Viterbo CRONACA Mainella muore a settantasette anni, dopo una degenza in una clinica

 

Duilio Mainella

“Duilio Mainella. Viterbo 6.1.1895, residenza ivi, marmista antifascista. Arrestato nel settembre 1941 per disfattismo politico, ammonito dopo tre mesi di carcere”.

Questa è la scarna scheda riguardante Mainella, che veniva a mancare quarantaquattro anni fa, il 30 luglio 1972, riportata alla pag. 399 dell’11° Volume dei quaderni Antifascisti nel Casellario politico centrale a cura dell’Anppia, l’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti. Poche parole destinate ad un personaggio fondamentale per la cultura repubblicana, antifascista e progressista della Tuscia e non solo.

Comincia da scalpellino, cioè parte di quella categoria che a Viterbo, città dell’acqua e della roccia, rappresenta l’avanguardia operaia e che consegue grandi conquiste sindacali nel Primo dopoguerra, proprio quando Mainella prende a farsi notare da agitatore.

È repubblicano, in una città dove il repubblicanesimo è ben radicato, affonda le radici nel Risorgimento democratico ed ottiene risultati elettorali ben oltre le percentuali nazionali. Nel 1920 Mainella è elencato dai carabinieri tra le persone “che per i precedenti e per l’ascendente tra le masse organizzate, sono ritenute più pericolose in caso di eventuali disordini di carattere rivoluzionario”.

L’anno successivo, il 15 maggio, è lui, in piazza del Teatro, a interrompere il comizio elettorale del fascista Giuseppe Bottai, che, da ex repubblicano, probabilmente conosceva, salendo su uno sgabello, con un contraddittorio a voce alta che darà vita a disordini che imporranno la fine del comizio, con i fascisti che per coprire la ritirata nella loro sede spareranno sui contestatori e uccideranno Antonio Prosperoni.

Due mesi dopo, “il noto sovversivo Duilio Mainella”, come lo descrive la Ps, pur non essendo un ardito-popolare, prenderà parte attiva alla sollevazione che caccerà i fascisti dalla città durante le “Tre giornate di Viterbo” (10-12 luglio).

Con l’avvento del Fascismo, Mainella diventa una delle personalità più sorvegliate e perseguitate a Viterbo; arrestato preventivamente in occasione delle visite di personalità eminenti. Il Partigiano Nello Marignoli ricorderà di un uomo in catene trascinato via con la moglie piangente appresso.

Sempre Marignoli, che da ragazzo abitava vicino alla bottega di marmista del Mainella, sita in largo dei Magliatori, rievocherà un aneddoto verificatosi in pieno regime. Un primo pomeriggio d’estate, “che te sentivano pure su la luna”, passava per le vie un robivecchi a chiedere stracci e quanto altro. Sentendolo, Mainella, “che stava a fa’ le vie”, cioè scolpiva il marmo per i numeri civici, esclamava: “Eh, robivecchi, robivecchi! Vedi? Tra un po’ famo tutti la fine sua”.

Seguiva subito dopo l’arresto. Con la Repubblica di Salò, Mainella, come molti storici dissidenti repubblicani, sarà blandito dalle autorità repubblichine con la promessa della realizzazione, appunto, della Repubblica sociale di mazziniana memoria. Mainella che, di certo, per la sua storia non poteva essere abbindolato da tali proposte, rigettava l’offerta di collaborazione ed entrava nella Giunta militare clandestina.

Prende parte attiva nella Ricostruzione, anche sul fronte dell‘organizzazione degli artigiani. Alle amministrative del 1946, i repubblicani, che non hanno abbandonato la pregiudiziale antimonarchica, raccolgono il voto dei delusi dalle altre forze proletarie e diventano il secondo partito a Viterbo, dopo la Dc.

Il Partito repubblicano, la cui bandiera rossa sventolava sulla Torre civica del Comune assieme a quelle socialcomuniste, decide però in quei frangenti di avvicinarsi ai democristiani, rompendo con la tradizione anticlericale e sovversivistica che lo aveva contraddistinto. Mainella è uno degli artefici di questa svolta e difatti, per l’occasione, gli venne regalato dagli amici un cappello del prete.

Una scelta che non gli verrà mai perdonata dai compagni delle forze di sinistra. Evidentemente, anche quest’uomo “duro e tenace come i massi di peperino che tagliava e scolpiva con le sue mani callose ed abilissime”, così lo definirà don Salvatore Del Ciuco, avrà modo di diventare un animale politico, Consigliere e Assessore comunale, senza però arricchimenti personali, perché “Politica senza onestà è banditismo” (Mazzini).

Mainella muore a settantasette anni, dopo una degenza in una clinica. I funerali si tengono in uno dei luoghi più prestigiosi per la memoria cittadina, dinanzi al Sacrario ai caduti, con gli omaggi di tutto il locale panorama associativo, sindacale e politico democratico. Al tipografo Sauro Sorbini spetta l’orazione funebre, poi data alle stampe, dove parla di un’affiliazione alla massoneria, cosa facile per la cultura politica di Mainella, sebbene smentita da altri testimoni. In quella circostanza definisce Mainella “Il Leone di Viterbo, l’ultimo dei grandi viterbesi antichi, il primo dei moderni, repubblicano per mezzo, anarchico per fine”.

Sorbini, nell’occasione, fa anche appello per l’intestazione di una via: la piazzetta che si affaccia su via Aurelio Saffi, destinata invece a ricordare Mario Fani, dopo essere stata intestata a Giordano Bruno. Nulla da fare: a Mainella sarà assegnata una strada nella località artigianale del Poggino, mentre il Triumviro della Repubblica romana continuerà a convivere, nella toponomastica viterbese, col fondatore dell’Azione cattolica.

Al funerale viene intonata la Marsigliese, mentre il feretro sarà accompagnato dalle musiche di Chopin.

Silvio Antonini

Cp Anpi Viterbo

(L’immagine è tratta da: Salvatore Del Ciuco, Viterbo, Storie della sua gente, Viterbo, 1991)

 

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