Viterbo CRONACA Siamo agli inizi del milleseicento, la leggenda dell’Est, Est, Est doveva ancora nascere, ma il vino di Montefiascone era già famoso
di Alessandro Finzi

 

Oltre al tedesco Wilhelm Müller (1794-1827) e all’americano Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) che lo cita, entrambi meritoriamente ricordati recentemente da Quinto Ficari su queste pagine, non si deve dimenticare che uno scrittore di ben maggiore importanza ha, molto prima di loro, menzionato in letteratura il vino di Montefiascone che un tempo godeva evidentemente di fama internazionale.

Si tratta Miguel de Cervantes Saavedra (15478-1616), il massimo autore spagnolo e inventore della storia del fantasioso cavaliere Don Chisciotte.

Nel racconto El Licenciado Vidriera, che fa parte della raccolta di Novelas ejemplares, pubblicate nel 1613, si narra di un giovane studioso, di nome Tomás Rodaja, che veniva spesso invitato come piacevole compagno di viaggio perché all’università aveva acquisito molte conoscenze che gli consentivano di sostenere una vivace e gradita conversazione.

In uno di questi viaggi una donna che si era invaghita di lui gli aveva fatto somministrare una pozione amorosa che lo aveva ridotto quasi in fin di vita. Sopravvissuto gli era rimasta la funesta fissazione di credere di essere fatto di vetro, da cui il titolo della novella.

Prima di questa vicenda, aveva accettato di seguire in Italia un capitano che, nascondendogli i disagi della vita militare, gli aveva vantato le bellezze del Paese e la bontà della cucina, citando anche qualche parola in italiano come li polastri e, naturalmente, li macarroni.

Scampati da una tempesta i viaggiatori sbarcano a Genova e alla fine si rifugiano in un’osteria dove: “dimenticarono tutte le burrasche passate con il  presente gaudeamus” (pusieron en olvido todas las borrascas pasadas con el presentegaudeamus).

A questo punto incominciano un assaggio di vini, prima italiani, poi greci e spagnoli, in quantità tale che “non li avrebbe potuti tenere nella sua cantina nemmeno Bacco stesso”.

E come comincia l’elenco? Comincia così: “Allí conocieron la suavidad del Trevianono (trebbiano?), el valor del Montefrascón....”.

Nel lungo elenco dei vini pregiati, quello di Montefiascone compare, come si vede, al secondo posto!

Siamo agli inizi del milleseicento, la leggenda dell’Est, Est, Est doveva ancora nascere, ma il vino di Montefiascone era già famoso.

Ma che vino era? Müller parla di Muscatell, quindi di un vino dolce da dessert. Da assoluto analfabeta enologico che riesce appena a bere un quarto di bicchiere di Lambrusco amabile a tre euro la bottiglia, mi viene in mente che di fronte al Bolsenian see, il lago di Bolsena, citato da Müller, si produce la Cannaiola di cui esiste una variante dolce, così bevibile che un paio di volte mi è capitato di berne un intero quartino a pasto, nonostante il cameriere fosse scandalizzato di un uso cosi improprio e sconveniente.

Lascio il quesito agli esperti e pongo un altro problema.

Come mai è entrata in letteratura la leggenda del prelato bevitore e non si trova traccia (salvo auspicabile smentita) della vicenda dell’altro prelato tedesco che a Bolsena, dubitando della transustanziazione, vide uscire il sangue dall’ostia spezzata?

Eppure la storia è molto suggestiva e storicamente molto rilevante perché ha generato la festa del Corpus Domini, ma non sembra interessare i letterati. Se è lecito scherzare, forse rimpinzarsi di vino dagli scrittori è già considerato un atto divino.

In realtà spesso i fatti appaiono irrazionali. Quando, con l’amico Pedro González siamo arrivati in Spagna ad Alcolea de Almería, che ha santa Rosa come patrona, si celebrava appunto la festa del Corpus Domini e i nostri poche lettori ricorderanno che abbiamo narrato come, cosa incredibile, l’atmosfera era profondamente e integralmente ispirata alla cultura religiosa generata nella Tuscia secoli prima.

Abbiamo riferito il messaggio relativo al desiderio espresso di gemellarsi con la nostra città, segnalando che, col supporto di una importante associazione femminile locale, era possibile organizzare una bella manifestazione di affratellamento con grande partecipazione popolare (ed ovvia ricaduta politica).

Ma la scelta è stata quella di gemellarsi con una città francese, sulla base di una occasionale coincidenza storica, con una operazione di vertice e qualche comunicato stampa che permetteva di capire che il popolo era escluso, anche se sulle sue spalle ricadevano le spese per un viaggetto turistico delle autorità di cui presto si sarebbe perduta la memoria.

La cosa è stata assolutamente antipolitica ed, ovviamente, altrettanto incomprensibile. Ma non possiamo dare la colpa ad un eccesso di est, est, est; sarebbe un’attenuante.

Alessandro Finzi

 

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