Cellere CRONACA
Mario Olimpieri

 

Dopo aver pubblicato ben duecentosessantuno (261) foto del passato, sento di dover terminare questa esperienza con alcune considerazioni ed esprimere i miei sentimenti.

Innanzitutto devo confessare che io non possedevo affatto quelle foto, ma le ho trovate per pura casualità, visitando il sito di un mio amico; le ho giudicate molto interessanti e le ho scaricate nella quasi totalità.

Man mano che le osservavo, mi saltavano immediatamente in testa dei commenti seri e altri scherzosi, alla fine ho optato per questi ultimi e a ogni foto ho abbinato quelle frasi che voi lettori avete potuto apprezzare (almeno lo spero).

Qualcuno via via mi chiedeva se un certo scorcio riguardava Cellere o qualche paese del Viterbese, e io ho sempre chiarito che le foto riguardavano il sud Italia e in particolare la Calabria e la Sicilia.

Le foto che avete potuto ammirare sono in bianco e nero, e proprio per questo motivo sono particolarmente belle; infatti, a differenza di quelle a colori, sono meno dispersive nell’osservarle e richiamano l’attenzione soltanto su due colori e rimangono decisamente più impresse.

C’è da considerare poi che tutte le foto ripropongono e testimoniano quel passato che alle persone più anziane ricordano i bei tempi della fanciullezza e in molte foto gli appassionati si sono visti quali vecchi protagonisti di giochi ormai non più praticati dai bambini di oggi e hanno rivissuto con la mente lavori e tradizioni che più non esistono perché sommersi e distrutti dalla modernità: nel tempo attuale non troviamo più ombrellai, spazzacamini, arrotini, maniscalchi, canestrai, banditori, calzolai…

Numerose foto ci hanno fatto analizzare con nostalgia alcuni aspetti positivi della vita del passato, quando la gente socializzava con il vicinato, i bambini erano i re assoluti della strada senza traffico e senza seri pericoli, gli animali (asini, cavalli e muli) erano al servizio dei contadini e chiocce e pulcini quasi coabitavano con il nucleo familiare.

Altre foto hanno invece mostrato le durezze della vita di un tempo, per cui le donne faticavano con enormi sacrifici, portando pesi sulla testa, andando a lavare i panni al lavatoio pubblico, facendo il pane in casa per poi portarlo a cuocere al forno…

Anche gli uomini dovevano alzarsi molto presto per recarsi al lavoro, portandosi qualcosa da mangiare e una borraccia piena d’acqua.

Tutti vivevano nella ristrettezza economica, e anche i bambini ne subivano le conseguenze, vestendo abiti poveri e rattoppati e calzando scarpe vecchie e che talvolta facevano intravvedere qualche dito.

E ora veniamo ai miei commenti con la lingua dialettale: è stata una mia precisa scelta perché ritengo che un commento espresso in dialetto sia più incisivo e molto più diretto di quello formulato in lingua italiana; del resto, quello delle foto è il tempo in cui tutti parlavamo in dialetto, al quale dobbiamo rimanere affezionati per la sua efficacia e perché è stata la lingua della nostra infanzia.

Il dialetto è cultura, dobbiamo amarlo, proporlo nei momenti opportuni e non farlo morire mai.

Tra le numerose foto, sicuramente alcune sono rimaste più impresse: io ricordo con maggiore entusiasmo quelle che qui ripropongo, ma vi devo confessare che la mia scelta è stata molto difficile.

Le immagini le potete osservare in fondo alla pagina.

Non posso terminare questo scritto senza inviare un sincero ringraziamento al direttore Mauro Galeotti, che ha creduto in questa iniziativa fotografica e che mi ha espresso più volte la validità di questa mia partecipazione.

Egli è un grande estimatore della fotografia e possiede un archivio davvero impressionante e apprezzato dagli intenditori; proprio per questo motivo invito tutti i possessori di fotografie d’epoca a metterle a disposizione della collettività e di inviarle alla redazione del giornale per ulteriori commenti.

Invio un caro saluto al Direttore, agli amici lettori e a tutti coloro che hanno piacere di riceverlo.

Mario Olimpieri

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