Blera POESIA per santa Giacinta di Vignanello

Santa Giacinta Marescotti

Questa è la storia di Clarice, alias santa Giacinta, Marescotti, donna di nobili origini, nata nel 1585 da Marcantonio Marescotti e dalla principessa Ottavia Orsini, la quale, pur senza vocazione, entrò a far parte delle clarisse nel monastero di San Bernardino a Viterbo.

 

Santa Giacinta Marescotti

Non ha ancora vent’anni Clarice 

Vignanello le diede i natali

fanciulletta  in virtù non ha eguali

e il futuro ben roseo le appar

 

Nobiltà di casato ella tiene

raffinata è, gentile e vezzosa   

e già sogna un dì d’essere sposa

d’un ragazzo  di gran qualità.

 

Ma ha deciso già il capofamiglia       

dare al giovane un’altra sorella,

essa allora al voler si ribella

ché l’affronto non può  sopportar.

 

E le belle maniere bandisce

sì che spesso si mostra altezzosa,

per ripicca ora fa la sdegnosa

ravvedersi giammai lo fara’.

 

Così stando all’usanza del tempo

dalla casa paterna  è avviata

a far vita da dietro una grata,

disciplina  ammansir  la dovrà.

 

Con al seguito servi e bagaglio

come al rango natal si conviene

giunge in chiesa ma il nome non tiene

suor Giacinta  chiamar si farà.

 

 

Suor Giacinta mal sopporta la vita del convento

Ma pur tra quelle mura

non è di buon esempio

e nell’austero tempio

mostra sfarzosita’.

 

Le monache disdegna

non vuole stare in cella

e in una stanza bella

consuma   oziando  i suoi dì.  

 

Tra gli ori, argenti e quadri

si mostra l’orgogliosa,  

superba e vanitosa,

né dà cordialità.

 

Ai superior richiami   

si mostra indifferente

sì che tranquillamente

continua a dissentir.

 

 

Per   disegno divino patisce una lunga malattia

Ma se il lusso la vista soddisfa

e la boria  nel petto  raccende,

il suo corpo un bel giorno s’arrende

ché dal letto non può sollevar.

 

Mentre giace l’inferma supina

volge il guardo d’intorno e rimira

tutto il bello che vede e sospira

più non vuol quella vita seguir.   

 

Come folgor lo Spirto Divino

scende all’animo della rubella

ne vuol fare un esempio d’ancella 

che dispieghi soltanto umiltà.

 

E gli sfarzi difatti ripudia                         

or ne vede  l’effimera vita  

perché  il Cielo dall’alto le addita

qual messaggio diffonder dovrà.                           

 

Le ricchezze che l’hanno ingannata                   

offre in dono alla madre badessa

e alle suore poi tutto confessa

che quegli agi mai più seguirà.

 

 

Inizia una vita di stenti e privazioni

Dove prima era il molle cuscino

or di pietra ella tiene il guanciale,

ogni cibo è un pasto frugale

e non tiene più nulla per sé.

 

Le pareti un tempo adornate

di broccati, d’argenti e di sete

più non vivono le ore liete,

il blasone più ovunque non c’è.

 

Pur nell’intimo della clausura

la terziaria non fugge dal mondo

ed a tutti i ricordi dà fondo

per chi pane e vestiti non ha.

 

Poi per star più vicino agli oppressi

ha il giaciglio di legno ch’è duro

e una croce là in fondo sul muro

che assai spesso ella tien su di sé.

 

Privazioni e digiuni sopporta

ispirata  da amore celeste,

ha per saio una povera veste

vuol che i miseri vengano a sé.

 

 

L’infaticabile monaca prega, si piaga, assiste, converte

Soccorre suor  Giacinta

la gente bisognosa

la vita mai riposa

l’ha eletta a carità.

 

Dei miseri è sollievo

converte i peccatori,

gioisce dei dolori,

che al corpo fa patir.

 

E’ Francesco Pacini un soldato

per   carattere avverso alla chiesa,

suor Giacinta ecco compie l’impresa

dai peccati di farlo purgar.

 

Poi gli affida importanti incombenze,

dar soccorso agli infermi e agli storpi,

per lenire le pene a quei corpi

e far lodi al divino Gesù.

 

Mentre è in vita già il popolo santa

venerando la va per Viterbo,

tocca in fondo a ogni cuore il suo verbo

pure agli empi la fede rida’

 

Quando il giusto disegno divino

volle in cielo quell’alma gentile,

delle rose un profumo sottile

la sua cella nell’aria colmò.

 

Le sue spoglie mortali ora stanno

nella chiesa di San Bernardino,

donde mosse il suo santo destino

da terziaria alla sacralità.

 

Giuseppe Bellucci

 

 

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