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La Chiesa di santa Maria Maddalena

Viterbo
CRONACA ABBANDONO VERGOGNOSO

I Vigili del Fuoco di Viterbo, la mattina del 14 Marzo, hanno spento a Viterbo un incendio sviluppatosi in un locale posto accanto alla Chiesa di santa Maria Maddalena in Via Faul n° 7. Le fiamme sono state spente in pochi minuti, sebbene l'abbondanza del legname in fiamme.

 

Accanto alla stanza dell'incendio è la Chiesa di santa Maria Maddalena, c'ho fatto un salto e credevo di trovare una chiesa abbandonata, invece ho trovato una chiesa depredata di tutto.

Una vergogna per il depauperamento del nostro patrimonio culturale, della nostra storia, hanno rubato tutto, altari, fregi, parti di affresco, mobili. Hanno eseguito scavi sul pavimento in tre quattro parti per ispezionare cosa ci fosse da rubare nel sottosuolo.

Hanno rubato una lapide in marmo del 1619!

E dire che le pareti sono piene zeppe di affreschi, molti dei quali coperti da imbiancature inopportune, addirittura qualcuno ha eseguito tasselli per valutare cosa fosse sotto il bianco delle pareti, ebbene è uscito fuori colore, colore di affreschi.

Vari putti in più pareti chiedono aiuto, figure a metà chiedono di essere portate alla luce, vogliono rivedere che un tempo le ha ammirate.

Perché in questi anni tutti se ne sono fregati, compreso il proprietario, perché di qualcuno la chiesa è, perché un lucchetto lo testimonia, eppure è tutto un disastro, irriverente per il luogo che ha rappresentato e che rappresenta.

Mi vergogno di essere Viterbese! ...e non manca sul pavimento pieno zeppo di escrementi di piccione, la classica popò umana a suggello dello schifoso comportamento di uno schifoso uomo.

La storia di questi luoghi risale al 1192 quando vennero realizzate le mura da Porta di Valle in parallelo al Torrente Urcionio, quel torrente che frate Giovanni Nanni, detto Annio, chiama Urgionio, lungo la Valle di Faul fino a Porta di santa Maria Maddalena. 
Quest’ultima si trovava assai prossima all’incrocio delle attuali Via del Ganfione, Via Valle Piatta, Via sant’Antonio e Via Faul.
La difesa era creata naturalmente dal Torrente Urcionio e dalle alte rupi del Colle del Duomo.
Un bel tratto di mura, con possenti contrafforti sulla Valle di Faul, verso Via sant’Antonio, è rimasto in piedi, nonostante l’abbandono secolare.

Ma a chi frega?

Ma io continuo, ecco intanto la storia della chiesa che traggo dal mio libro L'Illustrissima Città di Viterbo del 2002.

Chiesa di santa Maria Maddalena

A monte della Valle di Faul, col fianco rivolto alla strada è la Chiesa di santa Maria Maddalena con campanile a vela senza campana. Giuseppe Signorelli trova che nel 1160, per la costruzione di un ospedale, venne effettuata la vendita di un terreno in Contrada Filello. Tanto è vero che, il 4 Giugno 1163, già si trova nominata la Chiesa di santa Maria Maddalena con ospedale annesso, in possesso al monastero benedettino di san Salvatore sul Monte Amiata. 

Ad acquistare il terreno, per erigere chiesa e ospedale, fu un certo prete Canonico che ricavò il danaro dalle Chiese di san Giovanni in Sonsa e di san Marco, anche queste in possesso del monastero amiatino. Il terreno era di proprietà di due persone,  Rufo di Guerruzzo da Vitorchiano e Nericone di Zaccaria, il primo volle essere pagato, il secondo invece fece una donazione.
Un anno o due dopo (1164 - 1165) Cecco di Vetralla donò a Canonico un casalino compreso tra: Porta di Filello, le mura della città, l’ospedale di cui sopra, i casalini della Chiesa di santa Maria Nova e la via pubblica.

Scrive Pietro Egidi:
«Se non m’inganno, questo pezzo di terra corrisponde all’orto che ora [1900] si trova di fronte alle conce dei Petri sotto il giardino Chigi, e che tocca il vecchio muraglione, residuo dell’antica cinta murata», che ancora oggi è in piedi e sostiene le vie di sant’Antonio e di san Clemente.
Poi, nel 1193, si dice che la porta della chiesa era avanti al predetto ospedale, perciò doveva sorgere dalla parte opposta della via, infatti, era unito alla chiesa da un arco «cum una stantia supra».

Tre anni dopo venne stilata una convenzione tra centosessantasette bifolchi e prete Leonardo, preposto della chiesa e dell’ospedale, con la promessa «di fare la campana, dare il cero, le primizie e la decima, in corrispettiva dell’ospitalità, sepoltura, magazzino e agnello pasquale».
Questa associazione di laici, creata in nome di Dio, della Vergine, di santa Maria Maddalena e di san Colocio, aveva per fine il mutuo soccorso ed è una delle più antiche in Italia.
Innocenzo III nel 1198, intanto, confermò i diritti sulla chiesa al Monastero di san Salvatore sul Monte Amiata, col quale il vescovo di Viterbo, Matteo I Suppolini, nel 1235 accese una lite proprio sul possesso di santa Maria Maddalena. Le spese per sostenere quella causa furono affrontate con la locazione di una casa da parte dell’abbate della Chiesa di san Marco.

Lo Statuto di Viterbo del 1251 nomina la strada a fianco della chiesa da riparare e il ponte sul Torrente Urcionio che lo chiama Ponte di santa Maria Maddalena. Nel 1255 si appalta la realizzazione del selciato presso la chiesa.

Nel 1345 secondo alcuni, ma per Giuseppe Signorelli nel 1482, fu sede della Confraternita dei Disciplinati proveniente da san Lorenzo, che prese poi il nome Confraternita di santa Maria Maddalena. Fu istituita l’11 Agosto 1196, e vestiva, come ho già scritto, con il sacco bianco e mozzetta leonata e disciplina pendente dalla cinta, aveva per fine caritatevole il convincere a penitenza i traviati. Nel 1571 si aggregò alla Confraternita del Gonfalone di Roma.

Comunque una Confraternita dei disciplinati di sant’Agostino e di santa Maria Maddalena è già nominata nel 1461.
Nel 1511 si nomina il chiostro e la chiesa nel Dicembre 1525 viene ridotta a lazzaretto. Nel 1541 fu distrutto l’arco, già citato, a cavallo della via, che univa la chiesa con l’ospedale. Pinzi in quest’arco che come ho scritto aveva una stanza sopra, ci vide la Porta urbana di santa Maria Maddalena, ma, più propriamente, secondo Pietro Egidi questa era più a monte, sulla sinistra di Via del Ganfione, «protetta dalla torre di cui ancora [1900] si scorgono i resti».

Il 22 Luglio 1567 un incendio «arse et consumò tutta la chiesa», unitamente a buona parte dell’archivio, a tal punto che fu necessario ricostruirla e, con l’occasione, ampliarla almeno più di un terzo comprendendovi un orto confinante. I disegni del progetto furono eseguiti da Camillo dell’Abruzza. In quella triste circostanza la Confraternita ebbe sede provvisoria presso la Chiesa di santa Maria delle Rose, al Cunicchio. Nel 1568 la Confraternita, al fine di contribuire alla costruzione della nuova chiesa, fu autorizzata a concedere beni per duecento scudi. Nello stesso anno fu redatto il nuovo Statuto del pio istituto, che fu miniato nel 1570 dal perugino Antonio Schiratti.

Nel 1571 anche il Comune dette un sussidio, perché la Confraternita aveva chiesto un’elemosina per portarla a termine, era il 18 Marzo.
In un inventario del 1574, essendo la chiesa ancora dipendente dal Monastero di san Salvatore, si fece un elenco degli oggetti conservati nell’archivio:
«ordinamenti in pergamena, altro ricoperto di velluto verde finito d’argento, libro di croniche ov’è scritto il viaggio di Loreto, bolle d’indulgenze, Crocefisso, gonfalone, tre quadri: Trinità, Madonna e santi Pietro e Paolo».

Nel 1577 la Confraternita dei Disciplinati si unì a quella del Gonfalone di Roma, come già aveva fatto la Confraternita dei Disciplinati di san Giovanni e, dieci anni dopo, Ilario Verreschi donò alla Confraternita il luogo ove era l’immagine della Madonna dell’Ellera; ebbe così inizio l’impiego delle proprie rendite per la costruzione della Chiesa di santa Maria dell’Ellera.

Nel 1591 Francesco Chigi concesse alla Confraternita il ricasco dell’acqua del suo palazzo sovrastante, ed ancora, nel 1604, da parte di Stefano Galeotti, venne concessa alla chiesa e da questa alla concia Zazzera, l’acqua proveniente dall’orto dei Chigi. Poi, il 28 Aprile 1619, la Confraternita si aggregò a quella del santo Sudario di nostro Signore di Roma, come da iscrizione nella chiesa. Un restauro, alla chiesa in rovina, si attuò nel 1628 sempre ad opera del Comune e ancora, in un inventario di quell’anno, si ricorda:
«un Crocifisso grande da portare in processione, gonfalone, lanternone segreto con alquante discipline di ferro con manichi».
Lo stesso anno la chiesa minacciava rovina e venne restaurata anche col contributo di cinquanta scudi del Comune.

Nel 1640 i Padri Silvestrini di santo Stefano del Cacco, chiesero di aprire un convento in santa Maria Maddalena, ma la Confraternita concesse loro la Chiesa di santa Maria dell’Edera. L’anno seguente la Confraternita di santa Maria Maddalena, per residenza, ricevette la Chiesa di san Silvestro.

Nel 1654 fu fatto eseguire a Roma il nuovo stendardo della Confraternita che, per finirlo di pagare, fu necessario cedere la dote di «una fattasi terziaria».
Una concessione per cavare la pietra presso la chiesa fu data al Comune nel 1663 e nel 1674 venne redatto un altro inventario ove furono elencati:
«Libro di capitoli antichi col coperchio di tavola, Libro della Madonna dell’Edera, Libro delle spese della fabbrica dopo l’incendio, Una borsa con 8 brevi, ed altri 5».

Nel 1677 la chiesa venne officiata dagli Zoccolanti e nel 1734 furono rinnovate le mazze utilizzando i vecchi argenti e le cedole scadute delle doti.
Poi, nel 1799, i beni della Confraternita vennero ceduti all’Ospedale dei proietti, alla stessa restò solo l’orto.
Il Coretini, storico locale, afferma che in chiesa vi era un quadro, raffigurante la santa titolare, dipinto dal concittadino Filippo Caparozzi (1588 ? - 1644). Nel 1892 i beni della Confraternita di santa Maria Maddalena furono trasferiti alla Congregazione di Carità.
La facciata della chiesa è assai semplice, ha un rosone tondo e la porta d’ingresso in peperino con scolpito sull’architrave Caste ad Deum adeunto.

L’interno non conserva più nulla dell’antico, neppure il soffitto che nel 1830 era a cassettoni, vi è solo un’epigrafe in marmo, posta sulla parete a destra per chi entra e che riferisce:

D.O.M. / Confraternitas Disciplinatorum / Sanctae Mariae Magdalenae Viterbien. / ortum habuit anno salut. 1345 / templum S. M. ad Hederam aere / proprio struxit et explevit / aggregata est piae ac venerabili / Archiconfraternitati / S. Sudari D. n. Jesu Cristi / de Urbe / a.D. 1619.

Tradotta: Questa Confraternita dei Disciplinati di santa Maria Maddalena di Viterbo, ebbe origine nell’anno 1345, costruì e completò a proprie spese la Chiesa di santa Maria dell’Edera ed è aggregata alla venerabile Arciconfraternita del santo Sudario di nostro Signore Gesù Cristo di Roma. 
Anno del Signore 1619.

L’anno di fondazione riferito è errato, infatti la Confraternita fu istituita nel 1315, come afferma Pietro Egidi, ed è invece lo Statuto che fu approvato nel 1345, come ho già riferito.
Andrea Scriattoli, intorno al 1915, vide che nella chiesa era riportato in più parti l’emblema dipinto della Confraternita di santa Maria Maddalena consistente in un unguentario o alabastron, in ricordo di quello infranto dalla santa ai piedi della Croce.

Ho visto, fissati sui muri in città, tre unguentari riferiti alla Confraternita, uno in Via della Marrocca n° 62, uno in Via della Bontà n° 62 ed uno in Via Orioli n° 22, quest’ultimo a differenza degli altri è in peperino ed è stato realizzato in dimensioni più grandi. Lo storico anzidetto, ricorda di aver letto su una croce di legno, portata dai Confratelli di santa Maria Maddalena, il motto: Per lignum servi, per crucem liberi.

Vi erano conservati i quadri ad olio su tela: Noli me tangere, di pertinenza alla Mensa vescovile e poi portato nel Palazzo vescovile; san Tommaso d’Aquino del XVII secolo; san Francesco da Paola mentre salva un peccatore dal mare del XVII secolo e la Madonna col Bambino e san Carlo Borromeo del XVII secolo, in Vescovato.

La chiesa fu chiusa al culto nel 1927, fu venduta e venne adibita prima a mola ad olio e poi a magazzino di carta straccia; è stata restaurata verso il 1995 ed è di proprietà privata, l’intonacatura delle pareti laterali esterne ha nascosto le antiche pietre della primitiva chiesa.

Un edificio prossimo alla chiesa, per decenni in disuso e restaurato nel 1999, è detto le conce.
Vi era una industria di conceria di pelli che, dal vicino mulino dei Chigi nella Valle di Faul, si riforniva di vallonea da cui si estraeva il tannino.
Le conce furono dette di Zagarello.

Ora frega a qualcuno?

Ma ecco la storia della porta della città chiamata col nome della Maddalena che traggo dal mio libro L'Illustrissima Città di Viterbo del 2002.

Nel 1246 fu eretto un tratto di mura da Porta di santa Maria Maddalena alle rupi del Colle della Trinità. Esisteva in questo luogo una barriera naturale di ardite rupi, che oggi si può immaginare per l’asperità che conserva il terreno. 
La massa tufacea che proteggeva la città, a partire da Porta di santa Maria Maddalena, arrivava al Ponte Tremolo, ossia il Ponte Tremoli, sotto al quale scorreva l’Urcionio, fino a raggiungere la Porticella.
La rupe, attualmente, si può identificare nelle Vie Valle Piatta, Via Ascenzi, Piazza dei Caduti all’inizio di Via Marconi e Via santa Maria in Volturno.

Quanta storia, ma non frega a nessuno!

Porta di santa Maria Maddalena

Poco oltre la Chiesa di santa Maria Maddalena, all’incrocio delle vie di Faul, del Ganfione e di Vallepiatta, era la Porta di santa Maria Maddalena che si apriva sulla vecchia cinta muraria della città.
Era prossima a Via sant’Antonio ove sono ancora visibili le antiche mura della città, del secolo XI, dotate di contrafforti.
La porta era unita alla torre, restaurata recentemente, che è tuttora al limite di Piazza Martiri d’Ungheria.

La porta è citata in un elenco di accessi alla città del 1215, ma la Carta Amiatina ne fa menzione nell’Aprile dell’anno 1160 nominandola di san Biagio, per la chiesa omonima posta alla fine di Via del Ganfione a destra.

Scrive Pietro Egidi che fu chiamata verso il 1164, anche Filelli, o del Filello dal nome della contrada che esisteva già nel 1060.
Assume il nome di Porta di santa Maria Maddalena sin dal 1193.
Nel 1221 i Romani vennero a combattere contro Viterbo e attaccarono la Città alla Porta di santa Lucia, ma un certo Fabio prese possesso della porta in questione, e a nulla valsero gli sforzi dei Romani per entrare a Viterbo, infatti i Viterbesi ebbero la meglio «e  [i Romani] furno cacciati con loro vituperio», così riferisce della Tuccia.

Nel 1247, a causa della carestia e della mancanza di armati che potessero difendere la città da eventuali attacchi nemici, si credette bene murare varie porte urbiche, lasciando tra quelle aperte anche questa di santa Maria Maddalena, necessaria per i contadini che si dovevano recare ai loro campi. Restò aperta anche Porta di san Sisto. Infatti lasciarono agibili due porte in posizione opposta come chiarisce della Tuccia «una verso levante e l’altra verso ponente». Scrive per l’occasione Francesco d’Andrea:
«Anno Domini 1247. Rimase tanta poca gente in Viterbo, che per nullo modo [i Viterbesi] vedevano poterlo guardar da li nimici, imperocchè li giovani erano fugiti per la fame, et lassati loro patri et matri et altra famiglia. Onde quelli pochi, ch’erano rimasti, muraro le porte de Viterbo».

E’ nominata ancora nello Statuto della Città di Viterbo del 1251, nella sezione seconda Pars civilium, rubrica 190, ove si stabilisce di rendere efficiente la strada che esce da Porta santa Maria Maddalena.
Si ritiene fosse chiusa nel 1268, ossia quando Visconte Gatti realizzò la parte finale della vallata con l’ultimo tratto di mura cittadine.

Pietro Egidi, come ho scritto, crede che la porta era ubicata «un poco sulla sinistra del Ganfione, protetta dalla torre di cui ancora si scorgono i resti».

Oggi della porta non è rimasto più nulla.

Da essa salivano verso il Colle della Trinità le mura della Città che si collegavano con la porticella, posta presso la Chiesa della ss. Trinità alla fine dell’attuale Via santa Maria Liberatrice. Le mura furono costruite sin dal 1246 e vennero eletti, nel Settembre di quell’anno, quattro cittadini che dovevano provvedere alle necessità difensive della città. Questi fecero erigere, scrive della Tuccia, «il muro da santa Maria Madalena sino al muro sotto l’antiporticella presso le ripe del monisterio di Protorno», ossia di santa Maria in Volturno.

Di questo tratto di mura non è rimasto niente altro che una torre, diroccata per anni e restaurata nel 1997 innalzandola di qualche metro e aggiungendo i merli guelfi. Venne alla luce in seguito alla demolizione dell’ex studio del pittore viterbese Pietro Vanni. Lo riferisce Giuseppe Saveri in un suo dattiloscritto, in mio possesso.

Padre Pio Semeria (1825 c.), scrive nelle Memorie:
«Si riconoscono tre Torri a valle piatta, cioè la Torre Almadiana accanto a Ponte Tremoli, la seconda si vede a mezza strada sulla sinistra e la terza sul fine della strada verso il fosso».

La parte di mura che si estendeva in senso opposto al precedente raggiungeva la Chiesa di san Clemente, passando tra il Torrente Urcionio, che scorre nella Valle di Faul, ed il Palazzo papale. Si nota bene ancora oggi come le mura, a nord della Torre del Branca, siano state tagliate nettamente per essere collegate ad angolo retto con le mura che vanno verso Porta Faul.

Nel «1192 fu fatto il muro di Piazza Nova sino a Santo Chimento». Piazza Nuova, come ho già scritto, si trova di fronte all’ingresso dell’Ospedale Grande degli Infermi sull’attuale Via sant’Antonio.

Niccolò della Tuccia riferisce all’anno 1210:
«Otto [Ottone] imperatore [...] venne in assedio alla città [...] vedendo i Viterbesi sì fatto assedio si rinforzorno contro e rifecero il muro di Piazza Nova, sin da S. Chimente [...] e continoamente li Viterbesi uscivano fora della città a far battaglia con la gente dell’imperatore».

Di questo tratto di mura è rimasta la parte posta tra la fine della salita di Via sant’Antonio e l’inizio di Via san Clemente caratterizzata da alcuni imponenti contrafforti.


Quanta storia dimenticata, quanti abusi su una delle Porte e Chiese dedicate a santa Maria Maddalena in una Viterbo non rispettata.

Peccato!

Mauro Galeotti

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