo Statuto è del 1497, Giuseppe Signorelli del 1474), modificato nel 1603, due anni dopo fu affittata ad uso di casa per abitazione.

Così è rimasta per secoli, ad esempio nel 1727 fu restaurata e fatta pitturare dall’affittuario Nicola Porfirio.

Oggi si può osservare un vasto pianoterra dove è rimasta conservata un’edicola lapidea e resti di pitture del secolo XV, come appresso scrivo, e al piano superiore affreschi del ‘500 e capriate lignee che sostengono il tetto con scolpita la T, Tau, di sant’Antonio. In questa sala tenevano le riunioni i componenti la cappella musicale della Cattedrale di san Lorenzo.

Nella chiesa «in stato rovinoso» nel 1809, era la statua lignea di sant’Antonio che fu trasferita, in san Lorenzo; ora è nel Museo del Colle del Duomo.

Recentemente, dopo i lavori di restauro per l’apertura di un esercizio commerciale, è stato portato alla luce un raffinato e pregiato affresco quattrocentesco con la Madonna e il Bambino assisa in trono con a sinistra sant’Antonio e a destra san Lorenzo che si trova nella parte di fondo della chiesa.

Nei decori delle cornici sono inseriti i noti rosoni che caratterizzano le facciate delle antiche chiese viterbesi e l’IHS nel sole. C’è chi vuole che la Madonna, la quale è rappresentata con uno sguardo che penetra il cuore, sia attribuibile alla mano di prete Ilario da Viterbo (1410).

Per altri potrebbe essere opera del senese Simone Martini (1284 c. - 1344) o, forse più propriamente, del viterbese Matteo Giovannetti (1300 c. - 1369 c.).

Nella parte bassa, a destra del dipinto, sulla tunica rossa di san Lorenzo, è, graffita sull’affresco, la scritta in latino, così letta da Attilio Carosi: Sub Anno d(omi)ni Millesimo quatrigentesimo septuagesimo secundo, die vero tertio / Mensis Augusti hora prima noctis vel circa obijt d(omi)nus Amedeus / francigena [...] cuius anima in pace requiescat. Amen / Johannes doucet (?) scripsit. Hic fuit frater Sijmon de hungaria [...].

Ossia: Nell’anno del Signore 1472 proprio nel terzo giorno del mese di Agosto, verso la prima ora della notte, morì il signor Amedeo “francigeno”, l’anima del quale riposi in pace. Giovanni “doucet” scrisse.

Qui fu frate Simone di Ungheria. Una testimonianza importante che dimostra come questo luogo fosse una delle tappe dei pellegrini che si recavano a Roma per quella che era detta la Via Francigena.

I pellegrini raggiungevano Roma oltrepassando la vicina Porta di Valle.

Sulla destra della pittura è un Agnus Dei e in una fascia sottostante è pitturato † Anno d. MCCCCXXVI. Verso l’attuale ingresso sono sui muri vari resti di pitture, nella parte bassa di un tondo, in affresco, leggo: [N]icolaus Porfirius viterbien. / fictuarius s. Antoni abbat. / […]nen pinxit et restaurav(it) / Anno D.ni 1727.

Francesco Cristofori, in una nota, riportata circa il 1890, nella rubrica delle Riforme del 1819 - 1820, scrive: «Fontana dell’ex conv(ento) di sant’Antonio in Valle. [L’acqua proveniva] Da la fontana de la Piazza del Duomo. Hora è arida».

Nella casa posta al n° civico 41 è, l’Oratorio vecchio e Chiesa di san Giovanni Battista in Valle con sulla facciata una formella con la croce simbolo della Confraternita del Gonfalone, con san Giovanni Battista e nel cartiglio la scritta: Societatis / Confalonis / Vit.

dal mio libro L'illustrissima Città di Viterbo, 2002

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Ma ora tratto da Instoria ancora uno studio del 2008 sulla chiesa realizzato di Ginevra Bentivoglio

N° 5 - Maggio 2008 (XXXVI)

LA MADONNA "DEI TEMPLARI"

VITERBO: RINVENUTO UN AFFRESCO RECANTE LA DATA 1426
Ginevra Bentivoglio

Lungo il percorso ascendente che dall’antica Porta di Valle costeggia il colle del Duomo vi sono diverse strutture religiose ormai scomparse o fortemente trasformate tra le quali riveste particolare rilevanza l’insediamento degli Antoniani con l’annesso ospedale.

Il rinvenimento di un notevole dipinto murario, lungo oltre 3 metri, al piano terreno di un locale oggi adibito a ristorante, ha mosso l’interesse verso l’edificio ubicato lungo la via di S. Antonio, un tempo ricca di chiese, che si inoltra verso la città entrando da porta Faul.

Asportazione dell’ultimo pannello intorno all’affresco (2007) 

Si tratta del complesso appartenuto agli Antoniani, che accoglieva un ospedale con ambienti di servizio, le abitazioni dei frati e una chiesa prima del “passetto” sulla strada che prende il nome dalla chiesa di Sant’Antonio.

L’antica struttura che, con i suoi corpi di fabbrica, scavalca la strada ancora oggi, mostra una sua pronunciata leggibilità sia nelle strutture murarie che negli elementi decorativi.

Il corpo della chiesa di Sant’Antonio si propone immediatamente emergendo da un lungo muro, già fronte di antichi edifici ormai scomparsi, di cui sono superstiti molti archi a conci di pietra, tamponati, testimonianza di numerose porte che costituiscono indizio di una quota stradale più bassa e quindi di un percorso più ripido.

La Chiesa vista da Via sant'Antonio

L’affresco ritrovato rappresenta la Madonna in trono col bambino tra sant’Antonio abate (riconoscibile dagli attributi iconografici del bastone a T e della campanella) e san Lorenzo (con la dalmatica rossa, il libro e la graticola).

L'affresco

Dal punto di vista storico, di rilevante importanza è la presenza nell’affresco della data anno domini mccccxxvi e del monogramma di San Bernardino, poiché il santo, proprio nel 1426, è a Viterbo e la testimonianza della sua predica, tenuta sulla piazza di fronte alla chiesa di San Francesco, è data dall’erezione, nel 1429, di un pulpito presente all’esterno della chiesa.

Nella parte inferiore della tunica di san Lorenzo vi è un’iscrizione graffita, datata 1472, che ricorda la morte, avvenuta un anno prima di frate Amedeus Francigena:

Sub anno d(omi)ni millesimo quadringentesimo septuagesimo secundo die vero tertio mensis augusti hora prima noctis vel circa objt d(omin)us amedeus francigena [de] cuius anima in pace requiescat amen. Johannes Doucet scripsit. Hic fuit […] 1473

Sono presenti affinità stilistiche con le opere di Francesco d’Antonio Zacchi, detto il Balletta, pittore viterbese attivo – secondo testimonianze d’archivio – dal 1430 al 1476, di cui restano pochissime opere superstiti.

In particolare la raffigurazione dell’agnello vittorioso nell’affresco, è accostabile a quella presente nel Trittico di Tuscania, tavola conservata nella chiesa di San Lorenzo a Tuscania raffigurante da un lato il Salvatore benedicente tra Maria e san Giovanni Evangelista e dall’altro l’Assunta tra san Giovanni Battista e santa Cristina.

 

Agnello vittorioso

Altri particolari quali l’architettura del trono, il drappo alle spalle della Madonna, l’inclinazione dei volti della Vergine e del bambino sono eseguiti con un’impostazione simile a quella di due affreschi attribuiti al Balletta: la Madonna del cardellino (affresco strappato proveniente da Santa Maria in Gradi e conservato al Museo Civico) e la Madonna in trono col bambino dipinto nella chiesa di Santa Maria Nuova.

Sempre nella chiesa di Santa Maria Nuova è presente un altro affresco, raffigurante la Crocifissione, dove vi è la figura di un santo con la barba il cui profilo e alcuni dettagli - la resa della barba, le rughe della fronte e le pieghe del cappuccio - sono quasi sovrapponibili alla figura del sant’Antonio abate dell’affresco degli antoniani (verrebbe da pensare al medesimo ‘cartone’ usato in modo speculare).

 

L’importanza che riveste il ritrovamento di questo affresco, il cui stato di conservazione risulta essere buono, fatta eccezione per alcune cadute d’intonaco - come la perdita della parte del volto di san Lorenzo, avvenuta probabilmente per un trauma diretto prodotto dall’intenzione di aprire una porta nel muro, che ha però causato il rinvenimento dell’affresco – e alcune crepe nella cornice decorata a foglie, nella parte superiore - lesione da stress meccanico a causa del peso del nuovo solaio in cemento – è nella presenza della datazione 1426.

Se si trattasse di un’opera del Balletta, questo affresco sarebbe una delle prime opere del pittore – i documenti lo indicano attivo dal 1430 e l’unica sua opera datata, il Polittico di San Giovanni in Zoccoli, è del 1441 –, anticiperebbe l’inizio della sua attività e sarebbe la dimostrazione del ruolo di primo piano che l’artista rivestiva nel viterbese, essendo chiamato, seppur giovanissimo, ad eseguire un’opera per un Ordine che rivestiva, proprio nel Quattrocento, un ruolo molto importante.

L’Ordine Ospedaliero dei canonici regolari detto degli Antoniani di Vienne (Francia), infatti, fu eretto da Bonifacio VIII nel 1297 sotto la regola di S. Agostino e posto alla dipendenza diretta della Santa Sede. A Vienne, dal 1095, era sorta una comunità laicale a fini ospedalieri a seguito del trasporto a La Motte St. Didier (poi Bourg St. Antoine) delle spoglie di S. Antonio Abate, donate all’inizio del primo millennio in un pellegrinaggio in Terra Santa, dall’Imperatore di Costantinopoli al nobile francese Jocelin de Catheau Neuf.

La tradizione tramanda che il nobile Gastone, per la guarigione del figlio, riunì otto compagni per curare i malati di ergotismo, accorsi per chiedere l’intercessione di S. Antonio.

Gli Ospedalieri, in origine solo nobili, erano laici che si erano dati norme di vita religiosa, governati da un gran maestro sacerdote; vestivano un abito con un distintivo di panno celeste a forma di TAU (la gruccia) detto la “potenza” di S.Antonio e vivevano di questue, scontrandosi con i monaci del luogo.

La comunità religiosa di S. Antonio eremita fu impegnata nel medioevo nell’assistenza ai lebbrosi e appestati e in particolare del ‘fuoco di S. Antonio’ (herpes zoster) curato con il grasso di maiale come emolliente, e dell’ergotismo (provocato dall’ingestione della ‘segale cornuta’).

Gli Antoniani assunsero a loro simbolo il TAU, ultima lettera dell’alfabeto ebraico - usato come amuleto per difendersi dalle piaghe e dalle malattie della pelle - che era stato riconosciuto nel 1215 da Innocenzo III. Questo simbolo verrà assunto anche dai Templari che, condannati nel ‘300 dal re di Francia come eretici, probabilmente divennero Antoniani per fuggire alle persecuzioni.

Gli Antoniani ebbero il loro massimo sviluppo nel XV secolo - con circa 370 ospedali sparsi per l’Europa - e infatti, pur essendo documentata già dal Trecento a Viterbo la sua esistenza, l’ospedale di S.Antonio in Valle ebbe la sua massima importanza dopo che, agli inizi del ‘400, fu collegato a Vienne.

L’Ordine degli Antoniani verrà soppresso nel 1776, dopo che fu unito all’Ordine di Malta.

 

Riferimenti bibliografici:

Faldi, Pittori viterbesi di cinque secoli, Roma 1970.

Carosi, Le epigrafi medievali di Viterbo (secc. VI – XV), Viterbo 1986, p. 138.

Pinzi, Gli ospizi medioevali e l’Ospedal Grande di Viterbo, Viterbo 1893.

Valentini, Insediamenti templari lungo la Francigena Laziale, in “Pavalon”, Laboratorio di Studi Templari, Atti 2° convegno nazionale “Terra d’Otranto Templari fra Occidente e Terra Santa”, a cura di G. Giordano e C. Guzzo, Mandria 2002.

Bentivoglio, La Madonna 'dei Templari' - L'affresco del 1426 rinvenuto nell'antico insediamento degli Antoniani di S. Antonio in Valle a Viterbo, GB EditoriA, Roma 2008 (in corso di stampa nel 2008).

 

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