Viterbo IL RACCONTO Quando Deborah nacque nell’anno 1957, il padre Celestino Angeli, che era un appassionato di cinema
di Agostino G. Pasquali

 

Deborah Kerr

     Deborah Angeli è oggi una signora anziana. No! non proprio anziana, ma forse sì, però appena un po’, e cioè ha un’età tra i cinquanta e i sessanta anni; è di bell’aspetto, simpatica e socievole.

     Vive da sola in un piccolo appartamento nel centro storico della città, ma non si sente sola perché, oltre al lavoro (è titolare di uno studio da commercialista), ha un’intensa vita sociale: si dedica al volontariato in parrocchia e frequenta un gruppo di amici con i quali organizza gite, festicciole e tornei di burraco.

     È, come si usa dire, ‘una donna moderna e realizzata’, nel senso che ha un buon lavoro e una soddisfacente vita privata, attiva ed equilibrata. Ma non è sempre stata così.

     Quando Deborah nacque nell’anno 1957, il padre Celestino Angeli, che era un appassionato di cinema, le scelse il nome copiando esattamente, compresa l’acca finale, quello dell’attrice Deborah Kerr, che era allora molto famosa dopo il successo di ‘Quo vadis?’ e ‘Da qui all’eternità’. Celestino sperava di portare fortuna alla figlia e di farne, perché no? una diva di Hollywood, o almeno di Cinecittà. Non era il solo a comportarsi così in vista del battesimo di una neonata: c’era in quel periodo una diffusa tendenza a scegliere il nome Deborah, e non solo per imitazione dell’attrice Deborah Kerr, ma anche per il fascino esotico di quel nome insolito e importante.

     Erano altri tempi: il cinema, da vedere e possibilmente da fare, influenzava i modi di vivere, gli atteggiamenti, i costumi, e quindi anche l’onomastica. Invece oggi il cinema è in progressiva e inarrestabile involuzione e gli attori contemporanei rappresentano preoccupanti esemplari di decadenza morale o crisi esistenziale oppure manifestazioni di comicità volgare. Non sono certo buoni esempi da imitare.

Quindi i genitori che hanno una bimba piccola si augurano che diventi  un’astronauta come Samantha Cristoforetti o una tennista come Flavia Pennetta o una ministra come Maria Elena Boschi. Mi azzardo a scommettere che nei prossimi mesi si vedrà  una proliferazione di Samanthe con tanto di ‘h’ esotica, e di Flavie e  Marie Elene, queste ovviamente senza ‘h’.

     In effetti  Deborah, crescendo, ricordava vagamente la Kerr per i capelli color rosso carota e la carnagione molto chiara, e  papà Celestino e mamma Rosa si dedicarono a favorire quella somiglianza utilizzando accortamente quel po’ di maquillage che si usa anche con le bambine piccole.

     Tuttavia la figlia dimostrò subito di avere un temperamento che non si accordava affatto a quella somiglianza: tanto seria e compassata quasi algida era la Kerr, quanto esuberante estroversa e capricciosa era la bimba. Una caratteristica che si manifestò subito fu la tendenza a stancarsi presto dei giocattoli.

Si può obiettare che questa tendenza è molto comune nei bambini. E questo è vero. Ma Deborah l’aveva in modo esagerato: una bambola ricevuta in dono la mattina, alla sera stava già nel cesto della roba da scartare. Però guai a buttarla! Sarebbero stati strilli e pianti perché l’avrebbe cercata. Se invece la bambola veniva lasciata nel cesto in mezzo agli stracci e agli oggetti rotti, lì ci poteva rimanere all’infinito, del tutto ignorata. Lo stesso succedeva con le amicizie. Per esempio: all’asilo legava oggi con una coetanea? domani la trascurava per un’altra.

     A scuola si ripeté lo stesso fenomeno di volubilità. Fece le elementari senza problemi, ma questi cominciarono già alle medie. Infatti le piacque subito il latino, ma il gradimento durò solo per qualche mese perché, arrivata allo studio della quarta declinazione, decise che se due declinazioni erano accettabili e la terza tollerabile, la quarta e la quinta erano assolutamente ingiustificate, e dunque  quella lingua era inutilmente complicata e non valeva la pena di impegnarsi a studiarla.

In seconda media iniziò con entusiasmo lo studio del francese e a Natale già recitò con una buona pronuncia (‘r’ moscia e ‘en’ nasale) una poesiola in quella lingua, ma inevitabilmente a Pasqua s’era già stufata e chiedeva di passare all’inglese. Comunque, dato che era intelligente, riusciva sempre a cavarsela in qualche modo e ad essere promossa anche se i voti erano bassi.

     A parenti e amici papà Celestino diceva: “A mia figlia l’aiuta il diavolo! Non studia mai, però è sempre promossa e infatti, guardate un po’, i suoi voti sono 6 6 6…”

     Un giorno disse alla moglie: “È una che si stufa subito di tutto, è una ‘stufarella’! La voglio chiamare ‘Deborellah Stufarella’…”

      “Non provarci nemmeno una volta!” ribattè la moglie “Il nomignolo è così azzeccato che le resterebbe appiccicato per tutta la vita. Gliela vuoi rovinare?”

     Finita la scuola media inferiore, si iscrisse al ginnasio, ma sarebbe meglio dire che fu spinta ad iscriversi dal desiderio dei genitori che volevano darle un’istruzione eccellente. Anche questa volta si infatuò per la novità: il greco antico, che le parve una specie di gioco enigmistico, una crittografia. Però si accorse presto che quella lingua non era affatto un gioco, era invece assai difficile e richiedeva uno studio assiduo e sistematico, e ciò era assolutamente inconciliabile con il suo temperamento ‘stufarello’. Intanto il diavolo, che si era evidentemente stufato (pure lui!) di aiutarla, ridusse l’aiutò a metà, e invece dei 6 6 6 arrivavano i 3 3 3. Non finì l’anno, si ritirò e l’anno successivo si iscrisse a ragioneria. Qui, scottata dalla brutta esperienza ginnasiale, s’impegnò un po’ di più e, contando sull’intelligenza che le consentiva di studiare il meno possibile, ritrovò la sufficienza e si diplomò regolarmente.

     Si  iscrisse all’università, ma non provò neppure a dare il primo esame, ben cosciente di non avere lo spirito di sacrificio necessario per studiare un libro oltre le prime dieci pagine. Era fatta così: si stufava subito, era ‘stufarella’ proprio come aveva detto il padre (ma non diciamolo in giro per rispetto del prudente desiderio della madre).

*     *     *

     Deborah, passati i vent’anni, era diventata una bella signorina. Non somigliava alla Kerr, come avevano sperato i genitori, ma piuttosto a Shirley MacLaine per i capelli rosso carota a caschetto, le lentiggini e soprattutto per il temperamento esuberante e poco controllabile. Sembrava ai genitori che non avesse alcuna voglia di maturare e diventare una persona adulta seria e responsabile.

     “Non resta che trovarle un marito che le insegni un po’ di giudizio…” disse Celestino alla moglie, scaricando però su lei l’onere della ricerca di un buon fidanzato, perché, come avviene normalmente, gli uomini sono piuttosto imbranati in questo genere di affari, e li delegano alle donne.

     Mamma Rosa ne parlò con la figlia che si disse disposta a collaborare perché l’idea di sposarsi era eccitante,  era una novità, e le novità le piacevano. Pretese però che i possibili fidanzati da proporre avessero certe qualità che, in ordine di importanza, erano: bellezza, simpatia, gioventù e una bella automobile, possibilmente una spider. La madre cambiò la graduatoria proponendo come dote essenziale la ricchezza, poi la simpatia e infine, ma con scarsa rilevanza, bellezza e gioventù; l’auto era del tutto trascurabile. La figlia ci rise e chiese provocatoriamente:

     “Ah, mà? Com’è secondo te uno ricco? Quanto deve essere ricco?”

     “Vedi, Deborah! Avere una bella casa è segno di ricchezza, un buon lavoro anche meglio… ma quello che fa veramente un uomo ricco è il borsello che deve avere la pancia sempre piena e due bocche: una larga in entrata e una stretta in uscita…”

     “Come? Come?”

     “Voglio dire che uno è ricco se guadagna molto, ma spende poco.”

     Deborah rimase senza parole. A quel criterio di giudizio non aveva mai pensato perché dei problemi di spesa non si era mai occupata, tanto pagava papà. Del resto pure a scuola, quando aveva studiato (studiato? sì, ma solo per modo di dire) la tecnica ragionieristica, cioè le entrate e le uscite, i guadagni e le perdite, i libri contabili e i bilanci, per non citare quell’incomprensibile guazzabuglio che è la partita doppia,  tutto le era sembrato soltanto un esercizio teorico senza alcuna applicazione concreta, un esercizio inventato dai professori per tormentare gli studenti. 

     Ovviamente aveva qualche idea sul matrimonio, sul rapporto uomo/donna e aveva già fatto delle esperienze con i maschi; aveva avuto per lo più flirt sentimentali e pure qualche rapporto intimo, ma senza entusiasmo, più che altro per curiosità, e non ne aveva ricavato un gran piacere; soprattutto non aveva mai pensato ad un legame stabile, che non era nella sua natura, e tanto meno aveva programmato per sé un matrimonio. Per lei gli uomini erano giocattoli, li trattava come aveva trattato le bambole quando era bambina: un giorno o due, al massimo una settimana, e via. Oggi Aldo, domani Luca, e poi Sandro, Mario, Renzo…

In fondo a lei piacevano per la compagnia, il gioco, la chiacchierata e lo scambio delle idee in un incontro-scontro dialettico. Del sesso era poco interessata e infatti privilegiava l’amicizia di gruppo piuttosto che il legame di coppia. Le piaceva chiacchierare e discutere di tutto, ed è superfluo precisare che era volubile anche nelle idee e ciò che affermava la mattina poteva negarlo nel pomeriggio; cambiava idea per un qualsiasi nuovo stimolo, non aveva né pregiudizi né certezze, ma era sempre in buona fede, però forse con una punta di malizia. Dato che era molto intelligente, prevaleva facilmente nelle discussioni specialmente nel confronto con i maschi, i quali le davano spesso ragione, e non certo per galanteria, ma per rassegnazione di fronte alla sua travolgente parlantina ed esuberanza dialettica.

     Deborah cominciò dunque, più per curiosità e desiderio di novità che per decisione ferma e convinta, la ricerca del classico ‘buon partito’.

(Continua)

Agostino G. Pasquali

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